LA VOCAZIONE DI UN CARMELO TERESIANO CHIAMATO A VIVERE IN DIALOGO CON DIO E CON I FRATELLI!

Documenti Storici sulla Fondazione del Monastero Santa Teresa in Camaiore

 


                                                        

MONASTERO SANTA TERESA

1590 - 1650
DA CAMAIORE A SAN COLOMBANO
1° parte
A Cura del Monastero  di San Colombano -  Lucca








PRECEDENTI  STORICI DEL COMUNE DI CAMAIORE
(Tratti dall'archivio storico del Comune di Camaiore, dal libro dei Consigli Comunali e dal libro del dott. Paolo Dinelli :" Storia di Camaiore " )
Nella seduta del 25 agosto 1504  fr. Nicola del convento di
S. Romano di Lucca era stato introdotto nella sala del Consiglio per illustrare ai consiglieri una proposta del suo Generale che riguardava, oltre le trattative per la fonda­zione di un convento di domenicani in Camaiore, la possibilità di erigere nel castello anche un monastero di religiose dello stesso Ordine.
Questa seconda operazione non andò in porto, ma la notizia merita ugualmente di essere ricordata perché quella era la prima volta che si riparlava di un eventuale ritorno a Camaiore di una comunità di religiose, dai lontani tempi in cui suor Colomba, l’ul­tima badessa del monastero delle benedettine di Gello, era stata trasferita con le sue monache nel monastero di S. Giustina a Lucca. Dovettero passare quasi trent’anni perché il Consiglio tor­nasse ad occuparsi delle monache.
Dal verbale della seduta consiliare del 22 settembre 1532 si apprende infatti che venne introdotto il reverendo signor Andrea del già Jacopo Lorenzi, canonico del Capitolo della Collegiata, il quale era latore di un messaggio della badessa del monastero di S.Giustina di Lucca: costei lo aveva incaricato di tastare il terreno per vedere se ci fosse stata la possibilità di "fondare et erigere  nel castello di Camaiore un monastero di sacre vestali religiose". Il Consiglio decideva di nominare una commissione di sei cittadini nelle persone del medico Bianco Bianchi, Piero del già Marco Orsucci, Francesco del già Piero Fiorentini, Porfirio Santucci, Girolamo di Pellegrino da Dallo e Luca del già Piero Guasparini, ai quali veniva affidato l’incarico "d’andare da detta veneranda abbadessa e con la medesima trattare di detto monastero, per fondarlo e dedicarlo e dopoi referire al Consiglio"
Le trattative però si arenarono ben presto e seguì un lungo periodo di silenzio, rotto solo dieci anni più tardi quando nella seduta del 27 dicembre 1542 "da Riccomello Guasparini Priore de’ Capitani si dà parte al Consiglio esser bene, ad onore del castello di Camaiore e a lode di Dio, fare erigere un monastero di monache o suore per vantaggio di detto Castello e salute di molte anime. Sopra di che si eleggono Giovanni Licciani, Carlo Carletti, Francesco del Duca e Bartolomeo di Giovanni Neri per procurare l’erezione di detto monastero e trattare col nobile Giovanni Gigli e con altre persone che occorresse. "
Se questi contatti ci furono non siamo in grado di dirlo. Quello che di sicuro sappiamo è che del nostro monastero si tornò a riparlare fra la fine del 1558 e l’inizio del 1559. Nella seduta del 27 dicembre 1558 il Consiglio provvedeva alla nomina di nove uomini, tutti di Camaiore, "con cura et autorità di procurare di erigere un monastero di monache nel castello, con le debite licenze et beneplacito di chi occorre, e di trattare con il molto reverendo signor Priore Cristoforo Orsucci, e vedere il luogo più proprio per detto monastero da edificarsi...".
Questi i nomi degli eletti: Porfirio di Nicolao Santucci, Nicolao Paganini, Domenico Antognoli, Marco Orsucci, Lucen­zio Fiorentini, Francesco Pauletti, Vincenzo del Duca, Jacopo Manfredi e Olivo Domenichini. E circa un mese dopo, il 29 gen­naio 1559, si conferisce l’incarico "alli soprascritti deputati assie­me con il reverendo signor Priore Cristoforo Orsucci di supplicare il reverendissimo Vescovo di Lucca, o qualsivoglia altro superiore, per la licenza di fondare il suddetto monastero di monache, dichiarando che li sopradetti deputati s 'intendano et siano Provveditori di detto monastero, con espressa autorità di por­ger supplica al Magnifico Consiglio Generale della città di Lucca per aver qualche aiuto et favore per l’erezione di detto monastero, e così a qualsivoglia altro luogo e persona, e di più li si conferisce l'autorità di poter obbligare il Comune et uomini di Camaiore e suoi beni per la somma di scudi 200 d’oro e staia 30 di grano ogni anno... "
Purtroppo anche quelle trattative non ebbero migliore esito. Tuttavia il desiderio di dare vita a questa nuova istituzione mona­stica femminile era sempre più insistentemente avvertito dalla stragrande maggioranza della popolazione camaiorese, soprattut­to dopo che gli ultimi frati domenicani del convento di S. Vincenzo avevano lasciato il nostro castello per rientrare in S. Romano.
A questo stato d’animo sembra pienamente rispondere la deliberazione che il Consiglio Comunale approva nella seduta dell'11  novembre 1572. Con essa viene deciso "che si debba venire alla elettione di nove prudenti homini nelli quali ci si hab­bi a comprendere il signor Priore di Camaiore, Monsignor Orsuccio Orsucci, li quali così eletti e chiamati habbino cura et caricho di mettere a executione tutte quelle cose che li parranno a proposito et convenienti per venire alla elettione et constructione di uno venerando monastero di monache come altre volte fu decretato et hordinato e si intenda al presente questo decreto rin­novato in tutto e per tutto come in quello si contiene con quell’ag­giunta però che quelli nove homìni così eletti siano tenuti una volta la settimana radunarsi un giorno deputato da eleggersi tra loro, sotto pena di bolognini dieci per ciascuno e ciascheduna volta che mancassero et non si possino scusare in modo alcuno se non per assentia o infermità, e siano tenuti tutte le cose che fra loro si facessero farle scrivere puntualmente dal vice camerlengo in un libro per ciò da deputarsi, con amplissima autorità alli soprascritti homini di potere in nome di questo honorando Comune presentarsi davanti al reverendissimo vescovo nostro di Lucca et Magnifici Signori nostri et qual si  voglia altro offitio per causa et hochasione di facilitare et haiutare detto monastero da farsi, et siano tenuti li soprascritti homini di mese in mese referire alli priori et capitani che saranno per i tempi tutto quello che da loro sarà negotiato, con caricho a detti priori e capitani, sotto pena di spergiuro, di propuonere allo honorando consiglio tutto quello di tempo in tempo che per il detto offitio sarà negotiato, a ciò si possa conoscere in che stato di tempo in tempo detto nego­tio si troverà. Da durare la presente hautorità et detto offitio per tre anni proximi, da applicarsi detta pena alla fabbrica da farsi"
Dal verbale della seduta si apprende che tale deliberazione, messa ai voti, per ben due volte venne respinta e solo alla terza votazione fu approvata a larghissima maggioranza.
Finalmente fra il 1588 e il 1590 la non facile impresa anda­va in porto, anche se all’inizio i suoi promotori dovettero rinun­ciare all’idea originaria di fondare un convento di clausura e ripiegare su quella di istituire un conservatorio per accogliere, proteggere ed educare le fanciulle del nostro castello.
I documenti da noi consultati ci consentono di fare una ricostruzione molto precisa di quegli avvenimenti.
Nel maggio del 1588 la amministrazione comunale decide­va di provvedere alla scelta del luogo adatto per la costruzione del convento e di ricercare fra gli abitanti del castello quanti volessero contribuirvi con generose offerte. Il giorno 20 di detto mese il Consiglio approva "che per dar principio al decreto di già ottenuto a hedificare un monastero per monache nel castello di Camaiore si devi eleggere uno offitio di sei huomini, et quatto possano fare, quali habbino cura di intender e veder tutti quelli che vogliano contribuire et porger aiuto alla detta fabbrica et metter in scritto tutto quello troveranno et da chi e in che modo, et andar considerando in che parte del castello si potria hedificare et farne levare uno o più disegni et piante et intender la spesa, et tutto riferire all’honorando Consiglio per tutto il dì 11 giugno proxi­mo". I sei membri del suddetto Offizio furono: Marco da Gelo, Iacopo del Duca, capitano Chimento Guasparini, capitano Giovan Carlo Rossi, Iacopo Manfredi e Antonio Beghini.
Ed ancora nella successiva seduta consiliare del 13 giugno fu deliberato "che per hedificare il monastero di già ordinato si deve pigliare il sito di sancta Barbara,  et perciò l’offitio sopra ciò habbia cura di negotiare con quelli hanno siti in detto luogho et intender la valuta et metter tutto insieme acciò l’honorando Consiglio possa andare... et possa trovare i denari et riferisca per tutto il presente mese. Che il priore et capitani habbino cura di riconciare le case scelte, dei denari dell’opera..." Incaricati di ciò furono Iacopo del Duca, Antonio Beghini, Paganino Pagani e Giuseppe Guasparini.
Il primo a rispondere generosamente a quell’appello fu il Capitolo della Collegiata. Nella riunione che il 2 luglio 1588 i cappellani e i canonici di S. Maria Assunta tennero sotto la dire­zione del priore monsignor Orsuccio, questi espose "come il Magnifico Signor Commissario prega non solo questo reverendo Capitolo universalmente ma ciascuno ancora di essi particular­mente, a volere porgere anche egli parimente qualche elemosina et offerta per erigere il monastero di già disegnato, atteso che questa è opera molto pia et religiosa et che perciò il reverendo Capitolo e ciascuno ancora di essi non se ne doverebbe tirare indietro, per inanimire li altri et per mostrare che siamo pronti et parati a favorire le opere buone e sante... il che fu differito con questo però che sana bene fare un offitio di due et tre del reveren­do Capitolo che in questo mezzo andasse pensando che cosa si dovrebbe fare...".
Ogni decisione venne comunque rimandata alla prossima riunione straordinaria indetta per il lunedì 4 luglio.
Nel verbale della riunione che il Capitolo tenne in quel giorno si legge: “Item si tornò a trattare et ragionare sopra la pro­posta del monastero di già fatta nell’ultima seduta che fu il 2 del presente mese, et si consigliò che sarebbe bene darli et contribuir­li staia 15 di grano l’anno perpetuamente, da cominciarsi la qual rendita il prossimo ricolto, quando in esso monastero ci saranno non meno di cinque monache et di più la rendita di staia 3 di gra­no che cava il Reverendo Capitolo del casalino che fu della cap­pellania di S. Bernardino in Sesto S. Piero, il quale teneva già Bartolomeo di Giovanni Fiorentini et di poi pervenuto in Michele di Bartolomeo Beghini, dove tiene la scala della sua casa; et que­sto durante il detto Monastero et per tempo che le monache nel detto luoco di Camaiore, et caso che li occorresse servirsi del fon­do di esso casalino si li debba dare et concedere per aggrandire il luoco di detto Monastero; et hora per allora s’intendi donato sal­vo le conditioni sopra et infrascritte et salvo il beneplacito apo­stolico, et in caso che occorresse, che detto Monastero fornisse per qualsivoglia inopinata causa o vero che fusse transferito in Lucca o altrove, et che le monache non habitassero collegialmen­te, conventualmente in detto Monastero posto in Camaiore, in qual caso s’intendi la detta rendita delle staia 18 di grano et dona­tione di detto fondo annullati et di nessuna ragione et efficacia, ma s’intendi per non donata né mai offertali et promissali. Et di più donarli di quel del nostro Reverendo Capitolo per aiutare a costruire detto Monastero o comprare parte del sito scudi 60 d’o­ro di bolognini 75 per scudo per una volta sola da pagarsili in quattro paghe cioè in quattro annate, videlicet scudi 15 in fine di ciascun anno di essi quattro, da contarsili sempre et quando l’ho­norando Consiglio di Camaiore haverà cominciato a edificare, et sempre si sarà obbligato alla restitutione di essi scudi 60 quando detto Monastero non habbia havuto il suo effetto dentro di dieci anni, et che essi scudi fussero pervenuti alle mani dell’Offitio sopra ciò da ordinarsi per esso honorando Consiglio, annullando ogn’altra oblatione, offerta e promissa fatta dal Reverendo Capitolo altre volte per addietro, non essendo sua mente che altra promissa debba valere che quella si fa al presente... "
Messa ai voti tale proposta, presenti oltre al priore Orsuccio, 6 canonici e 5 cappellani, venne approvata con undici sì ed un voto contrario.
Poco dopo, alla generosa offerta del Capitolo della Collegiata si venivano ad aggiungere quelle delle due Confrater­nite di S. Michele e di S. Vincenzo Martire.
Mentre i membri dell’Offizio costituito per la fabbrica del Convento si adoperavano per individuare il luogo più adatto per la sua costruzione e discutevano sul modo di reperire i mezzi necessari al mantenimento delle religiose e sul numero delle stes­se che potevano esservi accolte, qualcuno a Lucca si dava da fare per mettere i bastoni fra le ruote e persuadere i Signori della Repubblica a non concedere il loro beneplacito.
Non ci sono noti i veri motivi di una tale opposizione, ma non è improbabile che all’origine ci fosse un sentimento di gelo­sia misto ad invidia, per essere la città di Lucca preceduta da un semplice Castello del contado nella realizzazione di un’opera che, dopo il Concilio di Trento, era divenuto di gran moda pro­muovere.
Fu così che mentre l’Amministrazione pubblica di Camaiore tergiversava, non volendo venire ai ferri corti con il Governo centrale, alcuni cittadini, ritenendo che non ci si poteva più tirare indietro, decisero di accantonare per il momento l’idea del convento di clausura, contro la quale era sorta tanta contrarie­tà, e ripiegare su quella di un conservatorio per offrire ricovero e protezione alle povere fanciulle del castello che desideravano sot­trarsi alle insidie del mondo ed ai pericoli dell’ambiente in cui  vivevano.
Promotore di tale iniziativa fu il capitano Pietro Fiorentini,  nobile di questa terra, che si pose alla guida di un gruppo di altri cinque camaioresi che rispondevano ai nomi di: Paolo Antognoli, Orazio Beghini, Pietro Bonuccelli, Daniello Stefanini e Cristoforo Ricci.
Com’era naturale aspettarsi il Comune non gradì troppo  quella decisione. I nostri amministratori non vedevano certo di buon occhio il fatto che dei cittadini privati potessero in qualche modo riuscire la dove la pubblica amministrazione non aveva avuto successo, e così il Consiglio Comunale nella seduta del 28 maggio 1590, con trenta voti favorevoli e sette contrari approva­va una risoluzione con cui si invitava il signor Commissario, Lorenzo Guinigi, ad esporre urgentemente in una sua lettera agli Anziani la situazione che si era venuta a creare in Camaiore, in seguito alla risoluzione presa "da alcuni particolari di erigere nel castello una conserva di fanciulle senza il consenso di esso Consiglio, e perciò fare intendere tal fatto a essi Antiani e txpuorli che questo segue contro la volontà di esso Consiglio di Camaiore..."
Al termine della seduta i consiglieri eleggevano Angelo Bergamini, abitante in Sesto S. Martino, per recapitare a Lucca la lettera del signor Commissario e lo incaricavano di perorare pres­so i rappresentanti del Governo la causa del Comune.
Gli Anziani furono molto solleciti nel far conoscere il loro parere che non fu affatto di riprovazione o di condanna della ini­ziativa del Fiorentini e dei suoi collaboratori, come il Comune avrebbe desiderato.
Due giorni dopo, il 30 maggio 1590, su ordine del Commissario veniva convocato il parlamento degli uomini della terra di Camaiore e alla presenza di un numero notevole di capi-famiglia fu data lettura della lettera che i Signori della Repubblica avevano inviato in risposta a quella del Commissario Guinigi. Questo il testo, come figura trascritto nel Libro dei Consigli di quel tempo:
"Al nobile Lorenzo Guinigi, Commissario et cittadino nostro carissimo a Camaiore, intus vero, Antiani et Vexillifer Justitiae Reipublicae Lucensis
<< Nobilis noster, habbiamo udito quanto ci ha exposto il mandato delli huomini di cotesto castello che ci ha presen­tato la vostra de 28 che tratta della conserva che disegnano di fare alcuni particolari in cotesto luoco per le fanciulle et per cosa che ci habbia ditta non ci ha potuto rimuovere del opinione che habbiamo che sia opera lodevole da abbrac­ciare, favorire e proseguire mirando al servigio di Dio e alla conservatione del honore di molte povere fanciulle conse­guentemente di cotesto castello, tuttavia li habbiamo detto che esso et cotesti huomini ne siano con voi et si governino e faccino conforme al consiglio e parer vostro, potendo for­se essere che a voi che siete costassù in fatto potesse venire in consideratione qualche cosa che meritasse che si facesse di smettere tal opera, il che però non crediamo, e quando così seguisse prima che voi innovassi cosa alcuna cene darete conto acciò possiamo dirvi quello che ci occorrerà, ma se anchora voi proseguirete pure nel oppinione vostra che tal conserva sia utile et honorevole cercherete procurare con la prudenza vostra di persuaderlo a cotesti huomini et fare che non solo ne restino quieti e satisfatti ma che anch'essi favorischino così buon’opera, se possibil sia, che Dio nostro Signore Vi contenti.>>
Dal nostro palazzo 29 maggio 1590
Francesco Franciotti "
Con questa risposta gli Anziani, pur senza sconfessare aper­tamente la presa di posizione del Comune, mostravano la loro piena solidarietà con la iniziativa del capitano Fiorentini, giudica­ta "utile et onorevole", sicché per i nostri amministratori fu gio­coforza recedere dalla loro opposizione e dare via libera a che il conservatorio per le fanciulle divenisse quanto prima una realtà.
Per questo non ci fu affatto bisogno di attendere. Infatti già da qualche giorno i sei Provveditori, in previsione del parere favorevole degli Anziani, avevano provveduto a prendere in af­fitto in Sesto S. Michele un edificio e ad affidare la cura della eri­genda casa religiosa a due nobildonne: Caterina Fiorentini de’ Fatinelli e Beatrice del Duca degli Orsucci. Quanto poi alla scelta delle postulanti fra i sei era intercorso un ben preciso accordo:
ciascuno ne nominava una e così furono prescelte le seguenti sei giovani: Caterina Bonuccelli, Maddalena Batacchi, Caterina di Francesco Bonuccelli, Bianchina della Fornara, Marchisa Beghini e Angela del Mancino, tutte di Camaiore.
Cosicché, quando il 30 maggio 1590 fu chiaro che non c’e­ra più alcun ostacolo alla realizzazione di quella iniziativa, all’in­domani stesso, i giugno, festa del SS. Nome di Gesù, terminata la solenne processione, le sei giovani, accompagnate dalle due nobildonne e da una maestra, "furono condotte alla casa provve­duta a pigione, finché il luogo destinato per loro stabile habitatio­ne si fabbricasse; e quivi nell’istesso giorno et anno si diede principio alla br buona educatione, e prese a denominarsi questa pia adunanza o Congregatione sotto il titolo dei SS. Nomi di Gesù e Maria".
Secondo l’uso o l’obbligo imposto dalle leggi della Repubb­lica lucchese i sei Provveditori nominarono i Protettori della Conserva o educandato, che all’inizio furono tre: Monsignor Orsuccio Orsucci, priore della Collegiata, l’allora Commissario Lorenzo Guinigi e Baldassare Orsucci, entrambi cittadini di Lucca. Successivamente, essendosi ritirato Monsignor Orsuccio
Orsucci, gli sarebbe subentrato il sacerdote Giovan Battista Antognoli, priore di S. Alessandro di Lucca. Nata così sotto i migliori auspici la nostra Congregazione cominciò a muovere i primi passi, gradatamente ma sicuramente, e nuove fanciulle vennero ammesse, raggiungendo di lì a poco tempo il numero di dodici.
Fondazione del Monastero di Santa Teresa di Camaiore che prima fu fondato col titolo di Congregazione sotto l’invocazione dei Nomi di Gesù e Maria per li molto Illustrissimi e Reverendissimi Signori Orsuccio Orsucci Priore della Collegiata di Camaiore e GiovanBattista Antognoli Provicario Apostolico Priore di Santo Alessandro Maggiore di Lucca e li Signori Baldassare Orsucci e Lorenzo GuinigI                                                         addi primo giugno 1590
L’anno di nostra salute 1590 ebbe principio la Congregazione soprannominata sotto l’invocazione dei Santissimi Nomi di Gesù e Maria, con facoltà dell’eccellentissimo Consiglio della Repubblica di Lucca al fine di ovviare a molti pericoli per le zitelle povere di Camaiore. Onde a dì primo giugno, di ordine della Comunità di detta terra, per mezzo di sei uomini( sono: Il Cap. Pietro Fiorentini, Paolo Antognoli, Orazio Beghini, Pietro Bonucelli, Daniello Stefanini e Cristoforo Ricci. ) e di alcune matrone ( sono: Caterina Fiorentini dei Fatinelli e Beatrice Del Duca degli Orsucci ) furono elette 6 fanciulle povere ( sono: Caterina Bonucelli, Maddalena Batacchi, Caterina di Francesco Bonucelli, Bianchina della Fornace Marchisa Beghini e Angela del Mancino, tutte di Camaiore ) e le misero in una casa a pigione sotto l’indirizzo di una Maestra che le istruisse e le incaminasse nel servizio di Dio e le tenesse col debito miramento.
Li detti sei uomini così eletti dalla Comunità ad effetto di conservare e mantenere di vitto e vestito le povere zitelle e aumentare in numero, dopo aver tenuta la carica un anno e mezzo circa e aver moltiplicato il numero delle fanciulle sin al numero di dodici, diffidati di poter sostenere con la debita onorevolezza e reputazione e insieme di poter tener provviste delle necessarie provvigioni di vitto e vestito, si risolsero di lasciar l’opera e così il 1592 rinunziarono agli uffici loro e non essendoci chi si offrisse a sostentare, essi, il molto Illustrissimo Reverendo Signor GiovanBattista Antognoli, il signor Lorenzo Guinigi e il Signor Baldassare Orsucci che fin da principio erano Protettori di esse fanciulle, fecero risoluzione di pigliar sopra di loro la cura della fondazione stabilire detta Congregazione al fine che un opera tanto pia non andasse a terra e presa la causa in proprio e privato nome, presero carico di Protettori perpetui per loro e i loro eredi successori perpetuamente della… e Casate loro il maggiore nato, obbligando perciò tutti li loro beni di eredi e successori a mantenere detta Congregazione come questo appare da pubblici contratti per mano di Ser Giulio Carli a data 1 gennaio 1592 e per mano di Ser O. Buiamonti a data 23 aprile del medesimo anno e per mano si Ser Cesare Pissini a data 31 maggio 1604 che in esecuzione fondarono e mantennero la Congregazione fino a che non fu eretta in Monastero sotto l’invocazione di Santa Teresa con Autorità Apostolica, il che segui il 14 maggio del 1634.
Dopo aver preso sopra di loro, li tre sopraddetti cittadini, si importante negozio, non mancarono di usare ogni diligenza perché l’opera riuscisse con tutta la perfezione, onde procurarono con elemosine e altri aiuti che avessero il debito sostentamento.
Ordinarono a dette fanciulle che non uscissero di casa se non per udire la Messa e per qualche onesta ricreazione con la continua assistenza di qualche buona Matrona.
Ma in breve si conobbe che non tutte erano state chiamate dal Signore Iddio alla ritiratella e al Suo Santo servizio perché cinque delle sei fanciulle prime elette si dimostrarono poco inclinate al ritiramento e all’osservanza che dovevano, e non giovandole ne esortazioni ne correzioni presero a espediente di licenziarle il che fecero con partecipazione di Monsignor Alessandro Guidiccioni, Vescovo di Lucca, il vecchio. Licenziarono insieme la Maestra che da principio li diedero e assegnarono la cura e il governo della casa a Caterina Bonucelli che sola tra le sei prime era stata stabile. Questa resse e governò per lo spazio di trent’anni la Congregazione con totale dipendenza dai Signori Protettori e nel suo reggimento diede gran soddisfazione universalmente acciò era dalle fanciulle stimata e onorata come Madre, mantenendo se stessa e la famiglia a lei raccomandata in reputazione presso i secolari e togliendo con i suoi buoni comportamenti la memoria delle leggerezze di quelle che erano partite, avendole il Signore concesso grazia singolare di farsi amare e temere e una prudenza mirabile nel governare di cui si possono dire molti esempi e massime in materia, di tener lontane le giovani da ogni occasione di pericolo, faticando ella sempre a non affidare loro quelle cose che avessero potuto dare una minima occasione alle minori di età. E tanto gradì il Signore questa sua accurata diligenza che si compiacque di proteggerle in modo che non vi fosse mai un minimo neo che denigrasse il candore della loro pudicizia non ostante che i pericoli fossero opera del nemico, assai grandi, essendo convenuto per occasione di fabbrica, d’introdurre maestri e manovali di pericolosa età e anche per non esservi precetto di clausura. E’ seguito talvolta che persone incaute per istigazione del demonio, a cui dispiacendo non meno la buona vita di queste vergini e la buona fama, hanno ardito più volte di stare dentro la casa le notti intere senza che ne sia seguito l’intento del nemico infernale, poiché per la bontà del Signore non ci fu mai alcuna che si accorgesse di una tanta temerità sin tanto che da loro medesimi imprudentemente manifestarono il loro ardire, vantandosi appresso i secolari di aver veduto l’abitazione e osservato il ritiramento delle vergini. Al che, alcuni furono corretti dal magistrato!
Aveva di più Iddio Benedetto concesso a questa prima fondatrice speciale grazia di maneggio temporale di modo che sebbene la casa era povera, con la sua industria operava a far si che non si sperimentasse oltre il dovere gli effetti della povertà avendo grande confidenza in Dio e con essa inseriva il medesimo affetto nelle più giovani, onde il Signore le ha sempre conservate e aumentate, vivendo tutte in Carità come tante naturali sorelle! Ma non è da tacere qualche episodio: volendo Iddio che questa piccola pianta crescesse sino alla dovuta perfezione si compiacque dar di ciò un indizio nel principio di quest’opera, il  quale fu che uno sciame di api si fermò sopra un pilastro di una finestra di questa casa essendo tale animale simbolo di pudicizia, amico di ordine e di unione e ingegniosissimo, questo più d’ogni altro venne a dar indizio e fu pronostico dell’industria, unione e ordine e pudicizia di cui dovevano essere ornate le Vergini di questa Congregazione essendo in vero che riuscisse specchio di Religiosa Osservanza. ( questo avvenne il 1 giugno del 1604 quando in processione le fanciulle andarono ad abitare nel nuovo monastero dopo essere state nella casa a pigione. )
Da principio le sopra dette fanciulle vestivano onestamente da secolari con abiti semplici e vili. Ma dopo essere arrivate al numero circa di venti e tra queste esservene buona parte della città di Lucca e avendo di già fabbricato Oratorio esteriore con facoltà di celebrarvi la Messa e con la sepoltura per le sorelle, un Oratorio interiore per udirvi la Santa Messa ( il CORO ) e recitarvi privatamente l’Ufficio piccolo della Beata Vergine e ricevendo la Santa Comunione, li soprannominati Protettori determinarono di mutarli l’abito secolare in  un sacco di saia bianca e cinte con corda di San Francesco e la testa velata al modo delle claustrali e questo si fece l’anno 1604, il giorno primo di giugno, con consolazione universale di tutto il Castello e presero quest’abito fino al giorno 13 maggio del 1634, mostrando nelle sembianze e nella semplicità del vestire l’ardente desiderio che avevano di piacere a Dio solo!
Ma Iddio Benedetto, che a loro dava questi desideri e pretendeva di adempirli, mosse con la sua potente mano gli animi delli detti tre Protettori a imprendere l’opera con maggior affetto non lasciando di fare quanto conveniva per il loro utile spirituale e temporale e non contenti e soddisfatti di averle ridotte a questo segno, disegnarono di ampliare la fabbrica in tre distinti appartamenti: l’uno per le sorelle antiche, l’altro per le novizie e il terzo per le fanciulle del Seminario, avendo ciascuna nel suo appartamento il dormitorio, il refettorio e la sala per lavorare, acciò che a suo tempo fosse Monastero ben ordinato, rimettendo ai due laici la cura totale e di quanto apparteneva allo spirituale al molto Reverendo Signor Giovan Battista Antognoli egli come dotto e pratico con destrella mirabile fece che tutte le cose stessero in comune e che dal bel principio si osservasse quanto osservar si suole dai Monasteri ben ordinati dichiarando in scritto ciò che dovevano osservare, così del viver comune,  come del non tenere cos’alcuna propria, come della guardia dei parlatori e continua assistenza alle grate e ruote e di Ascoltatrici elette a tal effetto, volendo che stessero soggette ad una Priora la quale da principio si eleggeva di anno in anno a beneplacito de Signori Protettori.
In progresso di tempo s’introdusse l’elezione della Priora come degli altri Uffici Maggiori con i voti segreti confermando quelle che avevano maggior numero di voti favorevoli e che governassero per due anni e queste avevano facoltà di eleggere gli altri uffici minori da esercitarli per un anno  quali erano approvati dallo stesso Superiore e venivano da tutti esercitati gli uffici loro con la debita subordinazione, il che era facilissimo, per il  desiderio che ciascuna aveva del suo profitto il quale, per meglio stabilire avevano fatto voto semplice di Obbedienza, di Povertà e Castità nell’esercizio del quale sempre s’andarono avanzando a segno che potevano andare del pari a qualsivoglia ben regolato Monastero e da qui nacque che nel fare la Professione non ebbero a mutare l’Istituto, ma solo la forma dell’abito, derivando tutto questo da Dio Benedetto come fonte e principio di ogni bene.
Secondariamente, dalla vigilanza del sopra detto Signor GiovanBattista il quale non contento di aver dato forma del vivere, si sforzò sempre con le esortazioni pubbliche e private di tener gli animi uniti e collegati con vincoli di perfetta carità per meglio poter vigilare sopra questa greggia rinunziò al Priorato di Sant’Alessandro e ad altri maneggi che conforme al merito suo aveva potuto avere e si applicò a tirare avanti queste nuove piante dandole in prima un modo di orare mentalmente sopra il Pater Noster e con stile assai facile le diede a conoscere le  facoltà dell’uomo interiore incaminando questa cognizione a mortificare in quello che può impedire l’unione con Dio Benedetto, riuscendole con tal mezzo facile l’allontanar da esse la propria volontà e la natural brama che ciascuna ha di essere stimata e onorata dalle altre e così in quei primi tempi s’aborrivano gli uffici di superiorità reputandosi ciascuna poco atta a sostenerli benché fianco non fosse pervenuto a notizia loro il rigore con cui Santa Teresa vuole siano castigate quelle che si lasciano guidare da questo spirito di ambizione, mosse più a fuggirlo con l’esempio di Cristo  il quale non venne in questo mondo per essere servito ma per servire. Le rese ancora facile alla perfetta Osservanza della vita comune e del voto di povertà in modo che non vi era in cosa alcuna ne mio ne tuo, reputandosi felici chi più poteva lasciare le proprie comodità
Quanto al ritiramento parve superfluo il trattarne essendo noto a ciascuno l’edificazione che davano in questa parte mostrando in ogni occasione gran ritiramento e modestia singolare in modo che si vedeva riflettere in loro i raggi della Divina grazia, mercé, che venivano lontano da se ogni occasione che deviar le potesse dal loro primo proponimento: accostatesi a quei mezzi che potevano più aiutarle. A ciò lasciarono ancora di fare le rappresentazioni che far solevano nei tempi del carnevale come cose distrattive e di perdimento di tempo e invece di quelle usarono di esporre il Santissimo Sacramento li dieci giorni del Carnevale per quattro ore del giorno. A questa santa azione se li diede principio l’anno di nostra salute 1615 e si è continuata sino al 1634. Con gran consolazione spirituale non solo delle Vergini, ma anche delle persone secolari che per loro devozione v’intervenivano fuggendo con questa occasione molti pericoli. Ne solo in questo tempo si frequentava l’orazione, ma per molti anni si esercitò, massimamente nel noviziato con modo straordinario poiché incessantemente si orava sia di notte come di giorno assegnandosi un ora ciascuna a fine d’implorare il Divino aiuto per l’aumento così spirituale come temporale di questa casa. Ma per rispetto della naturale debolezza delle novizie fu necessario togliere l’orazione della notte in breve tempo.
La frequenza dei Santi Sacramenti è stata sempre da queste Vergini tenuta in gran pregio come cosa che usata bene, è salute, e se male, è dannazione. Pertanto sentendosi la maggior parte di esse invitate a questa frequenza non mancò il Signor GiovanBattista di prescrivere il modo di fruttuosamente frequentare questi Santi Sacramenti, la onde ciascuna procurava prepararsi con frequenti atti di contrizione per disporsi al Sacramento della Penitenza e di avanzarsi negli atti di virtù per poterli unire con li meriti di Gesù nella Santissima Comunione, onde si vedeva gran ritiramento e silenzio nei giorni assegnati per la Santissima Comunione con gran avanzo spirituale e da ciò ne derivava gran concetto e stima la onde molti gentil’uomini mossi dalla buona fama procurarono metter le loro figlie con esse Vergini, sperando che in progresso di tempo dovesse farsi Monastero e nel corso di pochi anni crebbe il numero sino al numero di cento portando queste  "Doti"  ordinarie di scudi 400, dote che da principio erano tenuissime e prima che si venisse allo stabilimento del Monastero ascesero ancora a scudi 500 non compresi li scudi d’argento per i corredi.
L’aumento di queste doti fu buona occasione che si tirasse avanti la fabbrica in buona forma e in difetto di denaro proprio il signor Giovan Battista Guinigi che era succeduto al signor Lorenzo, suo predecessore, suppliva col proprio denaro acciò non si interrompesse la fabbrica lasciando senz’altro interesse sino a nuova comodità di restituirlo. 
In questo tempo ancora fioriva mirabilmente il serbo di molta nobiltà per la buona educazione facendo per ordinario buonissima riuscita non solo per la vita religiosa, ma anche riuscendo al secolo buone madri di famiglia e con questo mezzo stava provvisto il monastero di soggetti atti per loro e questa fu l’occasione di stabilire che non si accettasse alcuna all’abito che prima non fosse stata in educazione un anno ( una specie di postulandato! ) Fu similmente il sopra detto signor Giovan Battista Antognoli vigilantissimo in provvederle sempre di buoni confessori così ordinari come straordinari sapendo egli che il profitto dell’anima dipende da essi e quando non riuscivano come egli li pretendeva, procurava con destrezza mirabile di rimuoverli. Nonostante questa diligenza si passò qualche pericolo nell’aver ammesso un sacerdote da Siena di buona fama, il quale per la sua semplicità dava occasione al demonio di tendere i suoi lacci con rovina irreparabile. Se Dio benedetto tosto non riparava facendo conoscere il danno che poteva seguire continuandosi la sua pratica. E con consiglio del Molto Reverendo Padre GiovanBattista Cioni e del Signor GiovanBattista … e del molto Reverendo Signor Stefano Guidicioni vicario Generale di Monsignor Vescovo, costrinse il sopra detto sacerdote a presentarsi all’esame e per le sue risposte, convinto, lo rimandò alla sua patria, con ogni rispetto alla sua buona fama
Questa improvvisa mutazione turbò alquanto gli animi di quelle a lui devote parendole aver fatto gran perdita e non intendendo il danno che per la sua semplicità li poteva apportare. Per togliere questo disturbo il signor Giovan Battista Antognoli ricorse al sopra nominato Padre Signor GiovanBattista Cioni richiedendolo che venisse in persona a visitare la Congregazione sapendo quale fosse grande la maniera sua nel quietare gli animi turbati e così venne a fare la carità in termine di 4 giorni con esortazioni pubbliche e private e lasciò tute quiete e soddisfate di quanto avevano fatto i Superiori. E per essere questo buon Priore in gran stima fin che visse si fece sempre carità di lui e egli con reciproca corrispondenza non mancò mai di favorire con aiuti suoi e quando non poteva per se medesimo, suppliva con mandar altri Padri, di modo che costituito in articolo di morte tra le altre cose che raccomandò ai suoi Padri una fu la nostra Congregazione esortandoli a non abbandonarla mai nell’occorrente, ne hanno lasciato mai questi Padri di effettuare si caritativo ricordo, essendo pronti ad ogni richiesta di venire per straordinario e ogni volta che venivano si ritraeva gran frutto dalle fatiche loro e conoscendo questo, tanto più volentieri impiegavano l’opera loro, acciò il Signore restasse maggiormente servito. Si applicarono a dare gli Esercizi Spirituali del Padre Santo Ignazio dei quali si vedeva mirabili effetti. Si chè con questi aiuti  e con la continua assistenza del sopra detto signor Giovan Battista Antognoli si manteneva in questa Congregazione il Servizio di Dio e se tentazione del demonio alcuna si mostrava aliena dalla vera strada era tali la maniera che Dio Benedetto aveva dato a questo suo servo in persuadere il bene con un solo ragionamento che con essa avesse fatto e era sufficiente  al ridurla al vero conoscimento, anzi talvolta occorreva che la sola presenza sua rasserenava gli animi turbati in modo che ragionava meraviglia che tutto era effetto della sua gran mansuetudine e dell’amor paterno che a tutte portava qual’era tanto eguale che ciascuna stimava di esser da esso singolarmente amata.
Non mancava però il demonio di procurare quanto occultamente e quanto alla palese di distruggere quest’opera, essendo che per le fabbriche che si facevano molti ne mormoravano e ancora per Divina permissione due volte rovinò parte dell’edificio in modo che se Dio Benedetto non avesse rafforzato l’animo di questo suo servo saria restata imperfetta, ma con la confidenza che aveva nella Divina Provvidenza non volle mai cedere a questi colpi, ma tirò avanti l’opera e vide stabilito il luogo contro la speranza di quelli che con occhi di carne miravano la cosa.
Onde giunto l’intento suo a si buon segno prese animo che presto la Congregazione dovesse erigersi in Monastero ne mancò di usare i debiti termini perché essendo questa Congregazione da principio stata fondata come dicemmo sopra con facoltà dell’Eccellentissimo Consiglio, non si poteva senza il suo beneplacito mutare stato per il 1622, di comune consenso li Illustrissimi Protettori supplicarono l’Eccellentissimo Consiglio di mettere le Vergini in Stato di Religione dal quale fu decretato doversi accondiscendere alla domanda loro. Intanto il negozio stava pendente si per non esservi la sufficiente entrata sia anche per parte di Monsignor Vescovo che si mostrava assai alieno. Finalmente il 1626 si presentò a Roma il memoriale informativo dello stato della Congregazione con la domanda di esser fatte religiose sotto la regola di Santa Teresa. Intesa la domanda dalla Congregazione ordinò al Vescovo che pigliasse informazione sopra il convenuto memoriale e ne facesse la sua relazione. Non avendo a ciò egli inclinazione mandò la cosa a monte e stando così il negozio si perse del tutto la speranza di poter per lungo tempo ottenere l’intento loro. Ma il Signor Iddio che non voleva più indugiare a dar l’ultima perfezione a questa opera come molto insistentemente si era sempre pregato dalle Vergini, permise che in occasione che alcuni cittadini volevano prevalersi del legato di Girolamo Buonvisi per investirla in dote delle figlie desiderose di aggregarsi a questa Congregazione e ricorrendo essi a ciò ottenere, a Sua Santità, come qualche tempo avanti altri avevano ottenuto, il Pontefice da Dio ispirato comincio a indagare per capire per  qual cagione non si fosse concluso il negozio della Clausura e dopo aver inteso che Monsignor Vescovo non aveva dato risposta, domandò a Monsignor auditore Franciotti per qual causa non si tirava avanti il negozio della clausura della quale molti anni addietro se l’era presentato il memoriale.
Egli per dargli più certa risposta ne scrisse a Lucca al Signor Nicolao suo fratello allora Gonfaloniere della Eccellentissima Repubblica e esso prontamente s’informò dalli signori Protettori  della Congregazione, della causa perché non si effettuava quello che con tanta istanza avevano domandato e inteso come tutto passava per suo consiglio si rimandò di nuovo il memoriale e inviandolo al solito alla Congregazione sopra i Regolari, accade che dandone prima informazione privata all’eminentissimo Cardinale Di S. Onofrio, fratello di Sua Santità, acciò favorisse il negozio come capo della sopra detta Congregazione. Egli da Dio ispirato si sentì di condurlo a fine, come in effetti fece, onde di subito diede ordine al molto Reverendo Signor Antonio Nobili Protonotaio Apostolico che rivedesse lo stato delle Vergini e facesse la sua relazione, il quale prese volentieri la carica per aver già buona notizia dello stato delle Vergini avendole un anno avanti visitate per Monsignor Vescovo e così in esecuzione dell’ordine avuto al principio del mese di aprile del 1633 venne a pigliare informazione dello stato temporale e della regolare osservanza fino a quel giorno tenuta e restando da essa pienamente soddisfatto fece la relazione favorevolissima di modo che Sua Eminenza ne ricevette gran consolazione e così bene informò Sua Beatitudine che appagato della buona vita delle Vergini, allì 22 Novembre del sopra detto anno segnò le bolle di erezione  del Monastero erigendolo sotto il titolo di Santa Teresa senza che di ciò ne le fosse fatta istanza, con la facoltà di tener fanciulle secolari in educazione, sotto il governo spirituale di Monsignor Vescovo di Lucca, lasciando l’amministrazione dei beni temporali a tre cittadini da eleggersi dall’Eccellentissimo Consiglio di anno in anno. Addì gennaio dell’anno 1634 furono presentate le Lettere Pontificie nel Senato dal quale furono eletti per Amministratori tre Principali Cittadini cioè: il molto Ecc. mo Signor Cosimo Bernardini, il Signor Geronimo Minutoli e il molto Ecc. Signor Nicolao Franciotti, i quali trovarono che questa Congregazione aveva di entrata di beni propri, censi, frutti del serbo, guadagni di lavoro e altri incenti circa 32000 scudi.
L’erezione del Monastero per vigore delle bolle appartenne all’ Illustrissimo Monsignor Auditore Franciotti e al molto Reverendo Priore di Sant’Alessandro Maggiore di Lucca Cenami e Antonio Nobili. Per il che, il 22 gennaio dell’anno 1634 furono li predetti Cenami e Nobili a visitare le Vergini per intendere la volontà di ciascuna. Le ritrovarono unitamente disposte e risolute di legarsi con Dio medianti i Santi voti che tanto avevano bramato.
Mentre si aspettava l’opportunità del tempo di erigere il Monastero, la Sacra Congregazione per degni rispetti ingiunse di più al Signor Priore Cenami che ricevesse i Voti delle Vergini e li desse il velo della Professione, il che si effettuò il 14 maggio dell’anno 1634 con gusto universale di tutti e singolarmente delle Vergini, le quali per spazio di un mese si esercitarono con maggiore diligenza in abbellire le anime loro con atti frequenti di virtù, ritirandosi ciascuna per una settimana a far esercizi spirituali di orazione conforme a quello  che dal Molto Reverendo Baldassare Guinigi assegnava loro di giorno in giorno riportando da quelli grandissima cognizione si della grandezza di Dio come della propria bassezza dal che ne derivavano affetti di riverenza verso la Maestà Sua e un totale disprezzo di quanto non era dio, onde ben si può dire che questo sposalizio fosse di gioia al cielo, di stupore al mondo e di terrore all’inferno.
Il numero delle Vergini era in numero di 116 delle quali ne professarono 95 Coriste e 10 Converse. Tre le 11 che restavano da professare 4 erano novizie che non si potevano ammettere e le altre 7 si giudicarono inabili come il tutto appare in pubblico strumento rogato da S. Lorenzo Lupori sotto il medesimo giorno del 14 maggio.
( Tutte queste cronache sono scritte nel Libro “Memoriale delle cose Notabili”, in archivio nel Monastero "Santa Teresa" di San Colombano – Lucca .







Dalle Memorie del “ Il Giardino dello sposo Celeste”

Eccellentissimo Signore, non ad altri per certo più giustamente che all’Eminenza Vostra dovevasi dedicare quest’opera poiché riconoscendosi in essa l’idea di un Giardino Celeste, dopo il sole della grazia divina che come provvida giardiniera fin nel passato secolo lo piantò, il benefico influsso della sua gentilizia stella in ogni tempo l’ha reso fecondo di religiose virtù.
Stella propizia fu ad esso l’Eminentissimo Signor Cardinale Vescovo Geronimo Buonvisi  ( già degno zio di vostra Eminenza )  che con i raggi chiarissimi della sua luce dissipò le nuvole che l’oscuravano, con la virtù della sua caritativa influenza vegetò le piante inlanguidire per la mancanza di temporali alimenti e con l’attentissima sua pastorale vigilanza tenne sempre lontano quel fierissimo Aper de Lulia ( ? ) che a suo tempo d’esterminarlo sforzavasi. Stelle benefiche le tre sue nobilissime cugine che per unirsi perfettamente con Cristo calpestarono nella sola casa paterna un mondo intero di gioie e in questo sacro recinto trasformate in deliziose piante, germogliarono tosto tali odoriferi fiori di religiose virtù, che invaghitosene l’Amante divino, due ad esso ben presto ne colse per trapiantarle nel giardino del cielo, lasciando erede però ne meno delle virtù che del nativo splendore, la terza nobilissima sorella che oggi divenuta più splendente di un sole dal più alto emisfero di questo mistico cielo della religione di Teresa Santa, va diffondendo a benefizio delle sue figlie i suoi virtuosissimi raggi.
E finalmente arridendo propizio a i suoi voti l’Altissimo , gode pur oggi questo sacro giardino non meno che tutta questa nobilissima patria, tutte insieme raccolte quelle dolci influenze che da tanti astri benigni le son fin qui derivate, avendo per suo supremo Pastore l’Eminenza Vostra che dalla miniera inesausta del suo generosissimo cuore come da un cielo sempre sereno copiosamente li comparte
Si compiaccia dunque gradire, proteggere e difendere quello che per tanti titoli è suo e nel medesimo tempo non disdegnando gli umilissimi ossequi della mia devota osservanza si contenti che prostata ai suoi piedi mi consacri per sempre.
Dell’Eminenza Vostra
Umilissima devotissima e obbligatissima Serva.
L’autrice dell’opera.

A chi legge

Io spero senza dubbio dover essere gradita la mia fatica da chiunque leggendo anche solo il frontespizio di quest’opera, vedrà che l’invito non è a stancar la mente in materie speculative, ma a passeggiare per diporto in un ameno giardino; non già come quel primo a noi tutti funesto, in cui i nostri Padri colsero frutti di morte, ma tanto più di quello felice quanto che chi in questo vi entri non perde ma felicemente riacquista l’innocenza perduta.  Sacro giardino è il Chiostro, le cui mistiche Piante sono le Religiose, che  radicate vicino alla corrente delle grazie divine producono per se stesse con l’esercizio delle virtù, frutti immortali di gloria, e alimentano altresì tutte quelle che o imitandone l’esempio lasciano d’essere tralci del mondo per unirsi anco loro alla mistica Vite, Cristo, nella Sacra Religione, o stando nel secolo, con la comunicazione frequente ne pascono l’anima propria. E questi sono appunto i due potenti motivi che mi hanno indotto a rappresentar come in figura su questi fogli, l’animato Giardino di questa mia Religione. L’uno cioè a metter avanti agli occhi delle Religiose presenti e future, quelle fruttifere piante che furono le prime a germogliare in questo fertil terreno, acciò che  o riconoscendo se stesse e la lor perfezione non dissimile da quelle, s’infervorino maggiormente nel servizio di Dio, o discoprendosi tralignate in qualche parte, con un innesto opportuno vada ciascheduna richiamando le primiere smarrite qualità di si fecondi germogli.
E il secondo ha fine di dare a chi vive nel mondo un non meno dilettevole che fruttuoso trattenimento ammettendoli in questo sacro giardino dove all’ombra gentile dei verdeggianti suoi allori e allo spirar dell’auree soavi dello Spirito Santo, possono trovare quel refrigerio gradito che tanti sospirano tra gli ardori del secolo. Entri dunque il devoto lettore con il piè dell’affetto in questo ameno recinto per cogliere a suo piacere, gigli di purità, rose di carità, frutti di obbedienza, di umiltà, di mortificazione e di qualsiasi altra virtù, che più si confaccia al suo spirito, che spero non resterà defraudato del suo pio desiderio. E quando altro non brami, sugga pure come Ape industriosa quel celeste liquore che senza diminuire il favo riservato al diletto, ciascuno di questi fiori animati abbondantemente li porge e nella celletta del proprio cuore componendo con quello il dolcissimo miele delle cristiane virtù, vada accumulando a se stesso tesori di meriti per l’eternità


                               

                                Altare chiesa di Santa Teresa – Camaiore - Lucca                  

Fondazione del Monastero
con titolo di Congregazione
sotto gli auspici
dei Santissimi Nomi
di Gesù e Maria

Capitolo 1°

Che l’altissima divina Maestà abbia operato cose maggiori nella sua chiesa per mezzo di debolissimi instrumenti et innalzato fabbriche  eccelse di perfezione sopra fondamenti all’occhio umano impotenti a sostenerne il peso è manifesto per le Sacre Scritture del Vecchio e Nuovo Testamento e ai nostri tempi ancora le sublimi imprese di Fondazioni e Riforme di Monasteri appoggiate dalla sua Provvidenza al debol braccio di povere Verginelle , fanno sempre più fede che infirma mundi elegit Deus ut confundat sapientes.Ed ecco di nuovo al mondo un'altra manifesta prova di questa verità nella fondazione del Monastero che m’accingo a descrivere, poiché da un picciolissimo seme  di pietà seminato dall’Amante Divino nel cuore di alcune   povere zitelle, ne sono prodotti   tali germogli di virtù  che hanno costituito quel sacro chiostro  un giardino di delizie dello Sposo Celeste, che con tal titolo   denominarlo perché del medesimo è stato più volte onorato e dalla lingua e dalla penna di persone insigni in spirito e virtù. Ebbe dunque questo Monastero assai debol principio nell’anno 1588, nel Castello di Camaiore, luogo del dominio della Nobilissima Città di Lucca, per antichità di principio, per circuito di muraglie, per fertilità di terre, per il numero e civiltà degli abitatori, il più riguardevoli  di quella fortunata Repubblica. Perché, venuto in pensiero  per Divina ispirazione   ad alcuni di quel luogo di fondarvi un convento di monache, ne parteciparono il motivo al Consiglio Generale della medesima terra, dal quale fu abbracciata volentieri l’impresa  e deputato il primo luglio  del medesimo anno  un uffizio di 6 uomini  che avessero cura, ne solo di provvedere il sito opportuno, ma il numero delle zitelle e gli aiuti  proporzionati a quell’opera.
Non mancarono  subito opposizioni al negozio, come suol avvenire in tutte le imprese simili indirizzate al servizio di Dio, poiché avendo il detto Uffizio provveduto di casa per dar principio ed essendo concorso per  aiuto della fabbrica e delle annue rendite, oltre il detto Consiglio, l’insigne Collegiata di Santa Maria del medesimo luogo e le due principali Confraternite di San Michele Arcangelo e San Vincenzo martire, quando se ne sperava il compimento non fu per allora possibile ottenere il beneplacito della Repubblica, com’era necessaria per la dependenza del Castello alla Città di Lucca.Deposto per tanto il pensiero di far convento di clausura, stimarono che potesse essere abbastanza per introdurvelo a suo tempo, il fondarvi allora un luogo laico, o Conservatorio, di quelle povere fanciulle, che più esposte nel secolo al pericolo della loro onestà, avessero anche bisogno di maggior aiuto e custodia.
Così, ottenuta con minor difficoltà dal Supremo Magistrato della Repubblica il consenso nell’anno 1590 si diede principio nella contrada di San Michele  sotto la cura di 6 Provveditori, che furono i seguenti: il Capitano Pietro, di Pietro, dell’antica e nobil famiglia dei Fiorentini, qual siccome ne era stato il promotore, così fu anche destinato Preposto e guida degli altri; Paolo Antonioli, il secondo, acciò non mancasse a questa piccola chiesa nascente i suoi Pietro e Paolo per Fondatori; Orazio Beghini, Pietro Bonucelli, Daniello Stefanini e Cristoforo Ricci e dato la cura  del governo  più particolare a due nobili e savie matrone, cioè Caterina Fiorentini De Fatinelli e Beatrice del duca  degli Orsucci. Elessero i Provveditori , nominandone una per ciascuno, le 6 povere fanciulle, cioè Caterina Bonucelli, Maddalena Battacchi, Marchisa Beghini, Caterina di Francesco Bonucelli, Bianchina della Fornaia ed Angela del Mancino, tutte di Camaiore, le quali terminata la Processione Solenne che nel primo di giugno secondo il solito si faceva, dal Clero e Confraternite di quel luogo in onore del Santissimo Nome di Gesù, furono dalle due matrone e loro maestra destinatale per guida, condotte alla casa provveduta a pigione, fin ché il luogo destinato per loro stabile abitazione si fabbricasse e quivi nell’istesso giorno ed anno si diede principio  alla loro buona educazione e prese a denominarsi questa pia Adunanza o Congregazione sotto il titolo dei Santissimi Nomi di Gesù e Maria.
Approvò  l’universale della terra  quanto era seguito e dal colloquio per ciò radunatone di uno per Casa per darle maggiore calore e dalli 6 Provveditori furono nominati i Protettori della nuova Conserva il dottore Orsuccio Orsucci, Priore della Colleggiata, il commissario della Repubblica allora Lorenzo Guinigi e Baldassare Orsucci, cittadini di Lucca, ai quali dopo alcuni anni  fu anche aggiunto il dottor Gio.Battista Antonioli, Priore di Sant’Alessandro di Lucca, come si vedrà più avanti.

Capitolo 2°

PROGRESSO DELLA CONGREGAZIONE E MODO DI VITA TENUTO DALLE PRIME SORELLE
Sotto questa cura e con quest’ordine prendeva ogni giorno   aumento la Congregazione e moltiplicate sin al numero di dodici si rendeva, per la scarsità delle elemosine, ai Provveditori, più difficile il sostenere questo peso, per il che  avendo essi per il corso di anni 4 aiutato la Casa con le proprie facoltà,  particolarmente il Fiorentini, nata anche qualche dissenzione per vedere che i Protettori indavano occupando l’autorità dei Provveditori, acciò nelle discordie non precipitasse così buona opera, quattro dei medesimi Provveditori, cioè il Beghini, il Bonucelli,lo Stefanini e il Ricci spontaneamente cedettero l’amministrazione in mano degli stessi Protettori cittadini di Lucca, sotto la direzione dei quali prese sempre più avanzamento la Congregazione poiché avendo con ogni ardore abbracciata l’impresa, non solo obbligarono per pubblici strumenti le persone loro ( particolarmente l’Antonioli, il Guinigi ed l’Orsucci ), ma i loro eredi e discendenti, a proteggere ed alimentare, caso che bisognasse, il luogo, delle proprie sostanze, come in effetti fecero fino a che non fu eretta la Congregazione in Monastero di Clausura, non perdonando a spesa ed incomodi per aiuto della medesima.
Da questo tempo  cominciò ad introdurvisi forma di vita più regolata, non permettendo alle fanciulle l’uscir di casa fuori che alla Messa e per necessarie ed oneste ricreazioni con l’accompagnamento d’una maestra ed avendo già   acquistati parte con le elemosine, parte coi dinari dotali, alcuni siti in quella parte di terra detta la contrada di San Vincenzo Martire ( come al presente si vede il convento ) fu dai Protettori   dato principio alla fabbrica che nell’anno 1600 rese abitabile, sebbene non perfezionato con oratorio  interiore ed esteriore e con facoltà     dell’Ordinario di potervisi celebrare la Messa dal Cappellano o Confessore. Con l’ingresso di nuove fanciulle cominciò a prendere forma di luogo religioso.
Si condussero nell’anno suddetto processionalmente  e con molto concorso di persone, le suddette Vergini in certo giorno di devozione, al nuovo monastero fabbricato per stabile abitazione delle medesime con pronostico che nel numero e nell’esempio doveva succedere, poiché si vide da tutti come miracolosamente apparire uno stuolo numerosissimo di api che accompagnando   nella processione quelle vergini destinate al servizio di Dio, si attaccarono non senza grande mistero ( com' è credibile ) ad un pilastro  d’una finestra  del convento in quella parte  ove poi fu di nuovo fabbricata la Chiesa e forse in segno che  dovevano l’Api Barberino sotto Urbano VIII, per opera del Cardinale Sant’Onofrio, suo fratello secondo la carne, ridurlo a suo tempo a stato di perfetta clausura Monastica, come seguì, e si accennerà a suo luogo.
Continuarono le fanciulle a vestir abito secolare, ma umile ed abietto e vivevano sotto il governo di Caterina Bonucelli, una  delle prime 6, a cui fu appoggiato il governo della Casa dai Protettori Cittadini, la quale  scoperse subito un gran fondo di talenti e una particolare assistenza della grazia divina nell’indirizzo e governo delle fanciulle,  poiché non solo si rese amabile a tutte  e con le sue dolci maniere legò   l’animo delle medesime e rendersele soggette ed obbedienti, ma con la sua prudenza e vigilanza indefessa evitò molti pericoli ed inconvenienti.
Poiché essendo necessario per la perfezione della fabbrica, poco dopo che vi si furono trasferite, introdurvi diversi lavoratori e maestri, anche di pericolosa età, non permise mai che altre s’ingerissero in quest’affare, ma con la dipendenza dei Protettori, mantenne nel convento tal ritiramento  che anche per istigazione del demonio, incitate da simili persone poco caute, le più giovani della Congregazione seppero mantenere illibata la loro innocenza con la pratica di un inviolabile ritiro e poiché dispiacendo ogni giorno di più all’inimico infernale la buona fama che si spargeva di queste innocenti vergini e la vita raccolta che sotto buona condottiera , menavano, incitò più d’una fiata l’animo di alcuni scioperati a tentar di notte tempo temerariamente l’ingresso nelle stanze del medesimo. Ma non permise Iddio che ne seguisse inconveniente ben minimo poiché appena posto il piede in quella sacra abitazione , si sentirono tirare indietro ( come essi stessi deposero ) da una forza superiore, ne avendo ardire di palesarsi ad alcuna delle fanciulle, e tanto fu lontano che ne potesse nascer disordine, quanto che nemmeno si saria potuto penetrare il lor tentativo, se essi medesimi non si fossero pubblicamente vantati di essere entrati nel monastero e aver osservato le abitazioni e con altre particolarità. Il che poi pervenuto alla notizia del magistrato della città, furono  esemplarmente puniti gli autori del temerario attentato.
Attendevano pertanto queste fortunate piante del Giardino dello Sposo Celeste a cercar come rendersi a lui più gradite. Onde considerando che essendo già arrivate al numero di 20 con abitazioni  e stanze proporzionate, potevano esercitare atti regolari, esposero ai Protettori il desiderio uniforme   che avevano di maggiormente  consacrarsi al servizio di Dio con il legame dei Voti Semplici e di prendere  qualche forma di abito religioso. I quali riflettendo   anche di per loro che la buona vita di queste fanciulle meritava  non solo di essere compiaciute in quello che domandavano, ma l’esser promossa a stato perfetto di Religiose, ottennero per allora  da Monsignor Illustrissimo Guidicioni il vecchio, Vescovo di Lucca,  che potessero prendere l’abito delle penitenti e professare i Voti Semplici nell’istessa maniera che si praticava in altre Congregazioni erette nella città. Onde l’anno 1604 per mano del Venerabile servo di Dio il Padre Cesare Franciotti, sacerdote della Congregazione della Madre di Dio, religioso insigne in virtù e degno  di eterna memoria per la santità delle opere sue, presero le 20 fanciulle così congregate ( tra le quali venivano buona parte della città di Lucca ) l’abito umile delle Penitenti, che consisteva in una  tonaca di lana bianca   con cordone di San Francisco, benda, soggolo e velo di lino bianco ad uso di Monache, nel qual abito e Professione di Voti perseverarono fino al 13 maggio 1634. Ed è ben notabile che siccome la prima  radunanza delle prime  6  zitelle seguì il   giorno dedicato  dal Castello alle glorie del Sacro Santo Nome di Gesù, così il progresso di questa Congregazione fondata sotto gli auspici di questo  Santissimo Nome, seguì pure del medesimo giorno primo   di giugno dell’anno suddetto in cui prendendo l’abito delle penitenti giustamente perciò venne confermata la denominazione di quella  con li gloriosissimi Nomi di Gesù e della Santissima Vergine Assunta.

Queste furono   le prime linee con le quali si disegnò  e abbozzò  da Dio la Fondazione di questo Monastero e la fabbrica spirituale   nelle anime di queste sue elette spose, il che  come si andasse perfezionando con l’abbondanza delle grazie e con la fedelissima corrispondenza delle medesime, si anderà accennando  nei capitoli seguenti.





Capitolo 3°
ENTRANO MOLTE DONZELLE NELLA CONGREGAZIONE
E RIDUCONO L’OSSERVANZA A MODO DI VITA RELIGIOSA
Crescevano nelle anime di queste sacre vergini i desideri concepiti di piacere al celeste sposo ed alla copiosa influenza della grazia che spargeva il medesimo nei loro cuori, già si vedevano spuntare i fiori che avevano da procurare i  frutti di ogni perfetta virtù. Come quando ottenuto nell’anno seguente 1605 il 1° di Marzo la custodia del Santissimo Sacramento nella Chiesa, ovvero Oratorio esteriore, non si può esplicare quanto si stimassero arricchite con questo Tesoro. Quivi furono da lì in poi i loro trattenimenti, quivi il dimorare lungamente in ferventissime Orazione di giorno come di notte, quivi il diffondere i loro cuori in atti ferventissimi di amor di Dio e corrispondendo il Signore con infonderli particolari lumi per il buon incaminamento nel suo servizio, si accinsero unitamente ad esercitarsi nella pratica di tutte le virtù, intanto che essendo ancor di Professione novizie, superarono le più provette religiose di vita claustrale come asserirono gli stessi Protettori del Monastero e si cava dai registri della loro amministrazione onde per contribuire con l’opera loro a si santi principi, i suddetti Protettori non contenti di quanto avevano operato per utile temporale e spirituale delle medesime, disegnarono di ampliar la fabbrica e ridurla in tre distinti appartamenti, l’uno per le sorelle più provette ed antiche, il secondo per le novizie e il terzo per le fanciulle educande, giacché concorrevano a gara oltre quelle di Camaiore molte nobili donzelle  di Lucca, parte per essere anch’esse ammesse in perpetuo in questo sacro recinto parte per abitarvi a tempo in qualità di educande . E la spesa della fabbrica arrivò in progresso di tempo alla somma di 20 mila scudi  perché dovendosi ritrarre il contante dalle elemosine che venivano offerte   e dalle doti di quelle che prendevano l’abito, non si poté stradatamente operare ne darle in breve tempo la perfezione che desideravano,.
Ma perché le Sacre Vergini erano più intente e desiderose della fabbrica spirituale ed i  Protettori non meno di questa che di quella solleciti, li due laici, cioè Guinigi ed Orsucci determinarono  di prendere sopra di loro la totale incombenza di quanto al temporal governo aspettava, acciocché li due Ecclesiastici potessero più indefessamente ed applicatamente badare alla cura della spirituale Economia che perciò il Reverendo Signor Gio. Battista Antonioli a cui dopo non molto tempo restò solamente appoggiata (essendo persona di gran spirito e dottrina ) prese a carico suo così importante negozio, ed assistendolo di sopra la grazia divina, che l’aveva eletto per tal Ministero, cominciò a coltivare quel fertile terreno, con disporre prima una regolata istruzione del modo come ciascheduna doveva guidarsi per piacere allo Sposo Celeste. Descrissero poi in carta a modo di regolari Costituzioni una direzione delle azioni, che dovevano farsi dalla mattina alla sera, diede il suo tempo all’Orazione Mentale, e Vocale, alla lezione quotidiana dei Sacri Libri ed al silenzio. Dispose con discretezza mirabile il viver comune con perfetta povertà e spropriazione di quanto non fosse unanimemente necessario in modo che tra le sorelle non ci fosse chi possedesse cosa superflua e li precise al bisogno e non meno si nominassero sue. Che stessero tutte soggette ad una Priora, quale da principio si eleggeva di anno in anno, secondo il beneplacito dei Protettori ed in progresso di tempo introdusse l’elezione sia di quella come di altre officiali  più importanti al buon governo del Monastero per voti segreti delle medesime vergini, confermando egli l’elezione per due anni. Vigilò e diede ordini opportuni per la buona guardia dei parlatori, facendo che assistessero sempre alle grate e ruote le ascoltatrici elette a tal effetto e che insomma si osservasse quanto dai Monasteri più ben regolati osservare si suole, ne incontrò già egli ne la priora destinata in quel tempo al governo del monastero difficoltà benché minima nel proporre alle sorelle l’Osservanza di queste regole perché aspirando con ogni ardore ad intraprendere tutto ciò che diceva maggior perfezione, con voleri uniformi ad essa si consegnarono e ben presto se ne videro i frutti, facendo ognuna a gara per emularsi santamente nella più esatta pratica dell’Obbedienza e della povertà, della mortificazione dei sensi, del silenzio e di ogni altra virtù e di qui è che l’opinione di gran servi di dio fosse che non avessero queste Sacre Vergini da variare in altro, per costituire e formare un perfetto monastero, che nell’abito esteriore.
Ne qui fermò la semenza Celeste che sparse il suddetto Antonioli in quel terreno santificato, poiché dato che ebbe la regola o direzione del viver esteriore, si avanzò alla coltura dell’interno di ciascheduna facendole conoscere con pubblici  e privati ragionamenti tutti intessuti di sode Massime Spirituali, le facoltà dell’uomo interiore e incaminadole alla cognizione di se stesse a fine di dar la morte a tutto quello che poteva impedire l’unione con Dio e soggettare pienamente la propria volontà alla Divina, incatenando la sfrenatezza dei sensi e delle naturali inclinazioni con il freno di una continua mortificazione ed insegnandole a tener ben soggetta la parte inferiore per godere la libertà dello spirito. Che perciò si trova notata che in quei primi tempi ciascheduna  aborriva gli uffizi di superiorità e di sovraintendenza delle altre, reputandosi ognuna poco atta a sostenere il peso, si occultavano i propri talenti con l’umiltà eleggevasi sempre le cose più vili i ministeri più abietti e si reputava più felice chi più incontrava occasione di mortificazione ed incomodo.
Il ritiro e distaccamento dal mondo e dall’appartenenza di sangue era tale che alcuna non s’induceva ad andare alla  grata se non con precisa obbedienza e perché dal tratto interno con Dio partecipava la loro anima gran luce dal cielo, anche all’esterno ne riflettevano i raggi con la modesta composizione di volto e gravità di parole, in modo che al solo mirarle, i secolari anche più stretti si componevano e compungevano e riportavano da tali visite gran profitto per le anime loro.  Evitavano inoltre tutto ciò che deviar le potesse dal loro santo proposito, onde ancora nei tempi soliti a concedersi ne i monasteri qualche innocente ricreazione come i giorni di carnevale, per conservarsi più unite al loro Sposo ( abbandonato da tanti ) dismessero l’uso introdotto di far rappresentazioni, come trattenimenti (se ben non biasimevoli ) inutili. Domandavano invece di questo con instanze premute, licenza a Monsignor Vescovo di poter esporre nella Chiesa esteriore il Santissimo Sacramento negli ultimi 10 giorni del carnevale e tenerlo 4 ore al giorno con la continua assistenza delle medesime e di chi degli esterni per propria devozione vi fosse voluto concorrere. Approvò il Vescovo il loro santo desiderio concedendo la bramata licenza e allora diedesi principio a questa lodevolissima pratica ritenuta ( benché con divario di giorni ) fino al tempo presente  con grandissima consolazione e profitto delle religiose e dei secolari, che in gran numero concorrono a questa devozione.
Nell’esercizio dell’Orazione mentale si avanzarono   in modo che ben si vedeva che la Santa Madre Teresa  stillava nel cuore di quelle sue future figlie l’istruzione   che ne dà nei suoi libri, poiché non li essendo neanche a notizia le Celesti dottrine della Santa, già la praticavano e non avendo anche abbracciato ne più inteso la Regola di Sant’Alberto, che prescrive ai suoi Professori  il meditar giorno e notte nella legge del Signore, oravano incessantemente non solo di giorno, ma di notte ancora, distribuendone il tempo con assegnar un ora per ciascheduna sorella da impiegare in sacra vigilia avanti al Divin Sacramento in modo che non vacasse momento in cui alcuna di loro non si trovasse a questa devota assistenza, il che, praticato da principio con qualche indiscreto fervore  diè motivo al suddetto Antonioli di moderarlo con ridurre la pratica solo al giorno e alla sera, proibendone alla Comunità l’incomodo della notte, sperimentato nocevole alla sanità di molte, benché alle replicate istanze di alcune, che avendo gustato questa dolcissima Manna del cielo desideravano prevenire l’altre in raccoglierla, concedesse il sorger di notte prima dell’ora comune ed il trattenersi nella propria cella in così Santo Esercizio: a quelle solo però, che, esaminate da lui in secreto, le giudico atte a portare questo peso, di  più di quello delle prescritte osservanze  senza nota di singolarità e detrimento della salute e si trovarono molto così costanti in questa pratica che inviolabilmente l’osservarono fino alla morte.
A questo corrispondeva la frequenza dei Santi Sacramenti e la diligentissima preparazione ai medesimi. Particolarmente si trova nota nelle antiche memorie con dire che, in detti giorni, pareva che tutte le stanze del Monastero fossero Oratorii e spirassero devozione e che ciascheduna applicata ai suoi ministeri, benché distrattivi, dava motivo di raccoglimento all’altra, con il parlar bassamente e solo per mera necessità, col portamento grave, modesto e mansueto, dando a conoscere che ben stava col cuore intento a fare l’albergo all’Ospite Divino corrispondendo poi il frutto in ciascheduna proporzionato alla sua fatica. E mediante questo diligente apparecchio e frequenza al cibo divino, si videro in breve meravigliose mutazioni nelle religiose più giovani e di natura ripugnante alla virtù: cangiavano le natie vivezze in esempi di pietà ed umiltà e le appetenze di gloria in disprezzo di se medesime ed in desideri di  deprimere affatto le proprie passioni  per mezzo di una incessante mortificazione di che  si potriano narrare molti casi particolari, che per venir toccati  nella vita di alcune, nella seconda parte, qui si tralasciano. Come ancora i rigori di penitenza con cui martirizzavano la propria carne, dei quali tratterò più in particolare in tal luogo, bastando adesso solo accennare che universalmente in questi principi della Religione tutte si diedero con Santo fervore  ad esser piamente crudeli con se medesime affliggendosi in tutti quei modi che sapeva inventare l’industria dei loro cuori innamorati di Dio e furono tante e tali le diverse maniere che trovarono per tormentare il corpo, che fu necessario moderarne il fervore con i divieti dell’obbedienza e con una continua vigilanza delle Superiore per far che ciascheduna pagasse almeno il debito necessario alla natura in ordine al vitto, al vestito   e riposo, per non farla restare oppressa o cader sotto il peso della soverchia austerità.
Vi furono molte  che tenevano sempre il letto asperso di piccoli sassolini o un materasso compito di quelli e sopra di essi si coricavano. Altre distendevano la sera sopra i lenzuoli un ruvido panno tessuto di cilicio, altre i toglievano i morbidi materassi o sopra di quelli ponevano una tavola o una croce per dove, penando con il loro Sposo Crocefisso, alcune con industriosa maniera si limitavano il luogo del riposo obbligandosi a stare rannicchiate e ristrette in brevissimo spazio di letto, senza potersi muovere o distendersi un punto, sicché era miracolo che si accostasse il sonno a quegli occhi e finalmente con l’uso dei cilizi, delle discipline, delle catene di ferro, ponendo in servitù la carne e in libertà lo spirito. E tanto basti in questa materia, richiamate da cose maggiori.

Capitolo 4°
ELEGGONO PER PROTETTORE SAN CARLO BORROMEO
DA CUI RICEVONO SPECIALI GRAZIE.

Oltre la particolare devozione che avevano queste sacre Vergini per moltissimi santi del Paradiso, per speciale istinto del cielo, una più tenera e affettuosa ne presero alcune in questo tempo al Santo Cardinale Borromeo e con sentimenti di somma pietà non solo ne celebravano la festa annuale, ma ogni giorno  gli tributavano qualche ossequio ed affetto pregandolo a volersi mostrare verso di loro Protettore amorevolo, con impetrare a tutta la Congregazione spirito e virtù di vere Religiose, secondo la norma prescritta da lui medesimo nella sua celeste dottrina. Al cui devoto zelo corrispose si bene il santo Protettore che ben presto se ne videro anche miracolosi effetti, poiché non solo con le sue intercessioni accese nuove fiamme d’amor di Dio nel cuore delle sue devote, ma fattosi pietoso medico in  universale dei corpi loro liberarli da varie incurabili infermità da cui venivano   incomodate, come si trova registrato nelle memorie antiche del Monastero in autentica col testimonio di più religiose che si trovarono  presenti ai seguenti casi:
Possedeva una tal cittadino di Lucca il tesoro di alcuni grani benedetti, che erano stati propri   del Santo Borromeo, mentre era mortale. Questa persona per somma grazia li concesse alle monache con promessa di restituirli interi nelle sue mani dopo alquanti giorni. Al contatto di questi fatto devotamente e  con vera fiducia da Sr. Maria Vincenza Arnolfini che trattenuta da molestissimi catarri e da un asma implacabile in letto, senza giovargli umano rimedio, erano da anni che miseramente languiva, tosto per divine virtù  restituito alle membra il perduto vigore, si trovò libera affatto da tali indisposizioni con meraviglie di tutte  che immediatamente con voce di giubilo proruppero in affetti di gratitudine verso il loro Santo Protettore. Alla veduta di tal miracolo entrate ben tosto in speranza due altre incurabili inferme   che giacevano in letto nella stanza medesima, con non minor devozione e fiducia, il pregarono a voler liberare anco esse, se era per essere di gloria di Dio ed espediente alla loro salute e accendendosi sempre più in desiderio e speranza, vollero nella seguente   mattina per disporsi alla grazia, devotamente comunicarsi. Dopo la quale applicatasi dalla prima ( nominata Sr. Zita Maccarini ) la suddetta corona, in un istante     restò libera affatto ad una ostinata  paralisia che per tre anni continui  l'aveva tenuta in estremi dolori, senza mai più risentirne. La seconda, che fu Sr. Maria Stella Nuti, travagliata già da molti anni da varie stravagantissime indisposizioni in tutto il corpo, sperimentò ancor essa l’efficacia di quei grani santificati perché ove prima non poteva ne discender dal letto, ne fare un passo senza l’aiuto di molte, che la sostenessero in piedi, in un subito fu risanata del tutto, godé per qualche spazio di tempo perfetta salute, benché poi, per divina disposizione ricaduta in altre simili indisposizioni, piacesse al Signore esercitare non meno questa sua serva nella pazienza che l’altre nella carità per lo spazio di anni 18 che sopravvisse, sempre necessitata a star in letto con estremi dolori e gravissime infermità. Convenendo poi alle Religiose   restituire la detta corona al padrone di quella con motivo di devozione industriosa per non perdere affatto il tesoro goduto, fecero toccare con essa altre corone e grani lor propri con speranza che restasse comunicata a quelle l’efficacia della  medesima divina virtù, ne restarono per certo deluse, perché caduta in infermità incurabile, anzi storpiatasi delle membra Sr. Vincenza Gianpaoli, singolarmente delle gambe in modo che per muover il passo l’era necessario l’aiuto delle stampelle e dopo alcuni mesi così travagliosamente passati, al rinnovarsi la festa di detto Santo, con viva fede  fece ricorso alla di lui  sperimentata pietà e toccatasi con una delle dette corone le membra offese, in quel medesimo istante restò libera affatto di ogni storpiatura, godendo da li in avanti perfetta salute.
Ne solo in questa Sacra Abitazione si provarono così mirabili effetti, ma ne parteciparono molte persone secolari, per mezzo del contatto di quello, quali non sono qui raccontati  per non esser propri di questa istoria.
Aumentossi pertanto nei cuori d’ognuna la divozione verso il loro Santo e con voti  uniformi eleggendolo per avvocato della Congregazione, stabilirono particolari e universali digiuni nella vigilia della sua festa e maggiori solennità nel celebrar la medesima, come ancor quotidiani tributi di gratitudine per le grazie ricevute e continuo ricorso alla sua intercessione per ottenerne di nuove. Ne andarono a vuoto le loro preghiere, sperimentandone sempre continuata la protezione poiché oltre il vedersi aumentare nel monastero ogni giorno di più lo spirito religioso in  Santa unione di carità, con nuovi effetti di grazie miracolose l’anno 1633 se li fece conoscere nuovamente cortese e costantemente benefico nella persona di Suor Costanza Prosperi, per corrispondere alla costanza dei loro cuori nel venerarlo. Si trovava questa religiosa ridotta all’estremo per una infermità gravissima di febbre, accompagnata da gravissimo accidente, che era consumata fino all’osso per le continue convulsioni di stomaco che le rendeva noioso il vivere e già disperata da i medici, stava con brama attendendo il fine, quando una notte ( e fu l’antecedente alla vigilia di Natale ) credendosi assolutamente morire per l’aumento degli accidenti mortali, improvvisamente udì intorno a se quasi sensibilmente una voce che li diceva: domandate a Dio la sanità per l’intercessione di San Carlo. Ma poiché ben stava lontana da quel pensiero non prestò fede alla voce, o motivo interno che fosse e prestamente distoltasene applicò ad altro la mente parendole più proprio di pensar alla morte vicina che alla sanità. Replicò la seconda volta la voce con nuovo stimolo interno di domandar tal grazia e lei neppure voleva applicarci il pensiero. Ma incalzando vie più la terza  volta con forza maggiore per togliersi da quell’importuno motivo che le pareva disturbasse la sua quiete, piuttosto che per speranza che avesse di recuperare la salute, si arrese e domandò la grazia della sanità a quel benigno intercessore, che la muoveva a richiederla, ne tantosto ebbe fatta l’istanza, che sentissi perfettamente risanata con vivissimo stimolo di levarsi immediatamente dal letto per partecipare a tutte la ricevuta grazia. Si trattenne però essendo l’ora a metà della notte, ma la mattina per tempo avvisata l’infermiera del successo seguito, voleva per ogni modo levarsi per intervenire all’orazione con le altre, ne permettendoglielo la sorella fermossi di nuovo, fino che terminate le funzioni della Chiesa, le consentì finalmente
di soddisfare a se stessa, con che disbrigatasi prontamente dal letto, con estremo giubilo, portossi alla presenza della Priora e di tutte le monache con dirle esser perfettamente guarita, raccontandole il successo seguitole la notte e tutte le circostanze del miracoloso favore. Si congratularono tutte le sorelle con essa e lietamente cantarono in rendimento di grazie il Te Deum Laudamus, dopo il quale,  Sr. Costanza pregò la Priora di darle licenza non solo d’intervenire alle Osservanze comuni, ma di digiunar come l’altre in tal giorno per prova, che non  aveva bisogno di convalescenza, sentendosi ritornata nel primiero vigore, al che acconsentendo, eseguì prontamente il tutto e con nuovo fervore si esercitò da li in avanti in ogni sorta di ministero, lodando sempre la bontà del Signore e del suo potente Avvocato.
Si porriano narrare altre molte grazie simili a queste, ma bastino le accennate per far conoscere alle Religiose di questo monastero la protezione che ne ha avuto il Glorioso Arcivescovo San Carlo Borromeo e quali siano le cause oltre il merito immenso di così gran Santo per le quali oggidì  ancora se li rendono divoti tributi d’ossequio e devonsi continuare così per sempre in questo luogo a cui si è mostrato parziale e benefico.





Capitolo 5°
SI COMINCIA A TRATTARE DI ERIGERE LA CONGREGAZIONE IN MONASTERO DI CLAUSURA E, DUBBIOSE DI QUAL REGOLA STIANO PER ABBRACCIARE, VENGONO DA DIO ILLUMINATE.
Già la celeste fragranza delle religiose virtù che si praticavano nella Congregazione erasi sparsa non solo nel Castello di Camaiore, ma arrivata fino alla Città di Lucca e più oltre ancora, aveva tirato dietro a se maggior numero di donzelle onde in poco tempo si vide il Monastero riempito di sopra cento Vergini e cinquanta secolari educande, molte delle quali attendevano l’opportunità di essere arruolate fra quelle ed  essendosi con le elemosine dotali delle medesime ( che cominciò ad esser più considerabile), rimborsati i Protettori per la spesa della fabbrica, si attese a ridurla a perfezione dilatandola maggiormente per render il Monastero capace di numero così grande di soggetti, che ogni giorno concorrevano.
Già l’animo di questi divoti Signori, che assistevano all’opera, presagiva a loro stessi un non sa che di più grande a che Dio voleva innalzare questa sacra abitazione, che però con fermissima costanza si opposero altre difficoltà, superarono le mormorazioni del Popolo  e  i sinistri accidenti che accorsero, poiché dispiacendo soprattutto all’inimico infernale, che si fabbricasse questa fortezza, il quale prevedeva doveva rendersi insuperabile a i suoi assalti maligni, tentò due volte con far rovinare parte dell’edificio, di gettarla a terra. Ma non perdendosi d’animo i suddetti Protettori fecero ben presto rialzar la muraglia a proprie spese, segnalandosi in questo il Signor Gio. Battista Guinigi, che erede della pietà del Signor Lorenzo, suo Padre, tolsero infiniti incomodi e disagi per dar perfezione a questa opera.
Vivevano intanto le sacre Vergini una vita di Angeli terreni e con la continuazione dell’Osservanze accennate di sopra, formavano la norma delle più perfette Istituzioni Monastiche, ma non per tanto si fermavano quivi i loro desideri, aspirando ogni giorno a maggior perfezione e il Celeste Sposo che l’aveva guidate a questa Congregazione per unirle più strettamente a sé, sparse con potente ispirazione ne i loro cuori desideri uniformi di dare al loro istituto qualche forma migliore, co promuoversi alla clausura e ad una parziale Regola, per militare sotto lo stendardo di qualcuno dei più celebri Fondatori
Stimavano essere poco utili alla Chiesa e di minor profitto a se stesse la Congregazione loro, perché vagabonda e errante ( per così dire ), ne assistita e istruita da un proprio capo, onde con voti universali per molti giorni domandarono a Dio lume per accertare ed eleggere quella sorte di vita regolare, che più grata negli occhi suoi e più utile all’anime loro dovesse riuscire. Ma con opinioni discordanti tra esse, benché più volte conferito e trattato questo punto insieme, non sapevano risolvere sotto quale stendardo la loro Professione Monastica avesse dovuto arrollarsi e ascriversi.
Viveva in quel tempo nel Monastero una religiosa di non ordinaria bontà di vita, favorita da Dio con singolari grazie, nominata Sr. Cherubina dell’Agnus Dei (che darà copiosa materia a quest’opera con la sua vita). A questa, per tanto, in tal perplessità ricorsero le monache e il Protettore Antognoli che allora assisteva in grado di confessore. Li disse   un giorno chiamandola avanti a se:<< Voi vedete in quale applicazione stanno fisse le vostre sorelle, o figlia, tutte cercano la maggior gloria di Dio, ma nei mezzi poi non convengono. Bisogna chiedere a Dio il suo lume per accertarne l’intento con sicurezza. Domani la Chiesa onora l’Evangelista San Marco, protettore della Patria in cui nasceste ( era nativa di Sesto Castello Del Friuli ). Voglio che Voi, stringendovi nella Santa Comunione con Dio, il supplicate a degnarsi che si conosca da noi, solo a Sua Gloria, quale sorte di Regolar Clausura abbia da osservarsi in questi vostri chiostri. Esso inspiri le nostre menti, dia vigore alle nostre mani.>>
Ricevuta che ebbe Sr.Cherubina questa Obbedienza, tutta la notte orò. Presentatasi poi la mattina  alla Sacra Mensa, fece al suo Signore le ordinate istanze con tutto il fervore del suo spirito e appena ricevuta la Sacra perticola, alienata dai sensi, le venne dimostrato qualche piccolo barlume dell’Istituto da professarsi sotto il geroglifico d’una vaga colomba che variamente raggirandosi sopra la testa dei 4 Fondatori delle Religioni Mendicanti, finalmente si posava in seno alla Santa Madre Teresa, che insieme  con li suddetti pareva vedere avanti il trono di Dio. Ma perché troppo oscura se li rendeva questa visione, non penetrandone la sua mente il mistero, ricorse con nuove istanti preghiere al suo Sposo e all’aiuto della Santissima Vergine e recitando le sue litanie, a quelle parole “ Filii Redemptor Mundi Deus “ fu di nuovo innalzata la sua mente alla sopraddetta rappresentazione della colomba, che scintillante di fuoco e riempiendone il seno di San Domenico e Santa Teresa, replicò per tre volte i sopraccennati voli, quasi incerta ove posare il piede. Ma di copiose faville intanto sollecitavasi riempire il grembo di ambedue e allora prendendo il glorioso Patriarca Domenico nelle mani quello scintillante volume, ne fece grazioso dono alla Santa Madre Teresa,e la mente di quella serva di Dio restò illuminata a conoscere che la sua Congregazione era per professare il nuovo regolare Istituto sotto la protezione di Lei e palesando al suo Superiore quanto li era accorso nel suo raccoglimento lasciò ad esso il giudizio di questo fatto. Ma essa da quel punto tenne sempre per indubitato l’evento, nonostante le contraddizioni che poi  s’opposero, anzi conoscendosi di più da Dio a precorrere con i suoi passi la perfezione di quella vita, con il consenso della Madre Priora e Confessore, per esprimere in se stessa il rigore della Nuova Regola, cominciò a vestir ruvida lana sopra le nudi carni e a ricoprir la testa di rozzi veli.
Esaminato per tanto il senso dell’accennata visione parve non improprio al suddetto Antognoli e alle monache, alle quali egli rivelò l’Istituto anteposto e operando la Grazia Divina nell’animo loro, inclinò gli affetti a abbracciare unitamente, seguendo l’orme di quella che vedevano destinata da Dio per mediatrice in quel negozio.Ma perché tal risoluzione non dipendesse solamente dalla loro volontà, essendoci necessario il consenso del Magistrato di Lucca, a cui fin da principio si era resa soggetta la Congregazione, non potendo cangiare stato senza il beneplacito di quello, si deliberarono presentare le istanze per mezzo dei Protettori all’Eccellentissimo Consiglio. Come ben presto eseguirono. Venendo udita benignamente la supplica da quel nobilissimo Senato ( decretando che si condescendesse alla giusta domanda di quelle Sacre Vergini, purché vi concorressero i debiti requisiti di competenze, entrata e il consenso dell’Ordinario )
Non ebbe effetto allora il graziato memoriale, poiché calcolate le entrate stabili per il mantenimento perpetuo del Monastero, si trovarono scarse e Monsignor Vescovo poco inclinato a dare il suo beneplacito fu il secondo scoglio, che trattenne il corso e i desideri ferventi di quelle anime fortunate.
Capitolo 6°
SI PROCURA IL BREVE DA ROMA PER LA CLAUSURA
E S’INCONTRANO NUOVE DIFFICOLTÀ.

Non sbigottite da questo insuccesso, le Sacre Vergini con maggior fiducia unitamente ricorsero all’orazione, sperando di ottenere per tal mezzo quello che al giudizio umano già pareva impossibile. Ne fu breve la dilazione in cui sempre costanti non mai s’intiepidirono in questo intento, poiché dall’anno 1622 fino al 1628, per il corso di 6 anni continui fu da Dio provata la fermezza dei loro cuori stando pendente il negozio senza esservi più chi ne volesse trattare, senza minima apertura di strada da poterlo rimettere i piedi, quantunque i Protettori medesimi con regolare cautamente gli interessi del monastero, paresse che andassero a mira di togliere l’opposizione incontrata  circa la scarsità di entrate. Ma troppo bene si agitava la causa nella Corte del Cielo e alle replicate istanze di quelle sue fedelissime serve, la Divina Maestà già graziata la supplica, assicurava per una parte i loro cuori di gradirle Spose, ma per allora permetteva che conoscessero le difficoltà, provando in tal modo di qual lega  fosse l’ora della carità di cui erano tutte arricchite.
Or mentre   pensavano tra mille perplessità, dubitando già molte se fosse o no gradito a Dio quel loro intento, piacque al medesimo discoprire un raggio di luce per conforto di ciascheduna, con dar nuove sopranaturali illustrazioni alla Religiosa accennata di sopra , della Sua Volontà.
Aveva la Madre Sr. Cherubina  dopo la visione sopraddetta indicante il nuovo Istituto Monastico, ricevuto altri lumi da Dio sopra la Regola e l’abito che dovevasi usare in quel monastero, con replicate cognizioni di doverne manifestare le notizie ai Superiori e domandar licenza di mettere lei per prima in pratica il nuovo modo di vita, come aveva fatto in ordine al vestir lana sopra le nudi carni. Ma sia perché non vi era apparenza per allora di mutar stato, e sia perché quando pur vi fosse stato di nuovo promosso il negozio, trattandosi di un affare intrecciato da molte difficoltà, stimava se stessa inabile a superarle, si tratteneva a darne cenno, racchiudendo nel segreto del suo cuore i segreti del cielo, pregando intanto la Divina Bontà unitamente con le altre ad indirizzare il tutto a sua maggior gloria.
Non poté però resistere al divino volere che la voleva mediatrice in quest’opera, onde ad un impulso più potente che ricevette un giorno dalla Beata Vergine, scoperse alla Superiora averle il Signore Dio dimostrato esser sua volontà che lei vestisse di abito santo all’uso dei Carmelitani, per argomento che tutte le altre monache sarebbero per professare in breve questa regola, dover essere questo di maggior gloria di dio e della Sua Santissima Madre, che perciò la pregava a far si che tutte consentissero nell’atto presente e abbassar l’umano giudizio per obbedire al volere divino.
Udito che ebbe la Priora questa proposizione, rispose che nella seguente mattina avrebbe conferita questa richiesta con i Superiori dai quali dipendeva la deliberazione assoluta, soggiungendole:<< Io per mia parte vi do licenza.>> Ciò detto, fece convocare il Capitolo delle Monache, Sr. Cherubina stava genuflessa innanzi alla Madre Priora con modestia uguale alla sua riverenza e in eccesso di mente vide che la Beata Vergine e la Santa Madre Teresa assieme con i suoi santi avvocati le facevano grata accoglienza e prendendo la Santissima Vergine dalle mani del Suo Figlio Gesù ( che Crocefisso se le rappresentava in quel punto ) una tunica di color tanès intinta nel Sacro Costato, dalla medesima la rivestì dicendole che dell’abito vecchio perfettamente spogliandosi sotto quel nuovo si ricoverasse. Seguitò sino alla fine a somministrarle  la beata Vergine mentalmente insieme con la Santa Madre Teresa, il rimanente del nuovo abito e Sr. Cherubina   tutte queste operazioni   riceveva in se, come se in effetti e sensibilmente ogni cosa rappresentata, all’atto realmente si riducesse. Così dalla Piaga della confitta mano sinistra la Beata Vergine ricavando una breve cintura in compagnia di Santa Teresa  ne cinse Suor Cherubina, dicendo che quello saria stato il suo scudo contro le tentazioni; dalla destra ritrasse un lungo scapulare del divin Sangue  con la tonaca asperso nell’istessa maniera, a lei sopra le spalle il depose, dicendo:<< Jugus meus suave est et onus meus leve. >> La piaga che sul dorso  del Salvatore aveva fatto la croce li espose un bianco manto, di cui ricoprendo ella a questa sua serva le spalle , disse:<< Da  questa veste riscaldate le mie figlie. Sequuntur Agnus quocumque ierit. >> Un negro velo della sacrata testa ritolto, collocò sopra la testa  a lei, invitandola a dire: << posuit Signum in facie meam, ut nullum praeter eum amatorem admittam >> Così dell’abito Carmelitano per mano della Santa Vergine e di Santa Teresa, Suor Cherubina vestita, sentì da una eccessiva allegrezza ricolmarsi il cuore onde trovandosi a meravigliosi affetti sopranaturalmente portata parvele per virtù d’amorosa comunicazione, di essere tutta trasformata nella Beatissima Madre di Dio. Perciò, quasi rappresentasse la persona della  Beatissima Vergine, volgendo il suo parlare alle monache quali parevale rimirare in Dio, con lingua estatica si, ma con parole articolate e sonore, le disse :<< Vultis vestigia mea sequi? >> Le monache , che pure attualmente presenti si ritrovavano, risposero con sentimenti uniformi, che sì! E l’istessa Priora in nome di tutte replicò affermativamente che sì!
Allora Suor Cherubina in persona pure della Beata Vergine soggiunse : <<  Deo protectione meam vobis promitto vosque dulciter amplector. >> Poi continuando a rappresentare la medesima proseguì ad esortare le monache tutte in nome e per amore dell’Unigenito suo, a voler avanzarsi nel cammino delle virtù per l’orme da ambedue loro segnate e non diffidare mai nei vostri accidenti ( soggiunse ):<< Io, vostra Protettrice e di queste religiose. Appresso il mio Figlio, sempre sarò! Ma è necessaria l’unità degli animi vostri per apprendere con fervore questa riforma.( Ciò disse perché conosceva che alcune dissentivano nella qualità dello stato religioso da prendere) Orate, perciò soggiunse, et unanimiter sine intermissione orate.>>
Ebbe in quell’istante, la Serva di Dio, cognizione che, nonostante moltissime difficoltà, tra poco rimanendo stabilito tra loro di ricevere l’Osservanza Carmelitana, si sarebbe ottenuto ancora la Clausura Monastica, ma per Divina Virtù e col mezzo di interrotte orazioni, le quali erano per superare ogni intoppo molesto con sopranaturale aiuto, esortò pertanto le monache a star di buon animo e disporvisi con li esercizi delle virtù e a rinnovare in Dio tutte le migliori speranze col cenno di così care novelle.
Poi, in persona pur della Beata Vergine, benedicendo le monache disse:<< Sequimi hilariter ut promitisti! >> E tacque per un poco. Poi domandò di nuovo alla Superiora l’abito tanes con umilissime istanze e le fu concesso consentendovi le monache, le quali intenerite e commosse da questa devota rappresentazione non si può esplicare quanto i loro cuori di nuovo si accendessero nel desiderio dell’insinuata Riforma.
E vedendo sempre più manifesti i contrassegni della Divina Volontà, dopo nuove consulte e orazioni fervorosissime deliberarono tentar nuovamente l’impresa, col ricorrere per la grazia al Sommo Pontefice. Già avevano i Protettori, come si è detto sopra, cumulato le entrate del Monastero, sospendendo ogni altra spesa di fabbriche e di provisioni non precise al bisogno e concorrendo a gara sempre nuovi soggetti, nel corso di questi 6 anni ridussero la medesima alla somma di scudi vicino a 2000, contandovi poi molti incerti, che in censi vitalizi, in paghe di educande e in utili di lavori stavano fondati. Mossi questi Signori dall’istanze delle monache ( e più da Dio che voleva perfezionare il loro stato ) finalmente risolsero presentare il Memoriale alla Santità  di Urbano Ottavo, a nome delle Vergini supplicanti, d’esser promosse alla clausura sotto la Regola Carmelitana Riformata da Santa Teresa, da mitigarsi in quella parte che fosse
stimata improporzionata alla di lei perfetta Osservanza. Ciò venne eseguito con ogni diligenza e prontezza e la Santità   di quel grande Pontefice sempre intento a promuovere  l’impresa del servizio di Dio, udì benignamente la supplica, rimettendone il trattato secondo il solito, alla Congregazione da cui fu commesso la cura di prendere informazione sopra lo stato presente del Monastero al Vescovo di Lucca Monsignor Guidiccioni, il quale poco inclinato, come s’è detto sopra, a favorire il negozio, andava differendo di giorno in giorno l’esecuzione dell’imposta incombenza. E il demonio cumulando le difficoltà quasi monte a monte non si stancava d’opporsi a quest’opera. Vivevano le monache con gelosia del successo, si negoziava con oscurità e piuttosto che motivi di speranza apparivano solo indizi di timori e di dubbi che nemmeno questa volta fossero per conseguirne l’intento. E veramente, non prima di altri cinque anni fu richiamato alla vita questo addormentato e quasi morto pensiero e ciò successe come si dirà nel capitolo seguente.
Capitolo 7°
SI OTTIENE IL BREVE DA ROMA
CON FACOLTÀ DI MITIGARNE LA REGOLA
IN ALCUNI CAPI.
Desideravano monacarsi in quel Monastero alcune Nobili giovanette di Lucca. I padri di esse disegnando applicare in dote a loro non so quale ricco legato ad…… con supplichevole memoriale, si presentarono ai piedi del Sommo Pontefice Urbano per ottenere questa grazia. La pastoral vigilanza che tenne sempre desto questo grande Pontefice ad ogni applicazione anche delle più minute, tra i pesantissimi affari della Santa Sede, riportò subito con tal occasione alla sua mente l’idea dei trattati altre volte venuti a favore delle Sacre Vergini di Camaiore e domandò quale accidente avesse interrotto il corso alla desiderata clausura di esse. Queste poche voci furono bastanti a richiamare alla vita il negozio già morto. Ed essendole stato risposto che Monsignor Guidiccioni non ne aveva mai presentato la relazione commessale dalla Sacra Congregazione, domandò a Monsignor Auditor Franciotti quale ne fosse stata la causa ed egli per più accertatamente rispondere, ne scrisse prontamente al Signor Nicolao, suo fratello, allora Gonfaloniere della Repubblica, il quale subitamente informatosi dalli Protettori della Congregazione e intese le difficoltà che aveva tenuto indietro il negozio, per suo consiglio fu ben presto rinnovato il Memoriale primiero appresso la Congregazione dei Regolari, di cui, essendo capo Antonio, Cardinale del titolo di Sant’Onofrio, fratello di Sua Santità     ( Urbano VIII ), ad esso si procurò che prima venisse fatta una piena informazione per restar nel suo animo accesi motivi da favorire il trattato.
Egli in quel punto, per particolare inspirazione del cielo, si sentì inclinare a promuovere opera così santa. Si esibì all’impresa, l’abbracciò e in effetto la condusse al desiderato fine. Fu di nuovo commessa la cura di referire sopra lo stato presente delle Vergini supplicanti al Signor Antonio Nobili       ( soggetto veramente nobile di questa patria!) benemerito della Chiesa e molto noto nella corte di Roma, il quale pochi mesi avanti aveva come Ordinario visitato il Monastero appunto per ordine del Monsignor Vescovo Guidiccioni. Avuta in breve tempo una pienissima informazione e ricevuta con gusto dal Cardinale di Sant’Onofrio, fu segnata dal Pontefice la sospirata grazia e indi a pochi giorni meravigliosamente si videro spedire le Bolle sopra l’erezione della Regolar Clausura nel Monastero di Camaiore.
All’arrivo di quanto si era operato in Roma a favor loro, non si può descrivere quanto giubilo ricolmasse il cuore di queste religiose, già tanto abbattuto  dalle difficoltà. Ma molto meno può esprimersi la repentina gioia che occupò la mente e tramutò il volto delle medesime all’arrivo della Bolla Pontificia pervenuta nelle mani della Priora la seconda settimana di gennaio dell’anno 1634, nella quale vedevasi essere stata spedita la grazia sino sotto il dì 21 del passato novembre. Tutte in un tempo alzarono al cielo il cuore e piegarono a terra le ginocchia, riconoscendo con tenere lacrime e affettuosi ringraziamenti venir loro così prezioso tesoro dalle mani del Celeste Sposo, a cui si offersero novelle spose disegnando da quel punto impiegar ogni studio  per disporsi a quel giorno felice nel quale, con la Professione Solenne dei Voti, dovevasi celebrare questo Sacro Sposalizio.
Nel Pontificio Diploma fu dunque instituito, in Monastero di Regolar Clausura la Congregazione di Gesù e Maria già eretta nel Castello di Camaiore, sotto l’invocazione di Santa Teresa, con la Regola Carmelitana da mitigarsi e moderarsi oltre la mitigazione di Sant’Alberto in quella parte che ancora troppo austera paresse o difficile ad arbitrio di Giudici delegati. Erano questi: l’Auditor della Camera, Alessandro Cenami, Priore dell’insigne Collegiata di Sant’Alessandro Maggiore di Lucca e Antonio Nobili di sopra nominato. L’assoluta e libera giurisdizione del Vescovo in quanto allo spirituale, veniva eretto; e in quanto alla temporale amministrazione in ordine a tutto ciò che a  qualsivoglia sorte di entrate possa appartenere, tre nobili Cittadini di Lucca, dovevansi deputare dal Senato, i quali, a suo tempo, fossero venuti dar conto del ministerio loro, nelle mani dell’Ordinario.
Molti opportuni e santissimi Decreti le Bolle in se  contenevano. Tra gli altri : che l’ordinario numero delle monache non sia  più di 50 e che quelle che l’eccedevano s’intendano esser sopranumerarie. Che 20 almeno  di queste 50 Monache esser native di Camaiore e che il numero di 20 luoghi per 20 fanciulle Camaioresi, sempre fisso e reservato rimanga, ne i quali benché per lunghissimo tempo vacante, non possa alcun altra estranea esser sostituita.
Che l’ordinarie Doti delle fanciulle Camaioresi sia cento scudi di meno delle altre doti, le quali devono essere di scudi 400 più la suppellettile familiare. Che nelle sopranumerarie sia duplicata rispettivamente la dote e tante sopranumerarie possano riceversi dal Capitolo delle Monache quante possano alimentare comodamente con l’entrate annuali del Monastero.
Che le dotali elemosine  da impiegarsi in vantaggi del Monastero realmente e con effetto si sborsino ( secondo che il Sacro Concilio di Trento dispone ) nelle mani del Depositario di esso, da approvarsi dall’Ordinario.
Che eccettuato i Voti Regolari, legge o Costituzione alcuna di questo Monastero non possa indurre obbligo di peccato se non fosse la trasgressione di quelle cose che o per propria natura o per legge comune  alla pena del peccato, soggiacciono.
Che dalle Monache possano educarsi giovanette secolari, pur che sia destinato e separato  l’appartamento di esse dalle stanze delle monache.
Concedonsi in fine a questo Monastero i Privilegi tutti e le Indulgenze che in qualche modo e in qualunque luogo, ogni altro Monastero di questo Ordine suol godere.
Ben presto si diede mano a distinguere la novella Regola con la moderazione ordinata nel Breve  onde il sopra nominato Priore Cenami, uomo di molte lettere e nelle cose dello spirito versato, di costumi esemplari e inclinato alla pietà, a cui ( remosso per la grave età Giò Battista Antognoli ) fu commessa dal Papa la spirituale sovraintendenza del medesimo Monastero  e per molti anni la tenne. Esso dico si trasferì perciò a Camaiore, ove fatte prima molte devote premesse a Dio, aiutato dalle particolari e universali orazioni delle Monache, più volte con la Priora e con le più prudenti deputate si ritrovò a trattare   sopra questo negozio. Così dopo molte e accurate reflessioni fatevi sopra, dichiarò egli la Mitigata Regola Carmelitana che fu un tempo stabilita da Alberto Patriarca di Gerusalemme sotto il Pontificato di Innocenzo 4° e le sue maggiori sostanze sono appunto quelle che seguono:
Avrà ciascuna sorella la sua cella separata, se comodamente si potrà, posta nei comuni dormitori e avanti di essa verrà una cortina di tela bianca alquanto grossa e i mobili siano proporzionati alla Povertà Religiosa.
Gli esercizi manuali non si eserciteranno nelle celle, ma nella sala comune
E in quanto a quello che la Regola comanda con dire che si mediti giorno e notte nella legge del Signore si dichiara che sattisferà quella che la mattina proporrà fermamente di migliorare la vita sua e la sera farà il suo  esame di coscienza, detestando le colpe e proponendo emendazione. E si ricordino che la presenza di Dio le guarderà da molte cadute, conforme il detto di………Proponeba Dominu in conspectu meo semper, quonia a dextris est mihi ne commovear.
Prenderà ciascuna la sua refezione nel refettorio comune se non sarà da infermità o altra legittima causa impedita.
Quelle che saranno Professe avranno l’obbligo di recitare l’Officio Divino in Coro, non avendo legittimo impedimento, secondo il Breviario Romano, con gli uffici dei Santi, secondo l’Ordine Carmelitano. Il Mattutino si dirà in inverno un’ora avanti giorno e nell’estate circa la levata del sole.
Digiuneranno    oltre le vigilie comandate dalla Chiesa, la vigilia di Santa Teresa, le vigilie delle principali feste della Beata Vergine Maria, che non hanno precetto. Digiuneranno ogni giorno, eccetto le domeniche, dalla festa di santa Caterina Vergine e martire, sino alla natività del Signore e daranno principio al digiuno quadragesimale la domenica quinquagesima. Tutti i venerdì dell’anno si osserverà il digiuno, ma occorrendo in tal giorno festa di precetto, digiuneranno il sabato e se in quella settimana occorrerà altro digiuno, sarà lecito lasciare quello del venerdì.Non potendo la fiacchezza delle sorelle soffrire la perpetua astinenza dalle carni, si concede che la domenica feria  prima, seconda, terza e quinta possano esse cibarsi. La  feria 4° se ne astenghino, salvo in caso d’infermità o debolezza.
Essendo, secondo la Regola Primitiva, obbligate le Monache Carmelitane, ad osservare silenzio dopo Compieta, fino a detta Prima del giorno seguente, quello si osservi con ogni rigore nel dormitorio, dispensandosi con esse nelli altri luoghi e officine sino che sia terminata l’ora della ricreazione. Si tenga ancora silenzio ogni giorno per lo spazio di 3 quarti d’ora,  dandoli principio dall’ultimo segno del vespro, in modo che tra il silenzio e il vespro ( sia solenne o no ) ne si spendo solo un ora. Nella quaresima poi quando si dice il Vespro nei giorni feriali prima di desinare, si spenderà l'ora intera che segue in lezione spirituale e in silenzio. 
Capitolo 8°
SI PROFESSA DALLE MONACHE SOLENNEMENTE
LA NUOVA REGOLA CARMELITANA
Si erano, poco dopo giunte le Bolle Pontificie, portati da Lucca alla personale visita del Monastero li sopra detti Priore Cenami e Antonio Nobili delegati alla futura erezione e avendo formalmente ascoltato ciò che ciascuna delle religiose  volesse intorno alla Professione Religiosa del nuovo Istituto e molto soddisfatti della concorde volontà di esse e del santo fervore che in quei puri cuori ritrovarono, li fecero sapere di dover stare preparate per ricevere in breve la stabilita solennità.
Fu perciò mandato nel principio di aprile 1634 per confessore straordinario al Monastero il Padre Baldassarre Guinigi della Congregazione della Madre di Dio, acciò dovendosi dare ormai principio a quella santa introduzione, andasse egli disponendo quelle anime innocenti alle volontarie catene dei santi voti solenni. Un mese intero spesero in adornarsi con atti pratici di ogni maggior virtù. Per otto giorni si occuparono solamente  in Esercizi Spirituali, secondo il prescritto di Sant’Ignazio nel modo che di giorno in giorno dal medesimo confessore erano distribuiti. Ciascuna allora si ingegnava di conseguire con santa sollecitudine e fervore impareggiabile quella particolare perfezione la quale più reputava necessaria a se stessa per più piacere al suo Dio. Con questo ordine ebbero tutte le monache comodissimamente il modo di soddisfare alla propria devozione, senza confondersi nell’universale. Fu copiosissimo il frutto che terminato il mese, si raccolse nel Monastero sulla fronte di ognuna, una angelica serenità vedevasi scintillare, in cui il grande concetto formato della grandezza della Divina Maestà e del proprio vilissimo niente con il perfetto disprezzo di tutte quelle cose che Dio, non solo manifestamente appariva.
Si mosse finalmente la solenne funzione il di 14 maggio, dedicato dalla Chiesa a San Bonifacio martire, occorrendo quell’anno la quarta domenica dopo pasqua. Si prepararono tutte le monache alle desiderate nozze  con Dio, sotto la protezione di Maria Vergine Regina del Carmelo e con l’insegna trionfante della gloriosa Madre Santa Teresa essendo scorsi 44 anni dalla prima fondazione di quel luogo. Fu preceduto quel felicissimo giorno da un digiuno universale e dai più accesi e infervorati affetti dei loro cuori. Impiegarono tutta l’antecedente notte in orazione per dar l’ultima mano agli abbellimenti con i quali ciascuna aveva procurato adornare la sua anima, destinata alle nozze del celeste Assuero, sicure che non una sola come la fortunata Ester , ma tutte erano per essere gradite e accettate da quel sovrano Monarca, per spose.
Giunta per tanto l’aurora del sospirato giorno ciascheduna vestita col novello abito Carmelitano ( benedetto il giorno innanzi ) si presentò in Chiesa per celebrare la solenne funzione. A ora di Terza convocate tutte per ordine della Madre Priora si congregarono nella loggia contigua dirimpetto ad una gran porta che si era fatta aprire per l’ingresso nella chiesa esteriore. Il Signor Priore Cenami delegato del Sommo Pontefice  per ricevere i voti delle religiose entrò con i suoi ministri in Chiesa e mentre quello si fermò in orazione avanti l’altare, dalle monache si cantò devotamente il salmo 39, Esperans, Esperavi Dominus e prima che il canto finisse fu dai ministri rivestito dei paramenti sacri preparati a quell’effetto per celebrare la Santa Messa. Alla fine di quella, con sommo decoro e ordine si accostò ciascuna ai balaustri che stavano preparati e disposti nella Chiesa esteriore per ricevere la Santa Comunione ritirandosi le prime di mano in mano a due copie per volta  per dar luogo alle altre fino all’ultima conversa.
Dopo di che il suddetto prelato, deposti i paramenti da messa, circondato dal bianco piviale. Stando in piedi benedisse i sacri velami con le solite benedizioni, indi possosi accompagnato dai suoi ministri alla sedia preparata in luogo alquanto elevato, assistito dal pubblico notaro e testimoni chiamati a questo effetto. Premesse le solite interrogazioni sopra la Professione da farsi, ciascuna monaca genuflessa umilmente ai suoi piedi, alla presenza di tutta la Corte del Cielo, pronunziò la formula dei voti solenni della Professione Religiosa, nelle sue mani, condannando se stessa a perpetuo carcere di clausura.
Quale esso ricevuta, rispose ad ogni professa: Si hoc obsevaveris, vitam eternam tibi promitto e per mano del cerimoniere benedicendo il sacro velo, ne ricoperse la testa di ciascheduna, eccettuazione le converse delle quali poi, nello istesso modo ricevette la Professione dei voti.
Furono in numero di 95 le monache e 10 le converse che professarono, restandone indietro alcune, parte novizie da professare e parte inabili al Coro, che con il titolo di oblate rimasero in virtù della Bolla con i voti semplici con facoltà di conferirseli il velo e partecipare di tutti i privilegi dell’Ordine nell’Articolo della Morte.
Allora in segno di vigoroso rifiuto verso ogni attenenza mondana, spogliandosi insieme con gli affetti del secolo anche i vani fregi che le case paterne contrassegnavano, lasciarono tutte i privati cognomi della loro famiglia, cangiandolo in altro elettivo e sacro di qualche santo o di Dio a guisa che dalla Santa Madre Teresa introdotto è stato poi da tutti i Professori di quella medesima Regola, continuato. Terminata la funzione, cantossi solennemente il Te Deum Laudamus accompagnato dalle campane del Monastero e del Castello e dal rimbombo d’artiglieria e mortaretti che la carità di persone devote aveva fatto disponere.
Indi per ordine del Signore Priore Cenami, il Signor Guinigi fece un infervorato ragionamento quale intenerì e commosse non solo le Religiose ma una numerosissima udienza di secolari concorsi a questa Sacra funzione.
Stipulato il contratto del Monastero, il suddetto Priore Cenami in esecuzione delle Bolle Pontificie dichiarò esservi perfetta clausura e denominarsi la Chiesa sotto il titolo della Santa Madre Teresa. Assegnò per confessore ordinario il molto reverendo Padre Bartolomeo Bonucelli Canonico della Collegiata  il quale aveva già servito la Congregazione per lo spazio di dodici anni.
Nominò per Priora la Madre Anna di Gesù che avanti la Professione con i due terzi dei voti favorevoli era stata eletta dalle monache a quello ufficio, consegnandole la Bolla, la Regola e le chiavi del Monastero mettendola in possesso di tutti i beni ed entrate di quello.
Con questo restarono le religiose a guisa di tante api celesti serrate entro l’alveario dei sacri chiostri per fabbricare il dolcissimo miele delle perfette virtù!



BOLLA DI EREZIONE DATA DAL PAPA URBANO VIII

(  l'originale si trova nel Monastero Regina Carmeli, in Monte San Quirico – Lucca )
Urbano Vescovo dei Servi di Dio a perpetua memoria del fatto.

Il debito dell’uffizio pastorale a noi commesso di sopra, richiede, e noi, sebbene a ciò pronti e disposti, risveglia ad applicarci volentieri a tutto ciò che può giovare ad ampliar monasteri ed altri luoghi di Regolari ne quali possano le prudenti Vergini, sprezzando gli allettamenti di questo infelice secolo, sotto il soave giogo della religione e debita clausura, servire all’altissimo, evitare la fragilità del proprio sesso, conseguire fiori di onore e frutti di onestà ed infine ottenere la beatitudine eterna. Per lo chè sempre interposemo le parti del nostro ufficio, conforme salutevolmente nel Signore stimeremo spediente.
Pertanto essendoci ultimamente a nome delle dilette Figlie nel Signore le Vergini della Congregazione infrascritta fatta una dimanda che conteneva che da 40 anni in circa, nella terra o Castello di Camaiore, della diocesi di Lucca ritrovandosi canonicamente istituita una Congregazione di divote vergini per servire a Dio onnipotente sotto il titolo ed invocazione dei Santissimi Nomi di Gesù e di Maria, le quali vergini di detta Congregazione spezzati affatto tutti quanti gli allettamenti ed attacchi del mondo, desiderose con purità di mente e sincerità di spirito dedicarsi con perpetua servitù all’altissimo, ed offerire a Cristo ed alla Beata Vergine Maria immacolata Sua Madre, il candido giglio della loro verginità e conservarlo sotto gli auspici dei loro sacrosanti nomi, adunate in Congregazione si erano con alcuni voti semplici di povertà, castità ed ubbidienza, e di perseverare sino all’ultimo spirito in detta Congregazione spontaneamente e di lor propria volontà obbligate e sotto la cura e governo di un Sacerdote grave di vita e di costumi, date alla frequenza dell’orazione e meditazione ed altri spirituali esercizi, concordemente ed unitamente vivevano. Alle quali per opera di persone pie e divote, mosse dalla loro vita esemplare, erano state fabbricate stanze e abitazioni assai capaci ad uso di Monastero, colla Chiesa tanto interiore che esteriore, refettorio, dormitorio, celle, claustri ed altri membri ed officine necessarie ed opportune, ed avendo una competente entrata di mille 200 scudi di moneta circa, in tanti beni stabili e censi perpetui, computati poi i loro lavori, sino alla somma di scudi duemila per il loro decente mantenimento e di più essendo sufficientemente provvedute di suppellettile tanto per proprio uso, che delle due chiese sopraddette, in modo tale che pareva non mancasse altra cosa per la clausura e perfezione della vita regolare, se non la nostra approvazione e della Sede Apostolica ed il patrocinio di quella, quale per ottenere e per provvedere non solo alla loro propria consolazione, ma delle Vergini  ancora ben nate di quelle parti che volessero entrare nella religione. Infine dette Vergini al presente in numero di 100 circa desiderose di sottoporsi a perpetua clausura e sotto il soave giogo della religione il rimanente della loro vita servire all’Altissimo Dio ed essere ammesse con autorità apostolica alla Professione dei Tre Voti Solenni, si risolvettero di ricorrere alla Congregazione dei Venerabili fratelli nostri Cardinali della Santa Romana Chiesa deputati sopra i negozi dei Regolari, la qual Congregazione ed a nome di essa il nostro diletto figlio Antonio Cardinale di Santa Chiesa chiamato di Sant’Onofrio, nostro secondo la carne fratello germano, il quale propose questo negozio a detta Congregazione.
Avendo veduta la supplica o memoriale di dette Vergini, commise al diletto figlio Antonio Nobili Sacerdote lucchese e protonotario apostolico, che esaminasse diligentemente questo negozio e lo scrutinasse e poi lo rescrivesse sopra lo stato nel quale si trovavano dette Vergini.
Il quale Antonio Nobili avendo umilmente ricevuta la commissione di detto Signore Cardinale ed avendo sopra detto negozio fatte molte adunanze e visite a dette Vergini e fatta un esatta informazione sopra lo stato di dette Vergini e della loro abitazione e chiese ed entrate consistenti per il valore di mille 200 scudi in tati annui censi di scudi duemila, riferì potersi erigere in monastero sotto la Regola di Santa Teresa, da mitigarsi in quello
che sembrasse troppo rigida coll’infrascritte condizioni, perlochè fummo umilmente supplicati a degnarci con benignità apostolica di erigere le predette abitazioni e case in monastero di monache, istituirlo e provedere opportunamente a tutte le altre cose prefate e addimate.
Noi dunque che particolarmente nel tempo del nostro Pontificato con sinceri affetti desideriamo che i monasteri ed altri luoghi di Regolari siano da per tutto propagati e dilatati.
In virtù di queste lettere, assolvendo le dette Vergini e tenendole per assolte e ciascheduna in particolare da qualsiasi scomunica, sospensione, interdetto o altre sentenze e censure ecclesiastiche e dalle pene comminate da canoni o altre costituzioni, ovvero imposte da Superiori per qualsiasi causa o occasione in questo fossero qualsivoglia innodate e legate da esse, ad effetto però di conseguire solamente le presenti: inclinati a concedere quanto a nome di esse fummo richiesti.
Le sopraddette abitazioni e stanze munite di debita e conveniente clausura provvedute sufficientemente di suppellettile tanto sacra quanto profana, come s’espressero erigiamo ed istituiamo in Monastero di Monache sotto l’invocazione di Santa Teresa e sotto la Regola dell’istessa Santa Teresa da mitigarsi e moderarsi ad arbitrio degli infrascritti esecutori in quelle cose che sembrassero troppo austere e difficili ad uso perpetuo, ed abitazione di una Priora, da cui il detto Monastero sia retto e governato, o Badessa da elegersi di tre in tre ani dalle Monache di detto Monastero con i loro voti e suffragi segreti perpetuamente nell’avvenire conforme ai decreti del Sacro Concilio di Trento e con numero competente di 50 Monache, che siano numerarie in modo che tutte le altre che sopra il detto numero nell’avvenire riceveranno l’abito monastico in detto monastero, s’intendano sopranumerarie e tutte quante, dopo che saranno introdotte in detto Monastero siano esaminate  e richieste se spontaneamente e con animo deliberato e non forzatamente abbraccino la religione e se si conoscano atte e idonee a sopportare i pesi e le gravezze di quella e poi possano ricevere l’abito solito a portarsi dalle Monache di simil istituto e monastero e terminato l’anno di probazione o noviziato fare espressamente la Professione solita e consueta a farsi dalle altre monache e debbano poi osservare clausura perpetua degli istituti regolari ( da mitigarsi come si è detto ) in quanto si potrà mai esattamente ed assistere alle divine lodi ed offizi: con facoltà di poter tenere fanciulle secolari in detto Monastero per educazione per le quali abbiano stanze e camere distinte  e separatamente sia dalle celle delle Monache professe che novizie e vivere sotto la giurisdizione, potestà, visita, correzione, ubbidienza e totale superiorità dell’Ordinario, che è al presente e sarà all’avvenire e nel temporale, rispetto a beni mobili, come immobili, frutti, ragioni, proprietà, entrate, azioni, obbligazioni, elemosine, rimanere sotto la cura, governo ed amministrazione di 3 nobili da deputarsi per i diletti figli il Senato e la Repubblica della città di Lucca li quali debbano render conto della loro amministrazione al medesimo ordinario e di dette 50 Vergine numerarie  debbano essere di detta terra di Camaiore, in modo che il numero di 20 luoghi in detto monastero per 20 monache che a favore di quella della terra o Castello di Camaiore, debba essere per sempre destinate e riservato per esse. Ne in detti luoghi benché per lunghissimo tempo vacanti, possano essere ammesse fanciulle forestiere e ciascuna di esse monache ( eccettuate però le Vergini esistenti al presente in detta Congregazione ) cioè le numerarie forestiere debbano realmente ed effettivamente pagare per limosina dotale scudi 400 e per la suppellettile 100 scudi di moneta di quelle parti e quelle della terra di Camaiore scudi 300 di limosina dotale e 100 per la suppellettile. E le sopranumerarie debbano raddoppiare la detta limosina dotale  cioè scudi 800 per detta dote e scudi 100 per la suppellettile e quelle della terra o Castello di Camaiore sopranumerarie scudi 600 di limosina dotale e scudi 100  simile per la suppellettile  da consegnarsi quanto a detta suppellettile alla custode delle vesti di detto monastero e quanto alla dote ad un depositario da approvarsi dall’Ordinario come dispone il Concilio di Trento, ad effetto che s’investa a favore di detto monastero.
 Le monache ancora numerarie sopra dette siano ricevute ed ammesse per autorità apostolica perpetuamente senza pregiudizio d’alcuna alla elezione della Badessa o Priora e delle altre monache che verranno per i tempi in detto monastero, come dispone il medesimo Concilio, purché in detto monastero non s’introduca maggior numero di quello e si possa alimentare e sostenere comodamente e mantenere colle annue rendite di detto monastero ed a questo monastero così eretto ed istituito per sua dote competente e per il sostentamento conveniente della Badessa o Priora ed altre monache esistenti in esso per i tempi e per sopportazione di altri pesi ed obblighi a quello connessi, colla medesima autorità apostolica e potestà applichiamo ed approviamo tutti e singoli beni, cose, proprietà, censi, rendite, proventi, ragioni ed emolumenti d’ogni sorta da esse sino a questo tempo acquistate ed alle medesime donati, lasciati ed apegnati e per l’avvenire per qualsiasi persona devota da donarsi, assegnarsi e lasciarsi a detto Monastero per aumento di beni ed entrate di esso ed in riguardo e contemplazione delle monache da riservarsi per l’avvenire per dote ed elemosina dotale o in qualsiasi altra maniera lecitamente però ed onestamente adesso per allora, come se al presente fossero donate ed assegnate. Sicché sia lecito  alla priora di detto monastero in virtù delle presenti eretto ed alle monache che saranno peri tempi, di prendere il possesso corporale, attuale e reale e presolo, ritenerlo in perpetuo e ricevere i frutti, le rendite, gli affitti, le ragioni, sovvenzioni e tutti i singoli emolumenti da quelli provenienti, esigerli, raccolti ed in uso perpetuo ed utilità convertirli, senza licenza del Diocesano del Luogo o di chi si sia altra persona.
Da vantaggio al medesimo Monastero in virtù delle presenti eretto ed alla Priora o Badessa ed alle monache di esso, ed altre persone devote e fedeli cristiani che visiteranno peri tempi la Chiesa di detto monastero, concediamo che possano godere di tutti e singoli privilegi e facoltà, libertà di, immunità di, esenzioni, prerogative e preminenze, precedenze, concessioni, indulti, indulgenze, favori e grazie e di tutte le altre cose tanto spirituali quanto temporali concedute  in qualsivoglia maniera agli altri monasteri di monache di detto ordine ed istituto ed alla Priora o Badessa o Monache o altre persone e fedeli cristiani che visiteranno la loro chiesa, siano tanto in generale come in particolare anche per ragione di semplice comunicazione, in quanto però siano in uso e non siano state revocate da Sacri Canoni, Costituzioni Apostoliche, Concili Generali, ne siano contrarie a decreti del Sacro Concilio Tridentino e tutte quelle ancora che saranno per l’avvenire e quelle insomma che tanto le altre Priore o Monache per uso o consuetudine o per disposizione di leggi o in altra maniera godono, partecipano e fruiscono.Non solo a somiglianza di quelle, ma parisormente ed egualmente e tanto principalmente e senza alcuna differenza in tutto e per tutto, come se a detto monastero così eretto ed alla Priora e Monache di esso ed alle altre persone nominate fossero state specialmente ed espressamente conceduto. Ed in altre avvenia  che dette vergini siano a sufficienza istruite, esercitate nei riti, cerimonie ed istituti regolari di quest’Ordine ed istituto di Santa Teresa, ne abbiano bisogno di altra guida o maestra, perciò a dette vergini ed alle monache che in avvenire saranno accettate in detto monastero, colla medesima autorità in virtù della presente concediamo che quelle che al presente vorranno essere ammesse ai voti regolari, senza fare altro noviziato, possano nelle mani dell’Ordinario del luogo professare detti tre voti regolari e le monache che saranno per l’avvenire accettate in detto monastero facciano la medesima professione e che dette vergini possano eleggere, caso non abbiano fatta ancora tal’elezione, cavandole dal loro grembo o Congregazione, la Badessa o Priora de detto monastero e le altre Officiali per voti e suffragi segreti conforme ai decreti del Sacro Concilio Tridentino e quelle che tra dette Vergini che per qualche defetto o impedimento si stimassero e giudicassero inabili ai pesi e gravezze delle Religione, possino in detto monastero sino alla morte rimanere come Oblate e nell’ultimo articolo ricevere il velo della Professione.
Di vantaggio ancora diamo e concediamo a dette vergini piena, totale e libera facoltà autorità e potestà di fare, pubblicare statuti di ogni sorta, ordinazioni, capitoli, e decreti spettanti al governo di detto monastero come sopra eretto o alla cura delle persone, robe, beni, direzione o amministrazione di esso e all’accettazione delle predette monache, ammissione, età, qualità, vitto, vestito, istruzione   e disciplina al rito, modo e forma di recitare il Divino Officio, altre preci, orazioni e suffragi ed altre somiglianti cose utili e necessarie, lecite però ed oneste, ne contrarie ai Sacri Canoni, Costituzioni e decreti sopraddetti o istituti regolari di detto Ordine, i quali prima devono essere esaminati et approvati dall’Ordinario e di mutare, correggere, moderare, riformare i medesimi istituti, o farne altri di nuovi, quante volte per la qualità dei tempi e condizione delle cose parrà più espediente ( precedendo però sempre l’esame et approvazione del medesimo Ordinario ) e dopo che saranno detti statuti fatti stabili ed approvati come sopra dall’Ordinario si devono dalle monache di detto monastero eretto in virtù delle presenti e da quelle che succederanno in l’avvenire, fermamente ed inviolabilmente operare sotto le pene in essi contenute, da imporsi e da incorrersi da chi contravverrà, in modo però che niuno dei premessi statuti et ordinazioni da farsi come sopra ( eccetto li Tre Voti sopraddetti Regolari ) obblighi a peccato la Badessa o priora et altre monache in virtù dello statuto o costituzione , se non sia tale di sua natura e di ragione comune, ma tutte quante siano mosse ed eccitate all’osservanza esatta e compita di quello dell’amor di Dio e dal desiderio di arrivare alla perfezione. S’imponghino però penitenze alle delinquenti conforme la qualità del delitto ad arbitrio della Priora o Badessa di detto monastero e come a lei parrà più espediente.
Decretando e dichiarando che le presenti Lettere non devono essere comprese ne confuse sotto revocazione o sospensioni, limitazioni, derogazioni di altre simili o dissimili grazie o altre contrarie disposizioni fatte in qualunque altro modo anche da Noi o dai nostri Successori Pontefici Romani o Sede Apostolica predetta, con qualsivoglia formula o espressione di parole o clausole d’ogni sorta, ma sempre doversi eccettuare e quante volte dette revocazioni usciranno, tante volte s’intendano nel pristino validissimo stato costituite e rimesse e plenariamente reintegrate, rinnovate sotto qualsivoglia data posteriore es’intendano concesse alla Badessa o Priora e Monache di detto Monastero come sopra eretto che saranno per i tempi e così doversi definire e giudicare da qualsivoglia Giudice etiam Auditori del Palazzo Apostolico e Cardinale della Santa Romana Chiesa, anche Legati de Latere, Vice delegati o Nunzi di detta Sede Apostolica, avendo per nullo e di niuno effetto tutto ciò che sopra queste cose con qualsivoglia autorità scientemente o ignoratamente si attentasse.
Per lo chè comandiamo in virtù di queste Lettere Apostoliche ai diletti Figli Marc’Antonio Franciotto Referendario dell’una e dell’altra nostra Segnatura et ad Alessandro Cenami Priore della Chiesa Collegiata di Sant’Alessandro di Lucca et al predetto Antonio Nobili, che essi, o due, o uno di loro, da per se, o per mezzo di una o più persone, pubblicando solennemente le predette Lettere presenti, e tutte le cose in esse contenute, dove e quando bisognerà e quante volte a nome della Badessa o Priora o Monache di esso monastero come sopra eretto saranno ricercati et assistendo a quelle con efficace difesa et aiuto circa le predette cose, le faccino da tutti quelli a chi si spetta o aspetterà in avvenire ,inviolabilmente osservare, acciò la Badessa o Priora e monache suddette le possino pacificamente fruire e godere, non permettendo che siano da alcuno in qualunque maniera indebitamente molestate, raffrenando i contraddittori e ribelli con censure e sentenze e pene Ecclesiastiche et altri rimedi più opportuni, senza ammettere alcuna sorta di appellazione e fatti sopra le predette cose e servati i legittimi processi, riaggravando le sentenze, censure e pene più di una volta, invocando ancora se vi fosse bisogno, l’aiuto del braccio secolare e le forze, non ostante le premesse e le nostre Costituzioni di non concedere grazie et indulgenze a simiglianza et altre Ordinazioni Apostoliche e dell’Ordine predetto e dei monasteri di quello anche da giuramento e Costituzione Apostolica munite e roborate, non ostante qualsivoglia statuto, consuetudine et altre cose contrarie.
Dato in Roma appresso S.ta Maria Maggiore l’anno dell’Incarnazione del Signore 1633 addì 21 di Novembre del nostro Pontificato, l’undecimo.  Luogo del sigillo +

                                 
Capitolo 9°
FERVORE DI SPIRITO DELLE RELIGIOSE
DOPO LA CLAUSURA
Professata che fu tra quelle sacre mura la Regola Carmelitana, come se infiacchito e abbattuto il nemico infernale non osò per molto tempo in avvenire contaminare col suo piè le santificate abitazioni. Goderono le monache una pacifica quiete e se prima di professare erano giunte con la perfezione della vita a stato di perfette religiose, adesso come Angeli in un Paradiso terrestre, tutte accese di Amor di Dio, tutte infervorate nello spirito, tutte unanimi in santa concordia di carità, prontissime all’obbedienza, diligenti all’orazione, attentissime al coro, di modo che parve comunicato tutto in breve tempo con la Regola nuova nel cuore delle Figlie, lo spirito della Santa Madre Teresa. L’applicazione più seria di ciascuna fu in quel principio, procurare d’intender bene ed esattamente praticare ogni più minuta osservanza. Si fecero a tal effetto molte copie della Regola e Costituzioni per tenerla ogni monaca a suo talento avanti agli occhi e scolpirla indelebilmente nel cuore. Si trova notato, per prova di quanto fossero tutte esattissime nell’Osservanza, come per esprimere qualche parola che inevitabilmente fosse occorsa proferire nel tempo destinato al silenzio, con industriosissimo ripiego di delicata coscienza, invece della lingua, servivasi della penna. Vedevasi quasi ogni momento alcuna genuflessa umilmente ai piedi della Superiora per intender la sua volontà e dependere dall’arbitrio di quella in ogni minima azione   da farsi secondo il prescritto del nuovo Istituto. Poiché deve in quel luogo notarsi ( e l’intendevano bene le religiose di questo monastero ) che a quanto si tolse d’austerità nella Regola dai Delegati del Papa a causa dell’umana fiacchezza, a tutto punto dai medesimi si studiò di riparare, con raddoppiare gli atti di soggezione, la mortificazione dei sensi, l’abnegazione della propria volontà nell’intessere il breve volume delle Costituzioni, fabbricando alle religiose  un instrumento da lavorare l’anima loro, non a forza di ferro e di fuoco, ma a guisa di una temperatissima lima, che se ben quasi insensibilmente, efficacemente però  consumi in esse quanto vi è di terreno. Portano le memorie di quei primi tempi, che non potè notarsi per anni difetto ben minimo contro l’Osservanza, benché fossero vigilantissime le Superiore sopra l’azioni delle suddite ed è ben cosa rara, stante il numero grande delle monache e la minutezza degli atti prescritti dalle Costituzioni, più facile per tal capo all’umana fragilità il trasgredirli. E una volta, che dopo due anni si vide in una non so quale difetto, in ordine ad accostarsi tutte alla Mensa degli Angeli nei giorni assegnati, cagionò grande ammirazione e fervore nella comunità e ne portò la pena con tre giorni di penitenza esemplare, la delinquente umiliata.
Aumentossi l’uso introdotto delle mortificazioni esterne e se ne praticarono di stranissime nel pubblico refettorio con grande edificazione delle religiose. La Superiora per far prova dell’obbedienza d’alcuna, gli imponeva talvolta di incolparsi dei propri difetti alla presenza di tutte, ovvero lei stessa scriveva in breve carta quelli che maggior ripugnanza e rossore s’aumentava, che dovessero esserci, e li ordinava, nel porgerli, che dovesse leggerli tutti fino all’ultima riga. Impose ben spesso alle più serie e antiche religiose che spendessero buon spazio di tempo in giochi puerili e in passatempi di fanciulli; alle più giovani il cambiar la veste o la cella più linda in altra lacera o sordida. Privarsi delle cose più care, nel levarle dall’orazione quando le vedeva affezionate e dalla Comunione ancora, imponendo a qualche sorella il ritirare indietro quella che lei ordinava, quando già era incaminata allo sportello per riceverla. E in tutto veniva alla cieca obbedita, senza che vi fosse monaca che di tale obbedienze domandasse il perché!
L’aria dei parlatori e delle grate, come molto nociva allo spirito, si sfuggiva al possibile e quando poi conveniva presentarsi, poca ne ricevevano perché la mortificazione, loro indivisa compagna, teneva ben guardate le porte dei sensi, acciò non vi entrasse. In tali luoghi, altro che di materie spirituali non si trattava e molto più nella conversazione domestica tra le religiose , ove l’oggetto dei loro discorsi ordinari erano le lezioni spirituali udite, gli spunti della meditazione della mattina, le dottrine celesti della Santa Madre Teresa e simili. Lontanissime dalle adunanze comuni il garrire, il contrastare, ma con sommo rispetto dell’una con l’altra si onoravano insieme, si compativano e s’infervoravano sempre più nel servizio di Dio.
Benchè tutte fossero abbastanza provvedute d’instrumenti di penitenza per la pratica di essi molto prima introdotassi come si è accennato, nondimeno accese nuovamente in desideri di patire assai per Dio, si diedero universalmente alla fabbrica di nuovi cilizi e catene di ferro  con tanto gusto e santo ardore che questo era il più caro impiego dei tempi destinati alla ricreazione d’ogni giorno dopo il pranzo e perfino le più tenere giovinette che stavano in educazione con le loro delicate mani facevano a gara a dare aiuto. Venivano in questo tempo, le religiose, indirizzate nello spirito ( oltre che dal confessore ) dai Padri della Congregazione della Madre di Dio ai quali devasi giustamente attribuire l’onore di aver con le fatiche loro ridotto a perfezione quest’opera poiché non solo assistevano indefessamente al Monastero in questo principio della nuova Osservanza il buon incaminamento di quella, ma fino al tempo del Protettore Antognoli diedero principio a quell’utilissima e affettuosa Protezione che poi nei successivi tempi hanno sempre continuata con tanto profitto  del medesimo che riconosce unicamente originati dall’ottima semenza di questi religiosi, i buoni germogli e le piante fruttifere che giornalmente crescono in questo sacro Giardino.
Il primo che incominciò a spargerla fu il Venerabile Padre Giovan Battista Cioni  ( quell’uomo insigne che ha illustrato la sua religione con la santità della vita ), il quale supplicato dal suddetto Antognoli a portarsi a questo monastero, dissipò in tutto punto con la luce delle sue parole l’oscure nuvole delle tentazioni, che per opera dell'inimico infernale ottenebravano la mente delle prime sorelle , solite dire per l'esperimentata efficacia del suo spirito, bastar la sola sua presenza per rasserenare ogni mente turbata e ricondurre nella buona strada ogni più traviato cuore. Faticò assai per se medesimo in questo luogo il santo religioso e alla fine della vita lasciò raccomandata per legato di carità ai suoi fratelli la congregazione di Gesù e Maria, esortandoli a non abbandonarla mai del loro aiuto e fin dopo morte, con apparizioni e sanità miracolosamente conferite a più d'una, ha dimostrato proteggere questo luogo fino dal cielo.Ne hanno mai lasciato di effettuar così pietoso ricordo i Padri della sua religione perché avendo questo monastero fato sempre ricorso ai medesimi nelle sue spirituali e temporali urgenze, ne ha riportato in ogni tempo sovvenimenti opportuni nell'universale e nel particolare. 
Già si è ricordato come il Padre Baldassarre Guinigi si adoprò nell'immensa fatica d'indirizzare gli Esercizi Spirituali a più di cento religiose, nell'occasione di professare il nuovo Istituto e in altri diversi impieghi di ragionamenti spirituali e di prediche, le quali fatiche le ha rinnovate più volte nel corso della sua vita e il simile hanno fatto molti altri Padri per introdurre e mantenere nel Monastero la vera pratica dello spirito religioso.
Con questi mezzi dunque, quasi a mano guidate, le monache, per la strada difficile della  virtù, avanzarono il passo nel cammino della perfezione, nel modo che si è veduto e che si vedrà nei capitoli seguenti, superando gli incontri più ardui che se li fecero avanti senza arrestare il piede dal corso intrapreso.
                           
Capitolo 10
CADE IL MONASTERO IN PENURIA DELLE COSE TEMPORALI  E SI RACCONTANO VARI SUCCESSI DI NOTABILI VIRTU' ESERCITATE DALLE RELIGIOSE IN QUEL TEMPO.
Suole Iddio provare le virtù dei suoi servi con il fuoco della tribolazione che discopre di qual lega sia l'oro della lor carità e purifica nel medesimo tempo il cuore di quello da ogni feccia d'affetto terreno. In simil maniera si diportò con queste sue spose il Signore, permettendo che all'accrescimento delle ricchezze spirituali cumulate da esse con il traffico dei talenti nel corso di anni 15 dopo la professata clausura, ne succedesse la penuria delle comodità temporali riducendosi a mancare in gran parte quel poco che di giorno in giorno dove vasi somministrare dal conto alle sue religiose per mantenerle la vita.
Avevano in questo tempo la Superiora e le monache destinate al governo del Monastero lasciato più del solito  a cura totale dei Protettori gli interessi temporali di quello per più applicatamene vacare a quell'ottima parte che con la fervente Maddalena tutte si erano elette, prendendosi solo incombenza di far le necessarie provvisioni e distribuire ad ogni officina quanto faceva mestiero col denaro somministrato da quelli opportunamente, i quali, all'incontro, per mancanza di entrate, porgevano il proprio onero il Capitale delle doti di quelle che giornalmente vestivano l'Abito, astretti a ciò fare dalla precisa necessità di alimentare un si gran numero di soggetti. Supplirono a molto  ( e nel tempo di scrutinare lo stato del Monastero lusingarono l'animo di questi signori )  le moltiplicate paghe delle dozzinanti che fino al numero di 50 si contarono nel 1631 poiché quasi tutti i cittadini di Lucca per sottrarre le lor figliole dal flagello fierissimo della peste che desolava la città ( restandone illeso solo il Castello di Camaiore per divina virtù ! ) in quest'unico asilo di sicurezza le ricoveravano. E avendo poi calcolate tali paghe in conto d'entrate, supponendo che non avessero così presto a mancare, non permesse Iddio, che si avvertisse l'errore, ne da quelli che oculatissimi et accorti furono dalla Sacra Congregazione delegati alla revisione dello stato del Monastero, ne dai Protettori medesimi, superando ogni ostacolo e sopprimendo ogni altra osservazione per l'effetto vivissimo di promuovere in esso la sospirata clausura.
Diminuito per tanto dopo due anni dal cessato flagello, il numero delle educande e ridotta poi nel 1645 l'abitazione del serbo a pochi soggetti , con la mancanza di un aiuto così considerevole, si accorsero con la pratica quanto malamente fondate fossero le entrate supposte e le monache si trovarono sottoposte ad una estrema penuria, alla quale si aggiunse nel 1648 una notabile scarsità di raccolte occasionata da fierissimi temporali, che pose in angustia tutta la terra venendo persino spiantati i vigneti e sommerse le campagne dall'escrescenza dell'acqua. Onde innalzati a dismisura i prezzi dei frumenti vennero costretti i suddetti Protettori a dichiararsi di non poter più sostenere il peso del governo del Monastero con le sole sue forze, e di dover darsene parte all'Eminentissima Repubblica con Memoriale di Ricorso alla di lei pietà per il pronto rimedio e far l istesso alla benignità del Superiore Spirituale acciò si unisse con quella.
Inteso dalle monache il prescritto trattato non si arresero così facilmente al ripiego anteposto e si diedero allegramente ad abbracciare si rigida povertà per farsi più simili al loro sposo Gesù e poiché si presago  era il cuore di ciò che doveva succedere dalla dichiarazione dei Protettori temevano assai più ol rimedio che la reale medesimo povertà. Già si erano accorte che l'infernale nemico insidiava al loro bene e che per questo mezzo pretendeva indirizzare i suoi colpi a rompere quel fortissimo muro della Santa Comunità, che più del recinto materiale teneva tutte le religiose collegate in unione di carità. Onde esposero a quelli ( i Protettori ! ) l'animo loro   prontissimo di sperimentare qualsivoglia più estrema penuria e procacciarsi qualche aiuto con incessanti fabbriche manuali piuttosto che far quella dichiarazione.
Non fecero breccia con tali ragioni nell'animo dei Protettori, gelosi di mettere in cauto il proprio interesse e di ovviare a gli inconvenienti che apprendevano potersi originare se differito avessero di più di attuare la loro risoluzione e prima del loro nuovo congresso, formarono il Memoriale informativo dello stato miserabile del Monastero diretto all'Eccellentissima Repubblica del seguente tenore: << Eccellentissimi Signori, presentiamo con questo nostro Memoriale all'Eccellentissimo Consiglio il Bilancio del Libro dei Conti delle Reverende Monache di Camaiore e sebbene della lettura di esso potrà conoscersi in parte il basso stato nel quale ora si trova, con tutto ciò con infinita amaritudine del nostro cuore siamo necessitati a dire all'Eccellentissimo Consiglio che non sappiamo più trovare modo col quale si abbia da sostenere il medesimo Monastero e come è cosa che non è rimediabile con la nostra industria, ne potendosi migliorare il governo di quello, conviene per gravezza delle nostre coscienze e per non veder morire di necessità un così gran numero di Serve di Dio, che deponiamo ai piedi dell'Eccellenze Vostre  e dell'Eccellentissimo Consiglio , ristrette in picciol fascio le loro molte miserie, acciò con la sua benigna mano per quei mezzi che le parranno opportuni, possa porgerli quei soccorsi che le saranno somministrati dalla  sua Provvidenza o di chi paresse all'Eccellentissimo Consiglio comandare, che ne prendesse informazione. Confidando pienamente nella sua pietà e paterna protezione che non lascerà intentata alcuna via per sollevare queste Povere Serve e Figlie sue, che incessantemente pregano Sua Divina Maestà per la conservazione delle persone loro e di questa cara Città. >>
Letto che fu il Memoriale fu dato a riconoscere lo stato del Monastero ai 6 Cittadini e dopo nuove discussioni, consulte e relazioni di quelli e di altri delegati dell'Eccellentissima Repubblica a questo effetto , finalmente diedesi nello scoglio preveduto e temuto dalle Monache e cioè unendosi tutto il braccio secolare a proporre per rimedio di tanta necessità di abbandonare la vita comune intrapresa e dar libertà che ognuna si aiutasse come meglio poteva per mezzo dei propri parenti, molti dei quali già si offerivano a sostentar quella della propria attinenza, ed il demonioa che suggeriva il trattato, non mancava di alimentarlo con ragioni apparenti che ponevano in angustia l'animo delle religiose poiché addicevano, per tale strada, essersi rimediato ad altri Monasteri ridotti in simil penuria, essendo gran differenza dal provvedere il convento alle sue Monache tutto ciò che li fa bisogno dal somministrarli quel solo che li permettesse l'entrata di esso e nel resto darle facoltà che s'industri, come fanno tante.
Non essendo contraria tale pratica all'Istituto Monastico, perché vedevasi in tanti Monasteri anche della Città, che pur professavano perfettissime regole, senza scapito dello Spirito e salvando il temporale.
A queste voci gelò il cuore delle afflitte Spose di Dio ben sapendo che la prudenza della carne non ha occhi per vedere gli irreparabili danni che apporta la proprietà distruttrice e dissipatrice d'ogni buona osservanza regolare ed esse che per tanti anni avevano goduto i dolcissimi frutti della Vita Comune, piuttosto che restarne prive, con voleri uniformi, stabilirono sottoporsi a qualsiasi patimento e penuria di comodità temporali,e si opposero dunque e rigettarono con animo costante questa prima proposizione, ma con modo assai moderato, per non inasprire i Cittadini che desideravano peraltro impietosire alla vista delle loro calamità, posero la forza maggiore nell'orazione, unico rifugio e aiuto nelle più disastrose emergenze.
Scordate pertanto di se, gettando in Dio le sollecitudini dei temporali interessi, indirizzarono gli affetti, le preghiere, le istanze ad impetrar da Dio la persistenza nel loro intrapreso Istituto senza alcuna sorte di proprietà. per questo ordinò la Superiora processioni, penitenze, mortificazioni straordinarie, esposero privatamente il Santissimo Sacramento pernottando in orazione, interposero l'intercessione dei santi e singolarmente si votarono a Sant'Onofrio di cui riconoscevano il favorevole pensiero sull'Osservanza della Clausura pregandolo che volesse sostenere  e difendere l'operato di lui, a gloria di Dio, movendo gli animi dei Superiori e Cittadini a soccorrere il Monastero senza la prenotata istanza tanto da esse aborrita
Ed è cosa degna di essere notata ( ad esempio delle religiose e a confusione di quelle che non avendo lasciato per Dio altro che la povera dote di San Pietro, cercarono poi le comodità nella religione) che essendovi in questo Monastero alcune Monache ( e tra le altre 3 dell'Illustrissima Famiglia Bernardini ricchissime di nascita nel secolo,) che tutte potevano permettersi di essere non solo abbondantemente provvedute, ma mantenute a delizie dalla Casa Paterna, con dispoglio esemplarissimo d'ogni terrena comodità, insistevano con vigoroso affetto a tenersi abbracciata la Professata Povertà e a non dar adito alcuno per la differenza del modo di vita e avendo queste ricchi legati annuali, non solo sdegnarono prevalersene per somministrare a se stesse, come li era concesso da preciso bisogno , ma se ne privarono affatto depositandoli nelle mani della Superiora per molti anni acciò servissero a sgravare il Monastero della grossa somma di debiti che l'opprimevano e di quel più che in interessi legali gli veniva offerto quasi ogni giorno dalla cortesia dei parenti,e godeva il loro cuore quando veniva  distribuito con egual porzione a loro e a tutta la comunità, e vedevano averla sollevata alquanto nelle presenti miserie.
Tenevano anche questa santa ambizione di non perdere in tale funesto momento quella inalterabile allegrezza di cuore e di volto, che sempre era stata ammirata in questo monastero onde che per sorte avessero veduta alcuna malinconia o di animo caduto, erano tutte intente a sollevarla, a farle cuore con motivi di spirito e con spiritosi concetti, fino a che non la diponessero nella primiera allegrezza. Così si diportarono queste generose Spose di Dio, abbracciando non solo la Povertà, ma l'estrema penuria del necessario, come una ricca gioia di Paradiso.  


Capitolo 11°
SI PROSEGUE IL RACCONTO DEI PATIMENTI SOFFERTI DALLE RELIGIOSE IN QUESTO TEMPO E DI ALCUNI SOCCORSI DELLA PROVVIDENZA
Benché l'Eccellentissima Repubblica compassionando lo stato del Monastero aprisse la mano a soccorrerlo  con certa somma di danaro, conceduto in prestito con alcune condizioni vantaggiose espresse nel documento che se ne stipulò per ordine della Medesima, non dimeno non restò che per poco tempo sollevato. Onde in breve, venuto meno del tutto il vino nella cantina e mancando il modo di provvederne, videsi distribuire pura acqua alla mensa comune. Poiché di qualche scarsa elemosina contribuita in quei giorni dalla pietà di alcuni conveniva provvederne come più necessario il pane e qualche grossolano alimento per le sane, soccorrendosi in primo luogo le inferme con ogni possibile carità. Qui si fece conoscere di qual lega fosse la virtù di quelle religiose e che se ne restavano nei soli desideri di patire per Iddio poiché tanto allegramente e con animo pronto sopportarono  tal mancanza  che maggior consolazione non avariano potuto dimostrare  li fosse stata imbandita una lauta mensa.
Vennero in questo tempo  offerte da persone caritatevoli alcune piccole misure di vino il quale per ordine della superiora fu destinato a soccorrere le più deboli e fiacche di stomaco, non essendo abbastanza per tutte. Ma venendo a quelle offerto nel refettorio, recusavalo ognuna, stimando altre più bisognose di se di tal regalo e successe tal volta che un bicchiere di vino s'offerse dalla ministra di mensa gradatamente ad ogni monaca ne si trovasse pur una che si degnasse prevalersene se dalla Superiora non veniva a ciò costretta. Il simil seguiva quando distibuivasi qualche vivanda più regalata poiché molte volte saria ritornata intatta nella dispensa se l'obbedienza non avesse riportato vittoria di quella tanto apprezzata e gradita da tutte, rigorosa astinenza.
Ne solo mancarono in quel tempo le provvigioni del refettorio, ma anche del vestiario e d'ogni altra officina da cui veniva somministrato alla comunità i necessari soccorsi e a questo, altresi, con l'istessa generosità di spirito si accomodarono tollerandone un estrema penuria non per poche settimane o mesi, ma per il corso di molti anni continui nei quali le contribute elemosine poterono si ben rimediare all'estrema  necessità di modo che le religiose non perirono di pura fame. Ma non repararono totalmente a tante esigenze di un monastero così copioso di soggetti tra i quali molti ne erano d'inferme  e deboli ( e molti di più ne divennero tali in questi anni) permettendolo Iddio per raddopiar la corona alle sue serve,non potendo regger la natura benché fosse pronto lo spirito al cimento di tali travagli.Da che può ciascheduno argomentare quali fossero i patimenti e le angustie delle Spose di Dio e qual'acquisto di meriti cumulassero con l'esercizio di una continuata pazienza e rassegnazione nel Divina Volontà. Si aggiunse a tutto questo, nuovo motivo di universale apprensione con il successo seguente. Erasi già da per tutto sparsa la voce dell'estrema penuria del monastero e i cittadini di Lucca stavano disposti , come si è detto, gravarsi del peso di alimentare quelle del proprio sangue, ovvero trasferirle ad altro monastero se il Pontefice dato avesse dispensa della Clausura, come si andava discorrendo tra molti. Erano quivi 3 novizie da professare in breve, tutte di nobil famiglia. Queste furono gagliardamente tentate dai propri parenti di abbandonare il monastero prima di professare, giacchè astrette nondimeno a questo sariano state dipoi, per non morir di necessità, come essi dicevano, soggiungendo non voler permettere un tal disordine nelle persone loro, giacchè erano in tempo di prevenirlo. Una di esse, a cui mancò l'animo per tollerare gli appresi patimenti, s'arrese a si fatte ragioni e si parti dal monastero passando ad altro di Lucca con disgusto delle monache le quali ssi dolevano per vedere perduta la corona ad una delle loro sorelle, quando già stava vicina ad esserle posta sopra la testa come all'infelice compagno dei 40 martiri, benché in differente maniera perché questa andò in luogo dove potè fabbricarsela di nuovo con non minor merito e gloria.Ma raddoppiassi tal corona sul capo di una delle due novizie rimaste poiché intesosi il caso da una sua unica zia ( Signora di qualche autorità, da cui dipender doveva il suo stabilimento in questo monastero ), non contenta di ordini e comandi fatti per lettere, si portò al medesimo in persona per togliere a viva forza la nipote da questa sacra abitazione. Fece rigorosa resistenza con ogni più sensata ragione la generosa giovinetta, dichiarandosi pronta a soffrire ogni più estrema penuria e piuttosto lasciarsi fare in pezzi le membra che consentire ad abbandonare la sua vocazione a questo santo chiostro. Ne per questo cedendo la zia,anzi maggiormente insistendo che dovesse obbedirle et uscirsene immediatamente di clausura, costantemente rispose con ammirazione di ognuna che per andare alla religione era lecito calpestare anche il proprio genitore e destralmente si parti dalla porta nonostante che strepitasse indiscretamente la zia che a viva forza disegnava rapirla se si fosse avvicinata niente più. Ma resa accorta la buona Novizia dalla Grazia divina che li confortava il cuore si era tenuta industriosamente alcuni passi lontana e  tirandosi tosto nella cella della sottopriora ( era in quel tempo la Madre Cherubina ) genuflessa ai suoi piedi, tremando e piangendo la pregò volerle ottenere con le sue orazioni vittoria a tal fiero cimento, replicando più volte: << Non mi abbondi Madre, voglio essere di Dio, voglio calcar la strada dei patimenti che tutte calcano.>> Irritata quella Signora dall'improvvisa partenza della nipote, infiammandosi di sdegno e furore, protestandosi alla Superiora che se non la riconducevano alla porta saria entrata in clausura per toglierla a viva forza, richiamata la giovinetta non vi fu modo di farla scendere da basso, onde le monache con varie ragioni si sforzarono acquietar la zia che fieramente sdegnata non voleva partirsi dalla porta, minacciando l'ingresso e per ovviare a tale inconveniente già si accingevano a serrarveli in faccia i portoni, quando aiutata dal servitore, scagliandosi quella impetuosamente dentro la clausura al cui temerario attentato le monache la sospinsero vigorosamente indietro e vi sariano seguiti dei casi funesti se ad impedirli non fossero opportunamente accorse molte persone secolari che liberarono il servente azzuffato con il suo servitore e disimpegnarono la  porta, che non poteva serrarsi per la forza che un altro faceva. Si che infine, ben sigillata e fortificata con nuove industrie, restò la tal Signora delusa dalle sue vane speranze e la generosa novizia stabilita in quel sacro chiostro cantando la vittoria, ringraziava il Signore. Facendo poi la Professione solenne con non minor consolazione del suo spirito, che, restarono edificate le religiose e seguitando poi con l'esemplarità della vita a verificare l'ottima aspettazione che in tal occasione fece concepire di se, di cui porria molto dirsi se per essere anche vivente, la sua modestia non sforzasse la mia penna a fare punto!
La seconda novizia similmente ancor essa di non minor animo e spirito, rigetto costantemente ogni ragione antepostali e liberandosi dall'importuna pietà dei parenti, si unì con la Professione dei voti al suo sposo Cristo, cimentandosi al pari di ogni altra con le strettezze della povertà per arricchire l'anima sua d'inestimabili tesori di grazie.
Ma rimaniamo alla narrativa dei successi del monastero.
Più che ad ogni altra persona toccavano vivamente il cuore dei Superiori ecclesiastici le continuate indigenze di quello e Monsignor Ill.mo Pietro Rota, Vescovo allora della città, non lasciò mezzo intentato per sovvenirle tosto, che ne ebbe dai Protettori e per lettere, l'informazione. Ma troppo più se li accrebbe al desiderio et affetto , quando portatosi per la visita personale al Monastero vide per una parte la perfezione con cui vivevano quelle innocenti verginelle e ne rimase così ammirato e soddisfatto che non sapeva contenersi dal parlare ad ognuno di aver trovato non un monastero ma una abitazione di  angeli! Per l'altra poi toccando con mano essere troppo vere le notizie precorseli dello stato miserabile del medesimo, con lettera pastorale efficacissima richiamò alla pietà i popoli tutti della sua diocesi. e se ne videro presto gli effetti con soccorsi di grano, vino et olio esibito da diverse persone, che servirono per qualche mese a reparare le miserie   che lo tenevano oppresso.
E perché la Divina Provvidenza già apriva la strada  a più miserabili effetti, dispose che opportunamente al finire degli accennati soccorsi altre persone devote, ma incognite al Monastero, con l'offerta spontanea di sessanta, settanta e cento scudi per volta, rinovasser gli aiuti.
Spiccò inoltre a maggior   segno la pietà di alcune Matrone di nascita illustre in sovennir largamente il convento con annuali contribuzioni tra le quali la signora Laura Santini obbligò non poco il monastero e caparrossi nel cielo un grande tesoro di meriti. ma la signora Felice Cenami sopra tutte si segnalò offerendo profusamente ogni sorte di aiuti e quello che è più per incitar gli animi altrui a satisfare alla sua pietà non stimò pregiudizio del suo decoro l'andar limosinando di porta in porta e scordata di se, rappresentando la persona delle povere Spose di Dio, con umilissime istanze piegar  la carità dei fedeli ai suoi voti il quale atto non meno riportò l'ammirazione degli angeli e degli uomini a sua gloria che l'effetto bramato in prò del monastero, continuando poi sempre e oggi ancora in persona dei suoi nobilissimi figli, eredi della di lei pietà, ad aiutare e proteggere quel luogo con generose offerte di carità.
Ma poiché ormai troppo si rendeva grave e molesto ai Superiori dover mantenere al convento agli alimenti sufficienti per mezzo delle elemosine altrui, costando ben molta fatica il cavarla tal volta dalle mani di molti, in congiuntura opportuna risolsero di presentare il Memoriale alla Santità di Innocenzo X , regnante in quel tempo , con il quale venisse informato dello stato del monastero e supplicato ad applicare al medesimo qualche parte di entrate che dovevasi riportare dalla disfazione di alcune religioni. Negozio che allora si trattava strettamente in Congragazione, overo con la sua prudenza assistita dal lume divino, somministrare altri mezzi proporzionati all'urgenza presente.
Si compiacque il Pontefice porger pietoso udito alla supplica e ne rimesse la causa alla Congregazione . Furono intanto avvisate le monache a star di buon animo poiché in Roma si operava a loro favore et esse lusingate da tali speranze si sollevarono alquanto. Ma poiché non era anche decretato da Dio il fine di questi travagli, quando si crederono in porto, da onde più furiose che mai, furono gettate all' alto mare di tribolazioni maggiori. Poiché avendo gli eminentissimi della Congregazione   rappresentato a Sua Santità gli espedienti giudicati opportuni per aiuto del monastero, non approvandoli  egli, con risposta conclusiva disse :<< Vi pensi la Repubblica di Lucca.>> Con che, restando  caricato di nuovo tutto il peso sulle spalle di quelli che già se ne trovavano stanchi, si videro le monache esposte ad imminente pericolo di abbandonare la clausura. Tal opinione correva nella mente d'ognuno, già venivano invitate dai parenti alle case loro, già si teneva per fermo che ogni legger motivo bastasse per far che il Pontefice disfacesse il Convento, poiché il rigoroso divieto, che più non si ammettesse soggetto, et altri sensi mutuamente espressi, ben facevano argomentare non esserne molto lontano.
Allora invero si fece prova di quanto può l'amor di Dio nel cuor di chi lo possiede, poiché in mezzo di questa burrascosa tempesta se ne stavano le Sacre Vergini ferme e costanti con l'occhio fisso in Dio e senza sbigottirsi dal timore di restare sommerse, sprezzando ogni invito del mondo, stavano risolute di seguire nelle penurie più estreme il loro Sposo Gesù, sicure che quando pur fossero restate abbandonate da ogni altro, Egli non averebbe mai per certo fermato gli effetti della Sua Provvidenza sopra di loro.
Così gettate l'ancora della loro speranza, lasciarono sbatter dall'onde delle contradizioni la povera barchetta del Monastero. Mormorazioni, bisbigli, disprezzi, penurie, tutti si fecero incontro a sommergerla, ma fra tanto le religiose le rinforzarono gli aiuti con nuove orazioni, frequenza di sacramenti, rigide penitenze et umiliazioni alla Divina Maestà e non andarono a vuoto poiché quando il negozio pareva all'occhio umano più disperato, si provarono propizi gli effetti della Divina Provvidenza come appresso si vedrà.
Intanto il Signore Iddio per far vedere al mondo quanto siano lontani gli umani discorsi dai suoi consigli, quando pareva che il monastero stava vicino a disfarsi, dispose che restasse maggiormente stabilito con l'atto della pubblica Consacrazione della Chiesa esteriore fatta ad istanza delle religiose dal Monsignor Pietro Rota, ritornato l'anno 1654 al convento per la seconda visita pastorale. La bontà di quel sacro prelato e la stima in cui teneva quel luogo, furono i motivi che l'indussero a condiscendere al pio desiderio delle monache, poiché mancandoli nelle presenti penurie il modo di far le spese necessarie per tal solenne funzione, non potevano sperare  di conseguirla senza fondare nella sua carità . Accoppiò a questa una generosità da suo pari Monsignor illustrissimo e ricusando di ricevere dal Monastero anche quelle piccole dimostrazioni di gratitudine  che li permetteva la sua povertà, supplì non solo alle spese sue, ma prima di partire dalla visita, li fece dispensare 20 scudi d'elemosina.
Fu destinato il giorno 20 maggio per la consacrazione della Chiesa, il quale fu prevenuto da un rigoroso digiuno e da più ore d'adorazione dalla Comunità delle religiose per disporsi a questa sacra funzione e alla Comunione generale  intimatili per la mattina seguente, nella quale portatosi Monsignor Arcivescovo ad ora congrua nella Chiesa con i suoi ministri, con giubilo e consolazione indicibile delle Monache, a vista loro celebrò la solenne funzione con le solite cerimonie e di propria mano ministrò alle medesime il Pane degli Angeli, dichiarando infine che il giorno anniversario della Consacrazione di quella chiesa doveva essere per l'avvenire il vigesimo terzo d'ottobre per essere impedito oil giorno proprio per lo più dalle feste mobili..


Capitolo 12
MONSIGNOR ILLUSTRISSIMO BUONVISI PRENDE A BENEFICARE IL MONASTERO E PER SUO MEZZO E D'ALTRE PERSONE DEVOTE VIENE SOLLEVATO NELLA SUA POVERTÀ.
Alla morte di Innocenzo X, successe l'elezione di Alessandro 1° in Pastore universale della Chiesa di Dio, l'anno 1655, acclamato da tutti tra le sue ottime qualità  perché un grande protettore dei poveri.
Dal trono della sua pietà, sperarono le spose di Cristo ricevere quell'aiuto che per le cause accennate e per altri accidenti non erasi conseguito nell'antecedente pontificato. Onde instavano con umilissime preghiere  che aprisse Sua Divina Maestà qualche strada per rinnovare le suppliche esposte invano la prima volta. Ne fu tardo il Signore ad esaudirle poiché richiamato da quel grande pontefice Monsignor Geronimo Buonvisi poco dopo la sua elezione all'Arcivescovado di Laodicea, prima di partire per Roma, portossi al Monastero per visitare le Madri Bernardini, sue nipoti. ( che per illustrar quel luogo, la divina Vocazione le aveva quivi tirate ) queste, con premurosissime istanze supplicarono il medesimo voler avere la bontà di rappresentare il voce alla Santità di Alessandro lo stato del monastero e le necessità che teneva di qualche valido soccorso per rimediare non solo alle esigenze presenti, ma per stabilire una entrata annuale sufficiente a supplire a i provvedimenti opportuni al sostentamento delle monache, rendendosi ormai troppo moleste alla carità dei fedeli, non meno che improprie allo stato di claustrali, le continue ricerche dei loro soccorsi. Non vi abbisognarono maggiori espressioni per muover quel benigno Prelato ad offerirsi prontissimo in questo affare. Con ogni saldezza d'affetto l'abbracciò e portatosi a Roma, avvisò ben presto esservi incontro di congiuntura propizia per renovare il Memoriale primiero, il quale presentato, fu graziato di favorevole Rescritto, espresso nella seguente lettera diretta da Monsignore ad una delle nipoti.
<< Signora Nepote carissima,
le molte occupazioni della mia carica non possono impedirmi che io per me stesso non porti a V.S. la buona nuova della grazia fatta da Sua Santità a codesto Monastero, non solo con l'approvazione   del Decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, ma con una particolare elemosina di 500 scudi che ha ordinato si paghino a me, acciò che io prontamente li faccia rimettere a Lucca, come faccio con questa lettera, dando ordine al Signor Alessandro, mio fratello, che li faccia sborsare in mano dei Protettori.  Da questa generosa dimostrazione e senza esempio, non essendo soliti i Papi far elemosine fuori di Roma, potranno conoscere lor Signorie il paterno affetto che porta loro la Santità Sua e che ha voluto comprovar con l'opera, quello che scrisse alla Madre Priora mentre era Cardinale e segretario di Stato , cioè che avessero pazienza e non disperassero della Divina Provvidenza, la quale veramente in questa occasione è apparsa singolarissima copiosa e opportuna. Non credano già che vi sia stato bisogno dell'opera mia, perché non ho parlato con Sua Santità se non dopo il fatto e per baciarle il piede per la grazia fatta a codesto monastero del quale m 'ha parlato a lungo e con molto gusto delle relazioni buone, che aveva dell'Osservanza  in che vivevano, della pazienza in tollerare tanta povertà e miserie e dell'avversione che hanno alle grate, che l 'ha lodato sopra ogni altra cosa. Io gli ho promesso che con l'orazioni cercheranno di ringraziarlo abbondantemente e non temo che siano per farmi restar bugiardo. Il Signore Iddio che ci ha dato un si Santo Pontefice sia quello che ce lo conservi.
E qui pongo fine, bacio a V. R. , a Suor Cherubina e sr. Maria Innocenza, affettuosamente le mani e raccomando anche me stesso alle orazioni di tutto il Monastero. >>
Roma, li 17 Luglio 1655                        Affett. mo Servitore e zio
Girolamo Buonvisi Arcivescovo di Laodicea
L'allegrezza che cagionò nell'animo delle Monache la liberalità del sommo Pontefice destò di nuovo gli affetti delle medesime a sperar sempre più nella Provvidenza Divina la quale avendo ingerito nell'animo di Monsignor Buonvisi suddetto, la commiserazione alle penurie di questo sacro luogo, dispose che esso medesimo con generosità da suo pari spontaneamente offerisse un entrata di 120 scudi annuali per fino a che il monastero non fosse ritornato in stato migliore, con che restarono assai sollevate le presenti miserie e con le contribuzioni dei Regolari della diocesi, tassate nel Decreto della Sacra Congregazione, cominciassi a dar forma all'Annua Entrata necessaria per le provvisioni opportune.  Ne mancarono inoltre altri effetti della Divina Beneficenza poiché per mezzo dei RR.PP. di Santa Maria di Corzeland…, che sempre hanno esperato al bene del monastero, alcuni loro figli spirituali somministrarono in quel tempo copiose elemosine. Singolarissima fu una di scudi 500 consegnati da un tale in gran confidenza al Padre Giufredo Rapondi, che vene in persona a depositarli in mano alla Superiora per ordine del medesimo. Un'altra di scudi 100 ricevuti per mezzo del Padre Antonio Paolini, quando appunto, mancato ogni altro denaro, veniva meno la provvisione della mensa. E in altre occasioni, per mano del medesimo Padre vennero dispensati copiosi i frutti della pietà  di molte persone devote.
Ne meno considerabile fu l'aiuto somministrato dal cielo per mezzo di un Nobil lucchese, corrispondente d'un mercante di Francia, da cui furono ricevute le monache a fabbricare con l’ago una quantità di lavori ( chiamati poi di Cortina ) che per essere dei lavori totalmente nuovi in queste parti non avevano trovato a i Monasteri di Lucca chi volesse esporsi al cimento di così difficile impresa. L 'abbracciarono queste, impiegandovi l'ingegno e la mano, con riuscita così felice che ne riportarono il frutto di molte centinaia di scudi in aiuto del monastero, in brevissimo tempo.
Svanirono intanto ben presto con la chiarezza di questa luce propizia l'oscurità degli ingeriti timori. Si calmarono le onde furiose che per tanto tempo avevano sbattuto  la quasi rotta barchetta del povero Monastero, già più non si udivano le voci aborrite di aprir le porte della clausura, d'abbandonar il viver comune e di altri simili infausti ripieghi, inventati dal dissipatore dell'Osservanza Monastica.
Ma da tutto questo si ammirava e lodava la somma pazienza, prudenza e costanza d'animo delle Spose di Cristo, magnificando la Divina Bontà che con sì nobilil modi Pauperem facit et dirat, humiliat et sublevat.
Capitolo 13°
MONSIGNOR BUONVISI FA' DONO  AL MONASTERO DEL CORPO DI SAN RODERIGO MARTIRE ET INTERVIENE ALLA TRASLAZIONE DEL MEDESIMO
Possedeva il monastero già dall'anno 1646 alcune reliquie donate dalla pietà di alcuni Signori che riguardavano questo sacro luogo come un santuario di devozione e tra l'altro il corpo di San Vincenzo et il braccio di San Massimo , martiri, estratti dalle catacombe di Roma, offerti a questa chiesa dal R. P. Girolamo Fiorentini e trasportati con insigne pompa e pietà per opera del signor Cosimo Bernardini ( uno dei Protettori delegati che più d'ogni altro aiutò, sostenne et onorò questo sacro chiostro per se medesimo e per mezzo delle sue nobilissime figlie ).
Considerando per tanto queste pie religiose con reflessione degna del loro spirito che restando collocato a man destra nell'uno dei bracci della chiesa, il corpo del glorioso martire San Vincenzo, posta la Santa Madre nel mezzo, come titolare del medesimo, saria stata il loro novello Moise con le braccia sempre innalzate ad ottenerli vittoria contro i comuni nemici, se a sostenerle si fossero uniti un da una parte e Aronni dall'altra, cioè se accanto a quella grande martire d'amore, non uno solo, ma due corpi di martiri avessero e applaudito alle sue glorie e raddoppiate al monastero le intercessioni. In congiuntura opportuna portarono per lettera efficacissime istanze a Monsignor Buonvisi acciò si compiacesse favorirle di un qualche  Sacro Deposito da collocare nella loro chiesa in corrispondenza  del già collocato San Vincenzo martire. Ed esso con egual prontezza e tenerezza d'affetto di compiacerle, promesse, come fece ben presto, inviandoli da Roma, il corpo del glorioso martire San Roderigo, riposto in un urna di velluto Cremesi fregiata d'oro  e di risplendenti cristalli, il quale ricevuto dalle nipoti e da tutte le monache con dimostrazione ben degna di quella stima che meritava un si prezioso tesoro. Riposò privatamente nella chiesa interiore dall'anno 1650 fin al 1654 senza esporsi alla pubblica venerazione dovuta, non permettendo la povertà del luogo celebrarne la traslazione solenne con il dovuto decoro. Finanche dal medesimo Arcivescovo Buonvisi, in occasione di nuova visita fatta alle nipoti , volle prendere sopra di se l'assunto e a proprie spese ordinò il solenne trasporto a cui volle intervenire in persona con dimostrazione di generosa pietà, il quale fu disposto nella maniera seguente
Allì 2  settembre 1654, la Madre Priora invitò con supplica particolare il Sig. Biagio Orsucci, Priore della collegiata con tutti i Canonici, Cappellani e Chierici, i Padri Osservanti di San Francesco e Confraternite del Castello, acciò si contentassero intervenire alla solenne processione, insieme con l'Illustrissimo Commissario e Magnifico Consiglio del Castello, i quali tutti cortesemente accettando l'invito si esibirono non solo ad intervenire alla Sacra Funzione, ma a contribuire con la opera loro all'ornamento delle strade e all'apparato della Chiesa per rendere la festa più celebre e magnifica con lo splendore della loro pietà.
Il primo che in ciò si segnalò fu l'illustrissimo Signor Francesco Marchiò in quel tempo Commissario della terra che fino nella quantità dei fiori offerti per ornamento della chiesa fece spiccare il suo devoto zelo convertendoli in frutti di carità con relassare picciole condanne di poveri contadini, obbligandoli solo ad offerir qualche tributo di fiori per restare totalmente assolti. Provvide inoltre di apparati superbi e quanto era opportuno per il maggior decoro della medesima
Altri si presero cura d'ornar le strade, deporre lumi e fiaccole in luogo eminente, altri di caricare il cannone del Castello, disporre mortaretti e fuochi lavorati con ingegnosa maniera a fine d'applaudire alle glorie del Santo Martire. Insomma non mancò la pietà di quel popolo di rendere celebre la funzione con la preziosità degli ornamenti e con il numero dei concorrenti ascesi a più di duemila e con tutti quei modi che seppe inventar l'industriosa devozione di ciascheduno.
Arrivato pertanto il giorno decimo di settembre, pervenuto al monastero sull'ora del mezzogiorno, Monsignor Illustrissimo si diede principio alla solennità con lo sparo del cannone, artiglieria e vari lavori di fuoco, proseguiti dal festivo suono delle campane del monastero e del Castello. Un pieno Coro di celebratissimi musici invitati a quell'effetto dal suddetto prelato, con inni e mottetti sonori accompagnarono il Sacro Deposito che ad ora di Vespro fu processionalmente portato con candele accese alla mano, dalle monache  alla porta del monastero e consegnato a quattro sacerdoti per collocarlo sopra l'altare della chiesa esteriore , posando l'urna sacra sopra un palchetto vagamente addobbato con archi e corona d'oro, che sosteneva due verdeggianti palme, significanti il martirio di tal santo. Proseguissi il Vespro cantato solennemente dai musici. E la sera rinnovaronsi i rimbombi  dei fuochi, scherzi di raggi e altri lavori che a tal effetto stavano disposti nella piazzetta contigua   alla chiesa.
Le monache, per contribuire con la loro solita religiosità e devozione all'onore del Venerato Deposito, passarono tutta la notte antecedente alla festa, in orazione nella lor chiesa di dove quello miravano a fine d'impetrarne perpetua la protezione e di prepararsi alla general Comunione intimatagli da Monsignore illustrissimo la seguente mattina. Indi, appena spuntata l'alba del sacro giorno, fu il santo Corpo trasportato privatamente nella Chiesa Collegiata, non essendo capace quella del monastero del numeroso popolo che doveva intervenire alla solenne processione. Fu posato in mezzo a quantità di luminose torce, cantassi ad ora congrua solennemente la Messa dai Canonici con l'accompagnamento della musica e terminata, diedesi principio alla processione con l'ordine seguente:
Precedevano le Confraternite con li loro stendardi e torce accese, li Padri Osservanti di San Francesco similmente candele alla mano, indi faceva ala al Sacro Deposito portato sopra un sontuoso palchetto e accompagnato dai Reverendi Canonici, l'insegna di Pedona con la sua scolaresca che per ordine del Signor Colonnello della Terra intervenne con moschetti e alabarde fin al numero di 60.
Sostenuto veniva il baldacchino da 4 dei principali del Magnifico Consiglio, portando il suo palchetto 4 Canonici vestiti con tonacelle di Damasco Cremesi;  cantandosi nel giro delle strade gli inni dell'Ufficio dei Martiri. Arrivato alla chiesa del Monastero, il Sacro Corpo fu con bell'ordine di milizia circondato dalla scolaresca, preceduta dal Signor Colonnello a cavallo e rinnovato lo sparo dei fuochi come sopra disposti, al rimbombo dei quali successero le voci sonore dei musici che con un concerto pienissimo applaudirono al solenne trionfo e poco dopo, essendo già fermata la sacra urna sopra l'altare, cantarono la Santa Messa celebrata solennemente  dal Padre Girolamo Fiorentini, alla presenza di Monsignor Illustrissimo che stava assiso sopra una sedia disposta in luogo alquanto eminente con il maggior decoro possibile, accrescendo con la sua devota assistenza e splendore alla festa e devozione alle religiose, alle quali dopo di essa ministrò con le proprie mani il Pane degli Angeli e non essendo contento di questo, facceli imbandire a proprie spese un lauto pranzo.
Cantossi poi dai suddetti musici alla sua presenza il 2° vespro e verso l'imbrunire del giorno, accompagnata la sacra reliquia dai 4 sacerdoti, con nuovo concerto di musicali strumenti e concorso di numerosissimo popolo, fu consegnata l'urna alla Madre Priora, portata immediatamente in processione da tutte le religiose fin alla chiesa interiore e collocata  nel concavo del muro preparato a tal effetto a mano sinistra, in corrispondenza  del sacro Deposito di San Vincenzo martire ove fino ad oggi riposa. Venerato dalle monache  e da  tutto il castello con singolare devozione.
A tanto si estese in questa occasione la singolare pietà di Monsignor Buonvisi il quale poco dopo promosso dalla Santità d'Alessandro 1° al Cardinalato e indi al vescovato di Lucca, tra le sue pastorali sollecitudini una, sempre affettuosa e costante fin che visse conservò verso questo monastero beneficandolo in tutti i rincontri e promovendolo a maggiori avanzamenti spirituali e temporali, come più innanzi si dirà.
Capitolo 14°
L'AMBASCIATORE DI SPAGNA FA DONO AL MONASTERO DI UNA RELIQUIA DELLA SANTA MADRE TERESA E SI ESPERIMENTANO NUOVAMENTE ALTRI EFFETTI DELLA DIVINA PROVVIDENZA.
Si disinganni pure chi in tal errore cadesse! Non è la povertà ne la penuria delle comodità temporali, quella che pone in discredito le case religiose, ma si bene la mancanza delle virtù, la poca osservanza della regola e la disunione delle sorelle. E che ciò sia il vero, qual monastero della diocesi si trovò più diffamato di questo in materia di povertà? Eppure nel tempo medesimo che stava ondeggiando in alto mare di angustie in ogni genere, moltissime giovinette nobili e ricche della città, non spaventate dalla penuria, ma allettate dall'unione, dallo spirito e dalla santa allegrezza con che vivevano le monache, domandarono con premurosissime istanze di essere ammesse all'abito e restarono sconsolate per esserne escluse in esecuzione dell'Ordine Pontificio emanato sotto Innocenzo X, ne per fare revocare dopo alcuni anni tal decreto ebbero le religiose molto da affaticarsi perché la Divina Provvidenza nel preparare alcuni soggetti a questo monastero ingerì nell'animo loro tali ardenti brame che impazienti di trattenere l'ingresso fino a che il monastero superasse le difficoltà  che s'incontravano a Roma, stimolarono i loro genitori a portarne per alcune strade l'instanze  a quel supremo concistoro, con si felice riuscita che ben presto ne ottennero la grazia, la quale se ben veniva accompagnata da una circostanza svantaggiosa per essi, cioè per l'aumento  della spesa nella elemosina dotale non di meno  non fu bastante a ritardar i passi delle fanciulle ne a raffreddar l'affetto  dei parenti e con questo mezzo vennero aiutate le entrate del monastero e riempirono ben presto le piazze, già restate vacanti con la morte di molte.
La prima  a cui dopo il corso di dieci anni si aprì la porta di clausura per darle l'abito religioso fu l'Illustrissima Signora Sabettina Buonvisi, cugina dell'Illustrissimo Cardinale e Vescovo della Città , amata  da esso con singolar affetto, chiamata alla religione col nome di Suor Anna Maria del Beato Luigi, soggetto che per le sue rare qualità et esempio  di ogni virtù va tuttavia illustrando questo monastero.
Una figlia altresì  dell'Illustrissimo Signor Lorenzo Cenami, in quel tempo Ambasciatore della Repubblica al Re di Spagna, ordinò Iddio che spontaneamente eleggesse consacrarsi figlia alla Santa Madre Teresa perché volle con tal mezzo dimostrarsi madre affezionata di queste sue religiose che tutte afflitte vivevano per non godere di qualche reliquia di suo, desiderando dunque da molto tempo e domandando al Signore questa grazia restarono consolate per mezzo del sopradetto Ambasciatore e della Signora Anna GianPaoli, sua consorte a cui ne fecero vivissime istanze.Poiché nel tempo  che in quel Regno personalmente dimorarono, procurarono et ottennero per somma grazia da un Monastero di monache, di quelli   già fondati dalla Santa Madre, una sua insigne e verificata reliquia, consistente in un poco di carne del cuore, osso, sudario e un manoscritto di proprio carattere della Santa, accomodata nobilmente   in un reliquiario d'argento, il quale insieme con autentica in lingua spagnola e giurate testimonianze delle religiose di quel monastero ben tosto fecero pervenire  alle mani del Signor Bartolomeo Cenami lor figlio, acciò nella prossima festa della Santa Madre Teresa l'offerisse al convento. Eseguì con impareggiabile pietà l'imposto officio il devoto giovane e fatta prima consapevole da esso la Madre Priora del tesoro dal cielo mandatoli, poco dopo portossi con quello in persona a depositarlo appunto il giorno 14 ottobre vigilia della festa, accompagnato dal Reverendo Padre Antonio Paolini e altri Signori.
Giubilò il cuor delle monache prima dell'arrivo, poi all'arrivo del lor caro pegno e con lacrime di tenerezza piegarono le ginocchia a terra alla vista della sacra reliquia, esposta alla presenza di tutte dal Padre Paolini sulla porta del Monastero. I primo ossequi furono gli affetti del cuore che precorsero e superarono il rimbombo dei varie bocche di fuoco e dei musicali in strumenti che in un punto con strepitoso concerto applausero alle glorie della Santa e fin al cielo fecero testimonianza della stima ben grande che facevano del tesoro da esso inviatogli. Poi consegnata dal suddetto Prelato alla Madre Priora la sacra reliquia, stringendosela al seno in compagnia delle religiose, che con voci sonore accoglievano la lor cara Madre, portatola fin all'altare della chiesa interiore, et ivi fu deposta in mezzo a quantità di lumi sopra un decente apparato, ne mai per tutta la seguente notte si dilungarono da quella le figlie, impiegandola ognuna in tenerissimi affetti e ossequi devoti.
La mattina fu esposta alla pubblica venerazione dei popoli sopra l'altare esteriore, arricchito non meno di luminose torce che di preziosi ornamenti, ove appena collocata concorsero a gara una infinità di persone allettate dalla beneficenza della Santa che in ogni tempo ha compartito singolarissime grazie a chiunque ha fatto ricorso alla di lei intercessione. Cantassi dalle monache solennemente con musica la Messa et il Vespro e verso il tardi dovendo di nuovo ricevere dentro il chiostro la sacra reliquia, rinnovaronsi i rimbombi dei fuochi e gli applausi delle voci sonore. Indi consegnata alla Madre Priora fu collocata nel luogo più degno, vicino al deposito di San Vincenzo martire di dove comparte alle figlie continue specialissime grazie.
Risplendente in sommo grado in quel giorno la pietà dei suddetti Signori Cenami, poichè altre l'aver arricchito il monastero di dono così prezioso et assistito alla solennità della santa con dimostrazione di affetto devoto, compartirono in elemosina buona quantità di cera e la provvisione per la mensa delle monache. Rinnovando poi ogni anno così generosa offerta di carità e fino al giorno d'oggi viene continuata dal Signor Bartolomeo con l'oblazione della cera e con la protezione che ha sempre avuto del monastero non ostante che ben presto ne li mancasse il motivo venendo immaturamente dalla morte rapita la sua religiosa sorella quale nei pochi anni che visse in questo sacro chiostro explenit tempora multa, lasciando dietro di se grandi esempi di virtù e desideri di più lungamente goder della sua persona.
Da questo tempo adunque rimanevasi con ragione le monache più compitamente felici poiché godevano entro la clausura sempre presente quel caro pegno della lor Santa Madre, fecero a gareggiare verso di quello e la pietà nel venerarla e la generosità in arricchirla di nuovi preziosi ornamenti collocandola in fine pochi anni sono entro un nobilissimo reliquiario d'argento delicatamente non meno che misteriosamente lavorato , venendo sostenuto invece che da un piedistallo da un angelo che esprime l'apparenza di uno che avendo a reggere grande mole sopra la testa, par che troppo ne resti aggravato, alludendo non so se piuttosto ai grandi meriti della Santa o alla moltitudine degli ossequi che li vengono tributati in quel monastero quasi che fino quelle instancabili mani ne sentano il peso.
Altri nuovi effetti di Provvidenza Divina provarono in quel tempo le religiose poiché oltre i molti soggetti  che con singolarissime vacazioni abbracciarono l'Instituto   fino una tal illustrissima Signora Maria Massei, vedova relitta del Signor Francesco Cittadelli, allettata dall'odore delle virtù  che spargeva quel sacro Giardino, volle separarsi dal mondo con dispoglio totale di ogni terrena comodità e ritirarsi a vivere in compagnia delle Spose di Cristo, in abito vedovile per esercitarsi in tutto il restante della su avita nelle medesime religiose operazioni che esse praticavano a fine di facilitare a se stessa il conseguimento della propria salute, e in effetto ottenuta licenza dalla Sacra Congregazione d'entrare in quel sacro chiostro, passò in esso con somma edificazione delle monache, il corso di quasi due anni a capo dei quali fu chiamata dal Signore all'altra vita per mezzo di varie indisposizioni che finirono di perfezionar l'anima sua con l'esercizio della pazienza, mentre consumavano il corpo, lo ridussero in breve alla comune corruzione. Avendo in quel tempo goduto il monastero oltre gli esempi della di lei pietà,un entrata annuale di scudi 300, che volle l'istessa contribuire delle proprie facoltà. Questi sono una parte dei moltissimi effetti della Provvidenza Divina che ha sperimentato questo monastero dopo la prova degli accennati travagli, volendo Iddio farli conoscere esser quel fedelissimo Sposo che per corrispondere alla lor fedeltà e sincera servitù non solo li serbava copiosissimo il premio nella vita futura, ma nella presente ancora sapeva concederle nuove grazie spirituali e con moltiplicata vena eziandio l'accrescimento delle comodità temporali.
Capitolo 15°
SI STABILISCE LA PERFEZIONE DELL'INSTITUTO CON LA RIFORMA DELLE COSTITUZIONI.
Benché il Signor Priore Cenami delegato da Urbano VIII per la mitigazione della Regola D' Alberto, come s'è accennato di sopra, adattasse con mirabile discretezza di spirito le Costituzioni a quella forma di vivere che per essa aveva prescritto al Monastero, si trovò nondimeno in progresso di tempo, che restavano imperfette in alcuni capi che o manchevoli in tutto o inosservabili affatto sperimentatasi. Onde fino nell'anno 1651 all'instanze delle religiose che desideravano perfettamente osservare l'intrapreso Insituto Monsignor Pietro Rota vescovo della Diocesi, con paterna sollecitudine si adoprò per migliorare i detti ordini, accomodandoli il più che fosse possibile alla Norma prescritta dalla Santa madre Teresa ( al qual modello già da principio si era procurato accomodarle ) e invece poi di ottenere il bramato intento, le trovarono in pratica più confuse di prima.Così per tanto mal satisfate le monache quali ben conoscevano che pregiudizio potevano col tempo arrecare all'Osservanza della Regola le non ben consolanti Costituzioni, ne sospesero ogni altro motivo, fino a che, on la Visita Pastorale dell'Eminentissimo Buovisi, Vescovo di Lucca, si videro aperta la strada a rimettere in piedi il trattato e con la speranza di più felice riuscita. La Madre Priora adunque ( in quel tempo Sr. Tecla di Gesù, religiosa di grande bontà e molto illuminata da Dio ) espose a nome del Capitolo delle Monache a sua Eminenza  il desiderio e volontà uniforme che avevano di veder redatte in migliore forma le loro regolari Costituzioni, esponendoli insieme le difficoltà che incontravano nell'Osservanza delle medesime. Disse che erano pronte a sottoporsi ancora a maggiore rigore, se a Sua Eminenza fosse piaciuto prescriverlo, purchè spianasse le difficoltà da qualche dichiarazione e resi più consonanti i capi accennati, venissero aiutate a più perfettamente osservare il Professato Istituto.
Piacque a Sua Eminenza la prudente proposta e fatto consultare il negozio, parve bene all'accorto Prelato ordinare ad esse medesime che redassero in carta il breve volume delle regolari Costituzioni in quella forma e con quelle dichiarazioni che l'esperienza le faceva conoscere essere necessarie ordinarle. le presentassero poi al suo tribunale  da cui dovevano attendere l'approvazione e l'obbedienza prima di praticarle.
Ricevutosi dalla Priora tal ordine lo partecipò alle Monache, esortandole tutte a premettere orazioni generali e particolari al signore Iddio per impetrare il suo lume divino in cosa di tanta importanza. Poi unitasi con le Madri del governo e con quelle che fin dal principio avevano consultato il  Signor Priore Cenami, sopra il prescritto soggetto delle Costituzioni. dopo varie e mature riflessioni le disposero con ordinata consonanza sulla norma data dalla Santa Madre Teresa il più che poterono in similitudine delle prime ricevute nel Professare la nuova Regola, moderando quei capi e aggiungendo  gli altri , che come si è detto portavano ostacolo alla perfetta Osservanza. Presentate a Sua Eminenza furono da esso approvate in tutte le parti e sottoscritte di proprio carattere, poi munite di sigillo episcopale, le rimesse alla Priora con dichiarazione che fossero dalle Monache ricevute et osservate da lì in avanti come Ordini inviatili immediatamente da Dio e con quella Obbedienza che prescrivono le loro Regole e come tali al presentarle che fece la suddetta Superiora al Capitolo delle Religiose furono uniformante  et abbracciate e stimate, sottoponendosi ad esse con nuovo fervore di spirito, venendo con quel mezzo molto aiutata la perfetta Osservanza delle Tegola. La pratica sperimentale di essa fece poi sempre più in progresso di tempo, conoscere qual assistenza di lume divino avessero avuto e le Religiose in disporle così concertatamente et il Prelato in approvarle, poiché con queste, quasi per una nuova scala di Giacobbe, camminarono tutte a maggior perfezione, salendo di grado in grado per gli atti di virtù fino ad unirsi per sempre con lo Sposo Celeste che sta nella sommità della scala et a cui l'anima religiosa arriva con la perfetta Osservanza delle sue Regole.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       " Tutto il sopraddetto si è notato acciò non vada in oblio ne qual  mente fino da principio il Signor Iddio ha voluto restar servito e che in questa casa si viva si religiosamente che in quello che essenzialmente concerne lo stato religioso non vi era da desiderare di più e questa fu la cagione che l’Eminentissimo Signor Cardinale di Sant’Onofrio applicasse l’animo a dar perfezione a quest’opera, poiché sperava che quelle che, senza obbligo  di solenne Professione vivevano l’esatta osservanza dei Voti Religiosi, e che con si bell’ordine tenevano vita comune conforme le disposizioni del Sacro Concilio Tridentino, dovessero dopo la Professione avanzarsi maggiormente nel servizio divino e così seguendo non si poteva temere che fusse per mancare il debito sostentamento conforme il detto di David:<< Non vidi iustum derelictum nec seme eius querens panem.>>
Si compiacque Sua Eminenza di mostrare il buon affetto che concepito aveva mediante le buone relazioni avute,regalando alle Vergini tre devoti libretti , cioè le Costituzioni e i Decreti fatti da sua Eminenza per le Monache del suo Vescovado. La Dottrina Cristiana del Bellarmino e il Trattato breve dell’Atto di Contrizione del Prè Olma.
(  Dal Libro Memoriale )"
FINE







PRIMO REGOLAMENTO
DELLA CONGREGAZIONE DI GESU' E MARIA

Yhesus Maria 1597

Dovendosi a laude et gloria di Giesù Christo et della sua Madre Vergine dar principio di vivere in questa nostra casa come si vive nellì Monasteri bene ordinati è di necessità perciò fare servirsi dell’ordini medesimi per potersi con essi conformare et prima

Nonstando la Madre Priora in casa è dì necessità che in luogo suo ci sia una soppriora, una vicaria, una maestra delle novitie, due consigliere, una camarl­inga, due rotarie, una che tenga una bacchetta da scrivervi tutte l’entrate et spese della casa et una che tenga un’altra bacchetta da scrivervi tutti i lavori che si faranno in casa et li  denari che da essi si caverà.
Del modo di eleggere li detti offizi
Invocando prima lo Spirito Santo dicendo Veni Creator Spiritus  et  fornito l’inno il padre confessore dica l’oratione dello Spirito Santo, il che fatto tutte si ritirano in una stanza lontana et separata dallo sportello della chiesa et comin­ciando dalle Maggiori di età et più antiche del luogo, ad una per volta si accostino al dello sportello dove alla presenza della maggior parte delli protettori et del padre confessore dica chi li pare che sia buona per superiora triaria et camarlinga; quelle che haveranno più voci siano elette per soppriora, vicaria, et camarlinga per dui anni continui et così di dui in dui anni si vadi continuando, le quali soppriora vicaria et camarlinga insieme congregati alla presentia delli detti protettori o maggior parte di essi et della Priora si eleggerà tutte le altre  officia et divideranno le cure soprascritte.

Nel tempo che si deve eleggere la soppriora et altre offitiali


Che ogni dui anni in calende giugno si devino adunare li protettori o maggiori parte di loro con il padre confessore il quale deva servire per scrivere li voti nella nostra chiesa per eleggere la soppriora, priora et camarlinga et altre offitiale et forma detto di sopra.

Della obedienza da gìurarsi in mano della Priora


Eletta che sarà la soppriora et le altre offitìale, tutte le fanciulle cominciando dalla Vicaria et seguendo per ordine ad una per volta giureranno sulli santi Evangeli in mano del Magnifico Reverendo signor Priore di Camaiore o di altra persona religiosa a chi più parrà et piacerà eleggere alli protettori o maggior parte loro di obbedire alla soppriora et a tutte le altre offitiali con carità et amore come si conviene et tutto per amor di Dio Benedetto.
L’offitio cI cura della soppriora sarà di attendere che si osservino li Capitoli che ci sono per la cura et governo della casa cioè che osservi l’hora del far oratione, del dire l’offitio della Madonna ,del silentio, della disciplina, del sollicìtare li lavori che siano fatti con diligenza et sollecitudine et perché possi meglio attendere a questo si li leva tutte le altre cure della casa, avertendola che habbia quella stessa cura di tutte le giovane di casa, che ha havere la maestra delle novitie delle suoi novitie nè di cose nè della lor maestra non se ne deve piglìar cura nè tanto nè pocho si già non vedessi qualche cosa che li paresse star male, il che debba conferirlo con la Madre Priora et non provedendo  lei lo debba notificare quando si radunano tutte insieme acciò parendo alla maggior parte li si dia qual migliore et salutevole rimedio che a esse così congregate parrà espediente et questo suo offitio facci con carità et per amor di Dio et in remissione delli suoi peccati.
L’ offitio et cura della Vicaria sarà di dar ordine alle cuciniere di tutto quello che devono fare giorno per giorno et delle vivande et di questo non ne deva domandare parere ad alcuna et le cuciniere obidischino solo alla Vicaria sotto pena di una buona penitenza da darsili dalla Madre Priora et di esser casse dall’ offitio et debba ancora detta Vicaria ricevere et tenere diligentemente conto et cura di tutte le robbe che verranno in casa, vendere i lavori et di quelli ricevere il denaro et così le elemosine et altro che fosse donato et li denari delli lavori et di altro tutti debba consegnare alla Camarlinga et operare che si servino alla bacchetta da chi tocca et offitio suo di spendere in tutto quello che sarà di bisogno per la casa. Non facci le parti quando si sta a tavola che questo è offitio di una delle cuciniere ne meno facci il pane ma lo facci fare a chi a lei parrà standoci però presente et servi al presente ancora prima delle rotarie facendo questo suo offitio con carità et per amor di Giesù et in remissione delli suoi peccati.
L’offitio della Maestra delle novitie sarà di fare osservare li ordini et le regole date per le novitie et sopra a tutto avverti che non vadi una sola fuori dell’uogo del novitiato et tutto facci con somma carità et per l’amor di Giesù et in remissione delli suoi peccati.
L’offitio et cura delle Consigliere sarà mentre che dalla Madre Priora Soppriora Vicaria et Maestra delle novitie saranno chiamate per trattare insieme delle cose concernenti al culto di Dio et alla cura utile et benefitio della casa ciascuna salvo legittimo impedimento debba ritrovarsi et dire con carità et amore ilsuo parere rimettendosi sempre alparere et consiglio della maggior parte et detto offitio faccino per amor di Giesù et in remissione delli peccati.
L’offitio et cura della Camarlinga sarà di tenere diligente cura delli denari che li saranno dati et consegnati dalla Vicaria tanto dei lavori come di altro et ogni otto giorni ne debbi dare buono et legal conto alla madre Priora et più presto et più tardi secondo che a essa parrà et piacerà et tutto facci per amor dello sposo Christo et in remissione delli proprij peccati.
L’offitio et cura delle Rotarie sarà di non lasciar mai parlare da solo a solo alla ruota o grata a qualsivoglia di casa et ciò neanche alla Soppriora Vicaria et Maestra delle novitie con chi venisse alla ruota o grata senza espressa licentia della Madre Priora et Soppriora avvertendola che nel tempo della quaresima et advento né le giovani né le novitie possino andare alla ruota o grata nemmeno quelli giorni che si sono communicate senza espressa licentia come di sopra et
caso che ci fosse alcuna d’esse Rotarie disobbediente lo debbino di subbito notificare alla Madre Priora acciò che li dia quella penitentia che a lei parrà et piacerà facendo detto loro offitio per carità et amor di Dio et in remissione dei loro peccati.
Che la Madre Priora, Soppriora, Vicaria, Mestra delle novitie et Consigliere si debbino radunare insieme ogni quindici giorni almeno et più ancora se così parrà espediente alla Madre Priora avvertendo che nessuna delle giovane et novitie sia tanto ardita accostarsi alla stanza dove saranno radunate per sentire di quello che si tratta sotto pena di una buona penitentia da darsili dalla Madre Priora. Avvertendo ancora alla Soppriora, Vicaria, maestra delle novitie et Consigliere che gli è proibito il non poter parlare né fare o dire qualsivoglia minimo cenno con qualsivoglia di casa di quello che si sia discorso, consigliato et risoluto tra loro senza espressa licentia della Madre Priora pena di esser casse dall’offitio o altra penitenza che parrà et piacerà alla Madre Priora.
Item sia a perpetua memoria che nessuna persona tanto religiosa quanto regolare et di qualsivoglia grado sesso et condissione possa per l’avvenire entrare in casa senza espressa licentia della maggior parte delli protettori d’appresentarsi in scrittura alla Priora et in absentia alla Soppriora eccetto però le persone necessarie et nelli casi necessarij et parimenti il confessore non entri che per dare li santissimi sacramenti.
Che quando parrà et piacerà alla maggior parte delli Protettori tutte di casa vestino un habito come et in quel modo che dalli detti sarà ordinato.

Ordini per la casa

Che la Madre Priora tengha una chiave del farinaglio et altre cose da mangiare come formaggio legumi frutti et cose simili et un’altra ne tenga la Soppriora et ogni sabbato di ciascuna settimana la detta Priora et Soppriora consegnino alla Vicaria et Camarlinga tanta farina a fare il pane per tutta la settimana et così ancora tanto olio et altre cose la quale Soppriora et Vicaria le consegnino alle altre offitiale per dispensarle et farle durare tutta la settimana et parimenti tenga la detta Priora una chiave della cassa delli denari et un’altra la Camarlinga et similmente ogni sabbato se ne dia quella quantità necessaria a spendere in una settimana per companatico alla detta Camarlinga et inoltre si osservi il medesimo ordine per conto del vino consegniatone una botte per volta et carico a chi ne haverà la cura di farla durare quel tempo che sarà ordinato dalla Priora et Soppriora et quella che non farà massaritia di quelle cose che li saranno consegniate et non le farà durare il tempo che sia privata dell’offitio et ne faccia
quella penitenza che sarà ordinata dalla Priora havendo consideratione al fatto et qualità di esso.
Inoltre si osservi inviolabilmente di non mangiare che in refettorio allora di desinare et cena solamente et fuori di questo dui pasti non possa alcuna delle offitiale dare alcuna cosa da mangiare a qualsivoglia eccetto la merenda alle novitie et alle inferme secondo che sarà ordinato dalli medici sotto pena della privatione dell’offitio et di una severissima penitenza dateli dalla Priora et quella che ardisca mangiare fuori delle dette hore di desinare et cena et fuori del refettorio et che ardirà portar via fuori di detto refettorio pane et altro et che non lassi tutto sopra le tavole del refettorio sia punita severissimamente secondo che parrà et piacerà alla Priora et Soppriora.
Li soprascritti capitoli e ordini furono approvati e sottoscritti da Giovan Battista Antognoli, Paolino Orsucci priore di Camaiore, Baldassarre Orsucci come protettore e Lorenzo Guinigi lo stesso in qualità di protettore.


Ricordi da osservarsi da tutti noi sorelle per amore del nostro sposo Gesù Christo crucifisso et prima
L’obedienza al Padre Confessore alla Madre Priora alla soppriora alla vicaria in quelle cose che s’aspetta al suo offitio.
Il giorno delle feste si cominci il silentio quando è fatto il segno di andare a dormire et duri fino alla mattina che sia udita la Messa, ma nel tempo dell’advento et quaresima fino che sia sonata la predica et il resto del tempo che ci avanza fino che sia udita la messa si consumi in leggere qualche lettione spirituale o ragionamenti ovvero in prepararsi alla santissima comunione et quella che haverà bisogno di qualche cosa ne dimandi licentia alla soppriora.
Le feste dopo il desinare di un ora si leggi fino a quattro foglietti di dottrina christiana et altrettanti de costumi civili et christiani et finita la dottrina si segui il dialogo della confessione et comunione et finito si ricominci dalla dottrina accertando che de costumi civili et christiani se ne leggi ogni volta.
Il giorno del lavoro il silentio cominci come al solito et duri finché sia fatta l’oratione et ditto mattutino.
Che mentre si dice l’offitio si tenghi silentio non si ridi si tenghi gl’occhi bassi et ben mortificati et così si facci in refettorio mentre si mangia.
Che nessuna la mattina levata che sarà possi scendere la scala da sola.
Che nessuna possi mangiare fuori del refettorio senza licentia della sop­priora.
Che nessuna possi dare alcuna cosa di casa senza licentia della Madre Priora
salvo che i lavori o ricevere denari o altra cosa et tutto questo è offitio della Vicaria.
Che mentre si parla con la Madre Priora soppriora o vicaria ciascuna parli sempre con humiltà, parli piano con voce bassa in tutti i luoghi et tutti i tempi.
Che quando ci vien comandato dalla Madre Priora soppriora o vicaria cose appartenenti al loro offitio nessuna dichi questo non farei questo non voglio fare, ma facci l’obbedienza.
Che se alcuno si adirerà con la sorella li sia fatta la correttione per la prima volta dalla soppriora, la seconda volta non emendandosi, la soppriora lo dichi alla Madre Priora.
Che nessuna mai sia ardita lamentarsi con le altre lamentarsi con le altre sorelle della soppriora o vicaria quando li paresse di ricever torto ma si bene possi dire la sua ragione alla Madre Priora.
Che il giorno dopo il vespro sempre si ragioni della meditazioni che si sarà fatta la mattina et il giorno delle feste doppo il vespro si dichi sempre un esempio facendo a una volta per uno.
Che quella che haverà qualche offitio lo facci con somma carità et ciascuna si contenti di obbedire a che si conviene et che ha hautorità di comandarli.
Che quelle che haveranno offitio sentendo che alcuna si lamenti si governi con la patienza et ne facci ricorso alla Madre Priora; et quando una vedesse qualche defetto nella sorella l’avertischa per carità non emendandosi lo dica alla soppriora.
Che quella che terza volta sarà stata avvertita per non haver osservato questi ricordi la soppriora la manifesti alla Madre Priora che li dia una buona penitentia.
Che quelle che non osservassero questi ricordi mancando in segreto ne dichino la loro colpa in refettorio.
Che nessuna domandi né usi diligenza di sapere quello che si deve fare a cena o a desinare né dichi questo non mi piace, questo non voglio ma ciascuna mangi di quello che li è posto avanti et le cuciniere obbedischino solo alla vicaria et quelle che non osservassero questo ricordo ne dichino la loro colpa al refettorio.
Che quando una sorella farà qualche mortificazione in qualsivoglia luogo che nessuna ardisca di ridere et se alcuna in ciò incorresse la soppriora gli facci fare due volte la stessa penitenza.
Che quando verrà una parente a visitare alcuna di noi nessuna li parli alla grata o ruota neanche la soppriora et vicaria senza la assistenza di una delle rotarie.
Che nessuna leggi libbri accattati o donati o compri fino che prima non siano visti et licentiati dal Padre Confessore, facendosi il medesimo di quelli che
porteranno le novitie et loro sotto pena di privationi dell’offitio.
Che nessuna sia ardita per l’avvenire scrivere o fare scrivere lettere o polizze a parenti o amici et mandarli fuori del luogo che prima non siano viste lette o lìcentiate dalla Madre Priora et uno delli protettori presenti in Camaiore et ancora non si possi da alcuna ricevere lettere o polizze di fuori di casa da qualsivoglia persona di fuori che prima non sia vista o letta et licentiata come di sopra sotto la medesima pena come di sopra.
Che ciascuna dichi la colpa una volta la settimana in refettorio di vernadì mattina una parte e l’altra parte la sera.
Che una volta il mese la Madre Priora o soppriora faccia dire i difetti di ciascuna a tutte et questo si facci con carità perché facendo questo in breve tempo mediante l’aiuto divino tutte si emenderemo de nostri difetti sapendo che non conosciamo i molti difetti che noi habbiamo.
Che la quaresima et advento non si vadi mai alla ruota o grata i giorni delle feste né i giorni di lavoro se già non fosse cosa molto urgente et di gran necessità et questo si facci ancora con licenza della Madre Priora o soppriora et l’assistenza però sempre di una delle Rotane.
Questi ricordi si leggino alla taula dui volte la settimana cioè la domenica mattina da quella che sarà comandata dalla Priora o soppriora et non facendo ne facci al refettorio quella penitentia che parrà alla Priora.
Sia cura della Priora et in assentia della soppriora di vedere ogni otto giorni che tutte noi habbiamo tagliati i capelli.
Agnus Deo et Beata Maria Vergine.










































REGOLA PRIMITIVA D’ALBERTO PATRIARCA,
MITIGATA PRIMA DA INNOCENZO IV
E POI
PER IL MONASTERO DI SANTA TERESA DI CAMAIORE,
CON L’AUTORITA’ DI URBANO VIII PAPA,
DAL SIGNOR ALESSANDRO CENAMI
PRIORE DI SANT ’ ALESSANDRO DI LUCCA NEL 1634.
Alberto per la grazia di Dio, Patriarca di Gerusalemme, agli amati figlioli Brocardo ed altri Religiosi Carmelitani, che abitano sotto la ubbidienza nel Monte Carmelo, vicino alle fontane di Elia, salute nel Signore e benedizione nello Spirito santo.
Per molte vie e modi istituirono i santi Padri, in che modo ciascheduno di qualsivoglia Ordine sarà e in qualsivoglia modo di vita religiosa che eleggerà, debba vivere in servizio  di Nostro Signore Gesù Cristo e servirlo fedelmente con puro cuore e buona coscienza, imperochè, perché ci domandate che secondo la vostra maniera di vivere vi scriviamo una regola, la quale osserviate per l’avvenire, la diamo e concediamo con le seguenti parole.
CAPO I°
CHE ABBIANO PRIORE O PRIORA E DI TRE VOTI
Istituiamo primieramente e ordiniamo che abbiate uno di voi per Priore, il quale sia eletto in questo uffizio  di comune consenso di tutti o detta maggior parte e il più prudente, al quale ciascuno di voi prometta ubbidienza e dopo averla promessa, procuri osservarla insieme con Castità e Povertà. Nella stessa maniera si eleggerà una monaca per Priora con il consenso della maggior parte, secondo che disporranno le Costituzioni, nelle cui mani si hanno da promettere i voti di Povertà, Castità, d’ubbidienza e di perpetua clausura.
CAPITOLO II°
DEL RICEVERE LUOGHI
Potrete aver luoghi e case negli eremi e dove vi saranno dati, disposti e comodi per l’Osservanza della nostra religione, secondo che al Priore e agli frati parrà convenirsi.
CAPITOLO III°
DELLE CELLE DEI FRATI E
CHE MANGINO IN REFETTORIO COMUNE
Oltre a ciò , nel sito che eleggerete  o disporrete abitare, ciascuno abbia la sua cella murata, come gli sarà assegnata per disposizione del Priore e consenso degli altri frati o della più prudente parte di loro. In tal maniera, che quello che vi sarà dato di limosine, lo mangiate in comune refettorio, udendo qualche lezione della Sacra Scrittura, ove comodamente si potrà fare e nessun frate potrà mutarsi di luogo, ne cangiarlo senza licenza del Priore. La cella del Priore stia all’entrata del convento, acciochè sia il primo a ricevere chi verrà e ad arbitrio e disposizione di lui si faccia in casa quanto si ha da fare. Stia ciascuno dentro della sua cella meditando giorno e notte nella legge del signore, se non sarà occupato in altra giusta occupazione.
CAPITOLO IV°
MITIGAZIONE DELLE CELLE DELLE MONACHE E SUO USO
E DEL REFETTORIO
Averà ciascuna sorella la sua cella separata, se comodamente si potrà, posta nei comuni dormitori e avanti ad essa si terrà una cortina di tela bianca alquanto grossa e i mobili siano proporzionati alla povertà religiosa. Gli esercizi manuali non si eserciteranno nelle celle, ma nella sala comune: e quanto a quello che la Regola comanda, con dire che si mediti giorno e notte nella legge del Signore, si dichiara che soddisferà quella che la mattina si porrà fermamente di migliorare la sua vita e la sera farà l’esame di coscienza detestando le sue colpe e ponendo l’emenda. E si ricordino che la presenza di Dio le guarderà da molte cadute, conforme al detto di David: Proponebam Dominum in conspectu meo sempre, quoniam à dextris es mihi, ne comovear. Prenderà ciascuna la refezione nel comune refettorio se non sarà impedita da infermità e da altra legittima causa.
CAPITOLO V°
DELLE ORE CANONICHE PER I FRATI
Quelli che sapranno recitare l’ore canoniche come i Sacerdoti, le devono recitare conforme li Statuti dei Santi Padri e il costume usato dalla Chiesa e quelli che non sapranno, diranno per il Mattutino 25 volte il Pater Noster, eccetto le domeniche e Feste Solenni che si guardano, nei Mattutini delle quali stabiliamo che si dica il detto numero raddoppiato, cioè 50 volte e 7 volte si dica la medesima orazione per le Laudi e per le altre ore, 7 per ciascuna e al Vespro si dirà 14 volte.

CAPITOLO VI°
DELLE ORE CANONICHE PER LE MONACHE
Quelle che saranno professe avranno l'obbligo di recitare l'officio Divino in Coro,  non avendo legittimo impedimento,  secondo il Breviario Romano: con gli Uffici dei Santi dell’Ordine Carmelitano. Le Converse diranno per il Mattutino 25 volte il Pater Noster, ma nelle domeniche e feste comandate per Mattutino raddoppieranno il detto numero e saranno 50.  Potrà però la Superiora dispensare dei Pater Noster doppi a dette Converse a suo beneplacito Per le Laudi diranno la medesima orazione 7 volte e altrettante per ciascuna delle altre ore. Per il  Vespro e a Compieta si dirà 15 volte, si chè in tutto, oltre il Mattutino, saranno 50. Il Mattutino si dirà d'inverno un ora avanti il giorno e d'estate a levata del sole o all’incirca.
CAPITOLO VII°
DEL NON TENER DI PROPRIO
Nessun Religioso dica avere alcuna cosa propria, ma ogni cosa vi sia in comune e si distribuiscano tutte per mano del Priore o del Frate a questo Ufficio deputato dall’istesso, tutto quello che farà mestiere, avendo riguardo alla età e necessità di ciascuno.
CAPITOLO VIII°
DELL’ORATORIO E CULTO DIVINO
Facciasi l’Oratorio in mezzo alle celle al meglio e più comodamente che si può dove ogni dì vi radunerete per udir Messa , potendosi comodamente fare.

CAPITOLO IX°
DEL CAPITOLO DELLE CORREZIONI DELLE COLPE
DEI FRATELLI  E DELLE SORELLE
Ogni Domenica o altro giorno quando sarà necessario, tratterete dell’Osservanza dell’Ordine e della salute delle Anime.  Dove parimenti si castigheranno con carità le colpe e gli eccessi dei fratelli, se alcuno vi sarà.
Mitigazione : in un Venerdì o altro giorno del mese si tratterà dell’Osservanza dell’Ordine e si castigheranno le colpe come sopra.
CAPITOLO X°
DEL DIGIUNO DEI FRATELLI
Digiuneranno ogni dì, eccettuata la domenica, dalla Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, fino al giorno della Resurrezione del Signore, se l’infermità o debolezza del corpo o altra giusta causa non persuaderà che si lasci di digiunare perché la necessità non ha legge.
CAPITOLO XI°
DELL’ASTINENZA DALLE CARNI
Non mangerete carne, se non sarà per rimedio d’infermità e debolezza o perché vi converrà spesso mendicare camminando, acciò non siate molesti agli ospiti, fuori dalle case vostre, potrete mangiare caldo, legumi o altre cose cotte con carne e sopra mare vi sarà lecito mangiare carne.


CAPITOLO XII°
MITIGAZIONE DEL DIGIUNO DELLE SORELLE
E ASTINENZA DALLE CARNI
Digiuneranno le sorelle, oltre le Vigilie comandate dalla Santa Madre Chiesa, la Vigilia della Santa Madre Teresa, il 14 ottobre, le Vigilie delle principali Feste della Beata Vergine Maria, cioè Concezione, Natività e Purificazione, che non hanno precetto. Digiuneranno ogni giorno, eccetto le Domeniche, dalla festa di Santa Caterina Vergine e Martire, sino alla Natività di Nostro Signore e daranno principio al digiuno Quaresimale la Domenica di quinquagesima. Tutti li Venerdì dell’anno si osserverà il digiuno, ma occorrendo in tal giorno Festa di precetto, digiuneranno il sabato e se in quella settimana occorrerà altro digiuno, sarà lecito lasciare quello del venerdì. Non potendo la fiacchezza delle sorelle soffrire la perpetua astinenza delle carni, si concede che la domenica feria n.2, 3 e 5 possino di esse cibarsi. La feria 4 se ne astenghino dal mangiarne, essendo ciò determinato per Decreto della Sacra Congregazione.                             (Domenico Nobili, Vicario Generale)
CAPITOLO XIII°
ESORTAZIONE
E perché la vita dell’uomo sopra la terra è una tentazione a quelli che piamente vogliono vivere in Cristo e hanno a patire persecuzioni e il nemico avversario va ruggendo, come leone, cercando chi divori, procurate con ogni sollecitudine di vestirvi delle armi di Dio per poter resistere agli agguati del nemico. Cingete i vostri lombi con cinto di Castità, fortificate i vostri petti con Santi pensieri, perché è scritto: il pensiero santo ti guarderà. Mettetevi la corazza della giustizia, acciochè con tutto il vostro cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze amiate Dio vostro Signore e i vostri prossimi come voi medesimi. Abbiate in tutto lo scudo della Fede, nel quale possiate spegnere tutte le saette del fuoco del nemico, mettetevi in testa l’elmo della  salute e grazia, acciochè dal solo Salvatore aspettiate la salute, che salva i suoi popoli dai peccati. Stia e perseveri nelle vostre bocche e cuori abbondantemente la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio perché tutto ciò che fate sia in suo nome.

CAPITOLO XIV°
DEGLI ESERCIZI CORPORALI
Vi eserciterete in qualche esercizio manuale, acciò il demonio vi trovi sempre occupati e non abbia adito all’anime vostre, facendo porta della vostra oziosità. Averete di ciò buon esempio e ammaestramento o dottrina, dall’Apostolo San Paolo, nella cui bocca parlava Gesù Cristo che essendo stato dato per Predicatore e Dottore delle genti nella fede e verità, se lo seguirete, non errerete: con i travagli e fatiche siamo stati fra di voi lavorando di giorno e di notte per non aggravarvi, non perché non abbiamo facoltà o licenza di domandare, ma per darvi forma ed esempio da imitarci, che questo vi annunziavamo, vivendo fra di voi, e ogni di  vi predicavamo, che chi non vorrà faticare, non mangi; abbiamo udito che vi sono alcuni tra voi che vivono inquieti e senza far nulla. Questi tali avvertiamo e preghiamo nel Nostro Signore che mangino il loro pane, lavorando in silenzio. Questa strada è buona, camminate per essa.
CAPITOLO XV°
DEL SILENZIO DEI FRATELLI
Ci raccomanda l’Apostolo il silenzio quando ci comanda che fatichiamo con esso e come dice il Profeta, l’ornamento e acconciamento della Giustizia è il silenzio; in un altro luogo, nel silenzio e speranza sarà la vostra fortezza. Pertanto stabiliamo e comandiamo che, detta Compieta, si osservi il silenzio finchè non sia detta Prima del giorno seguente e nell’altro tempo, sebbene non sarà tanto rigorosa l’Osservanza del silenzio, fuggasi  però con molta diligenza il molto parlare perché come è scritto, e l’esperienza insegna, nel molto parlare non mancherà peccato e in altro luogo, chi parla senza considerazione, sentirà male, e in altro luogo: chi parla troppo danna l’anima sua e il Signore dice nel Vangelo di qualunque parola oziosa che diranno gli uomini, daranno conto nel giorno del Giudizio: faccia dunque ciascuno una bilancia per le sue parole e un freno per la sua bocca, acciò non sdruccioli e cada con la sua lingua e la sua caduta non sia mortale e attenda col Profeta le sue vie, acciòchè non pecchi con la sua lingua e con molta diligenza e studio osservi il silenzio nel quale consiste il culto della Giustizia
CAPITOLO XVI°
MITIGAZIONE DEL SILENZIO DELLE SORELLE
Essendo secondo la Regola primitiva obbligate le Monache Carmelitane ad osservare silenzio da detta Compieta sino a detta Prima del seguente giorno, le nostre sorelle osservino anch'esse silenzio da detta Compieta sino a detta Prima del seguente giorno, quale si osservi con ogni rigore nel dormitorio, dispensandosi con esso negli altri luoghi e officine per tutto il tempo della Ricreazione. Si terrà silenzio ancora ogni giorno per lo spazio di un ora, dandovi principio all'ultimo segno del Vespro, in modo che tra il silenzio e il Vespro sia solenne o no, vi si spenda solo un ora. Nella Quaresima però quando si dice il Vespro nei giorni feriali prima del desinare, due ore dopo mezzogiorno si spenderà l'ora intera che segue in lezione spirituale e in silenzio come nelle Costituzioni.

CAPITOLO XVII°
ESORTAZIONE AL PRIORE
E tu Fra Brocardo e chiunque sarà dopo te eletto Priore, tenete sempre a mente e mettete in opera quello che dice il Signore nell’Evangelo: chi tra voi vorrà essere maggiore, sia vostro ministro e chi vorrà essere Priore, sarà vostro servo.
CAPITOLO XVIII°
ESORTAZIONE AI FRATELLI
Voi fratelli onorate il vostro Priore con ogni umiltà, stimando che sia piuttosto Cristo che  chi egli è, perché Egli lo pose sopra e dice ai Prelati della Chiesa: chi ode voi, ode me e chi disprezza voi, disprezza me, affinché non vi giudichi Dio per il disprezzo, ma che meritiate per l’ubbidienza, in premio, la beatitudine. Queste cose vi scriviamo brevemente ordinando la forma e regola del vostro modo di vivere, ma se alcuno farà qualche cosa di più, il Signore quando verrà per giudicare, lo premierà: usi però la regola della virtù, che è la Discrezione:
FINE DELLA REGOLA D’ALBERTO
ESORTAZIONE ALLE SORELLE E CONCLUSIONE
Sebbene questa mitigazione pare che tolga molto al rigore della Regola Primitiva, riformata da Santa Teresa di Gesù, ad ogni modo con l’esatta osservanza di essa potranno le vere religiose arrivare al sommo grado di perfezione e santità, essendo stato il fine della mitigazione di accomodarsi alla fiacchezza e debolezza delle nature. Procurino però la puntuale osservanza dei Voti Solenni di Povertà, Castità e Ubbidienza e della Clausura, mantenendo la fede data allo Sposo, Cristo, che da esso saranno premiate perpetuamente in cielo.
DATO IN LUCCA QUESTO Dì 13 MAGGIO 1634
FINE DELLA REGOLA D’ALBERTO CON LA MITIGAZIONE


Elenco Religiose del Monastero Santa Teresa
di Camaiore

Dal 1590 al 1634
1.     Sr. Caterina del Rosso delle vicinanze di Camaiore, è entrata il 2 luglio  del 1590 ed è morta il 16 dicembre del 1610. Dote: scudi 25
2.     Sr. Maddalena di Gesù Maria Bonucelli è entrata  il 1 giugno del 1590 ed è  morta il 31 agosto del 1636. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore.  E’ stata accettata gratis et amore Dei. ( C )
3.     Serafina Sandori è entrata il 1 gennaio del 1591 ed è morta nel 1649 . Di questa religiosa non si hanno notizie certe sui libri. Dote: scudi 30       ( N – O )
4.     Sr. Domenica Antoni  è entrata il 25 dicembre  del 1594 ed è morta il 26 ottobre del 1610. Era vedova. 
5.     Sr. Agata Varrani , di Camaiore, è entrata il 20 luglio  nel 1595 ed è morta il 13 dicembre del 1611. Aveva 29 anni. 
6.     Sr. Arcangela di Gesù Maria Rossi è entrata il 14 ottobre del 1595 ed è morta il 7 agosto del 1647. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore  Dote: scudi 80 ( C )
7.     Sr. Angela Garbesi, da Vorno,  è entrata il 20 settembre del 1595 ed è morta il 22 dicembre del 1629. Dote: scudi 300.
8.     Sr. Vittoria della Madre di Dio Orsucci è entrata il 12 agosto del 1596 ed è  morta il 28 novembre  del 1648. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 200.  ( N )[1]
9.     Sr. Maria di Gesù Antognoli è entrata l’8 ottobre del 1596 ed è  morta il 31 dicembre del 1638. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote : scudi 200.  ( C )
10.  Sr. Giacinta Bonucelli , di Camaiore, è entrata il 13 dicembre del 1596 ed è morta il 21 luglio  del 1630. Dote: scudi 150.
11.  Sr. Chiara  di San Carlo Bonucelli è entrata nel 1596 ed è morta il 28 settembre del 1641. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote : scudi 200.  ( N )
12.  Sr. Margherita Diodati è entrata il 19 marzo del 1602 ed è  morta il 25 settembre del 1609. Dote: scudi 250. 
13.  Sr. Alessandra di Gesù Maria Dal Portico è entrata il 19 marzo  del 1602 ed è morta il 26 novembre del 1659. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 200 ( N )
14.  Sr. Isabella della Madre di  Dio Rustici è entrata il 18 Giugno del 1602  ed è morta il 28 settembre del 1639. Ha professato il 14 maggio 1634 . Dote: scudi 150.  ( N )
15.  Sr. Ottavia della Madre di Dio Rustici è entrata il 18 giugno del 1602 ed è morta il 18 marzo  del 1651.Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 150 ( N )
16.  Sr. Fausta di Gesù Maria  Graziani è entrata il 25 agosto del 1603 ed è morta il 5 ottobre del 1656. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 250 ( N )
17.  Sr. Zita di San Carlo Maccarini è entrata il 20 ottobre  del 1603 ed è morta il 19 novembre  del 1660. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 200 ( N )
18.  Sr. Laura Paganini di Camaiore è entrata il 29 settembre  del 1603 ed è morta il 6 luglio del 1623. Dote: scudi 150.
19.  Sr. Faustina di Gesù Maria Cerù è entrata il 22 Luglio del 1606 ed è morta il 23 settembre del 1637. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400. ( N )
20.  Sr. Francesca del Sacramento Pellegrinetti è entrata il30 marzo del 1604 ed è morta il 24 maggio del 1660. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 80 ( C )
21.  Orsola Giovardi è entrata il 6 gennaio del 1604 ed è  morta il 16 maggio del1648.  Dote: scudi 250 ( N – O )
22.  Sr. Camilla di Gesù Maria Nutini è entrata il 15 luglio del 1605 ed è  morta  il 25 maggio del 1650. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 250 ( N )
23.  Sr. Chiara Felice Belli, di Camaiore, è entrata l’17 marzo  del 1606 ed è  morta il 20 novembre del 1633, all’età di 44 anni. Dote: scudi 300.
24.  Sr. Anna di Gesù Maria Canacci  è entrata il 4 giugno del 1607 ed è  morta il 1 settembre del 1660. Ha professato il 14 maggio 1634. E’ stata la prima Priora dopo la professione del 1634  ed è stata rieletta nel terzo triennio.  Dote: scudi 400 ( N )
25.  Sr. Lavinia di Gesù Maria Giampaoli è entrata il  2 novembre del 1607 ed è morta il 4 settembre del 1648. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300. ( N )
26.  Sr. Maria Eletta del Paradiso Giampaoli è entrata il 2 novembre del 1607 ed è morta il 15 ottobre del 1638, di anni 47. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300. ( N )
27.  Sr. Angela Lavinia di San Francesco Lucchesi è entrata il 14 aprile del 1608 ed è  morta il 18 novembre  del 1662. Ha professato il 14 maggio 1634. E’ stata la seconda Priora. Dote: scudi 400 ( N )
28.  Sr. Vincenza di Gesù Giampaoli è entrata il 10 aprile  del 1609 ed è morta il 22 febbraio del 1673. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400 ( N )
29.  Sr. Lucia di San Francesco Balbi è entrata il 15 novembre del 1609 ed è  morta il 15 maggio  del 1643. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 250. ( N )
30.  Sr. Filia Dei della Croce GianPaoli è entrata  il 2 febbraio nel 1610 ed è  morta l’11 settembre del 1655. Ha professato il 14 maggio del 1634. Dote: scudi 330 ( N )
31.  Sr. Chiara Pacifica Baroni di Lucca è entrata all’età di 13 anni come educanda e prese l’abito il 2 febbraio  del 1610 ed è  morta il 26 dicembre  del 1618 all’età di 22 anni. Dote: scudi 500
32.  Sr. Caterina di San Francesco  Guinigi  è entrata il 2 febbraio del 1611 ed è morta il 3 novembre del 1669. Ha professato il 14 maggio 1634.  Dote: scudi 400. ( N )
33.  Sr. Margherita Sinibaldi di Lucca  è entrata il 26 agosto  del 1611 all’età di 22 anni ed è  morta il3 novembre del 1622 a 33 anni circa. Dote: scudi 500.
34.  Sr. Lavinia Eletta della Regina del Cielo Partigliani  è entrata il 14 febbraio del 1612 ed è  morta il 27 aprile del 1645. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote : scudi 400. ( N )
35.  Sr. Raffaella del Divino Amore Gambarini  è entrata il 2 giugno  del 1612 ed è morta il 4 ottobre del 1639. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400.  ( N )
36.  Sr. Francesca Benigna di San Carlo Paoli è entrata il 15 agosto del 1612 ed è  morta il 16 febbraio del 1670. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300 ( N )
37.  Sr. Agata Dini, di Nocchi, è entrata il 25 Marzo del 1613 ed è morta l’11 novembre 1621. Era conversa. Dote: scudi 100.
38.  Sr. Maria Felice della Nunziata  Betti  è entrata il 14 settembre del 1613 ed è  morta il 4 febbraio del 1674. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 300 ( C )
39.  Sr. Maria Vittoria della Trinità Guinigi  è entrata il 20 ottobre del 1613 ed è  morta il 22 agosto del 1664.Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400 ( N )
40.  Sr. Daniela di Santa Cecilia  Serlunardi è entrata il 2 aprile  del 1614 ed è morta il 17 ottobre del 1646. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400. ( N )
41.  Sr. Maddalena Angelica  della Croce Cheli è entrata l’8 maggio del 1614, ha professato il 17 maggio 1635, ed è morta il 26 febbraio del 1648 ( oblata ) Dote: scudi 400 ( N )
42.  Sr. Artemisia della Croce Chelli è entrata l’8 maggio del 1614 ed è morta il 19 maggio del 1648. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400 ( N )
43.  Sr. Maria Celeste della Pace Di Poggio  è entrata il 20 maggio del 1614 ed è morta il 21 novembre del 1660. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 400 ( N )
44.  Sr. Maddalena di Gesù Passionato Breni è entrata il 26 maggio del 1614 ed è  morta il 15 ottobre del 1663. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600 ( N )
45.  Sr. Candida Gasparini ,di Camaiore ,è entrata il 22 luglio  del 1614 all’età di circa 15 anni ed è morta il 26 aprile  del 1622 all’età di 23 anni. Dote: scudi 200.
46.  Sr. Maria Gabriella Landi , di Lucca,  è entrata il 4 ottobre del 1614 ed è  morta il 24 novembre del 1627. Dote: scudi 400.
47.  Sr. Filia Mariae di Tutti i Santi Diodati è entrata il 9 novembre del 1614 ed è morta il 21 novembre del 1677. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500 ( N )
48.  Sr. Maria Vincenza  di San Carlo Arnolfini  è entrata il 18 novembre del 1614 ed è  morta l’8 gennaio del 1653. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400 ( N )
49.  Sr. Maria Francesca della Madre di Dio Rustici  è entrata il 16 giugno del 1615 ed è  morta il 5 ottobre  del 1658. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
50.  Sr. Lucrezia di San Carlo Guidiccioni è entrata il 15 febbraio del 1615 ed è  morta il 18 agosto del 1668. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
51.  Sr. Zita Angelica dell’Incarnazione  Antognoli è entrata il 1 marzo del 1615 ed è  morta il 23 aprile del 1675. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 400
52.  Sr. Cecilia di Gesù Zibibbi è entrata il 14 aprile del 1615 ed è  morta il 26 agosto del 1661. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
53.  Sr. Maria Clemente Nuti di Lucca è entrata il 26 maggio del 1616 all’età di 14 anni ed è  morta il 6 agosto del 1622 a vent’anni. Dote: scudi 350.
54.  Sr. Elisabetta di San Giovanni Battista Gasperini è entrata il 24 giugno del 1618 ed è  morta  il 15 maggio del 1676. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore Dote: scudi 200    ( C )
55.  Sr. Eleonora di Gesù Pastore Di Poggio  è entrata il 24 giugno del 1618 ed è morta l’8 luglio  del 1637, di anni 34. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400.
56.  Sr. Humila di Gesù flagellato De Nobili  è entrata il 24 giugno del 1618 ed è  morta il 14 agosto del 1675. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
57.  Sr. Pacifica di Gesù Donati  è entrata il 24 giugno  del 1618 ed è  morta il 20 novembre del 1681. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
58.  Sr. Placida della Trinità Dorati è entrata  il 14 giugno del 1618 ed è  morta il 30 marzo del 1675. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
59.  Sr. Cherubina  dell’Agnus Dei Ricchi è nata il 10 maggio del 1601 alle ore 13, è entrata il 24 giugno del 1618 ed è morta il 10 gennaio del 1663. Ha professato il 14 Maggio del 1634. Dote: scudi 400
60.  Sr. Caterina Carità Angelica del Crocefisso Massa è entrata il 1 luglio del 1618 ed è morta il 21 aprile  del 1633. Dote: scudi 400.
61.  Sr. Domitilla di San Giovanni Evangelista Beghini è entrata il 1 luglio del 1618 ed è  morta il 4 ottobre del 1660. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore Dote: scudi 300      ( C )
62.  Sr. Tecla di Gesù Comelli è entrata il 15 luglio nel  1618 ed è  morta  il 23 ottobre del 1679. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote : scudi 400
63.  Sr. Caterina Eletta Leni, dal Bagno,  è entrata il 18 ottobre  nel 1614 ed è morta il 3 ottobre  del 1623. Dote: scudi 400.
64.  Sr. Evangelista Giulii è entrata il 31 novembre del 1618 e non si hanno notizie della data di morte. Forse è uscita.
65.  Sr. Chiara Pacifica di San Bernardo Trenta è entrata il 23 aprile del 1619 ed è  morta il 14 novembre del 1651. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
66.  Sr. Ludovica Antognoli , di Lucca, è entrata a 15 anni il 23 aprile è del 1619 ed è  morta il 21 gennaio del 1633. Dote: scudi 400.
67.  Sr. Livia della Nunziata  Bandini  è entrata il 23 aprile  del 1619 ed è  morta il 21 novembre  del 1684. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: Scudi 400
68.  Sr. Veronica Chelli, di Lucca,  è entrata il 1 giugno del 1619 ed è morta il 1 dicembre del 1624. Dote: scudi 500.
69.  Sr. Ortensia di Gesù Bambino Orsucci è entrata  il 2 luglio nel 1619 ed è  morta  il 19 agosto del 1657. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi   400
70.  Sr. Maria Stella Nuti è entrata il 2 luglio del 1619 ed è morta il 9 agosto del 1658 ( forse era malata o oblata, perché non risulta nell’elenco delle professe del 1634 ) Dote: scudi 400
71.  Sr. Paulina  di Sant’Onofrio Cerù è entrata il 15 settembre del 1619 ed è  morta il 30 settembre  del 1637. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300.
72.  Sr. Maria Benigna della Croce Cheli è entrata l’8 settembre del 1620 ed è  morta il 20 marzo del 1685. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 550
73.  Sr. Caterina Angelica Massa , di Lucca,  è entrata il 20 settembre del 1620 ed è  morta il 21 aprile del 1633. Dote: scudi 440. 
74.  Sr. Maria Isabella del Paradiso Orsucci  è  entrata il 30 settembre del 1620 ed è  morta il 22 aprile del 1673. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
75.  Sr. Maria Angela di Gesù Passionato Cantarini  è entrata il 30 settembre del 1620 ed è  morta il 24 aprile  del 1649. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
76.  Sr. Costanza del Bambino Gesù Prosperi  è entrata il 4 ottobre del 1620 ed è  morta il 12 ottobre del 1659. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
77.  Sr. Luvisa del Crocefisso  Massa è entrata  l’11 ottobre nel 1620 ed è  morta l’8 ottobre del 1662. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
78.  Sr. Anna Maria Fiorentini, di Lucca, è entrata il 18 ( agosto? ) novembre del 1622 ed è morta il 10 novembre del 1629. Dote: scudi 350.
79.  Sr. Teodora di San Giuseppe Gasparini è entrata il 1 novembre del 1622 ed è  morta il 15 marzo del 1698. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 300 ( C )
80.  Sr. Vittoria Felice Massa di Sant’ Alessio è entrata  il 28 novembre del 1622 ed è  morta il 25 febbraio del 1642. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400.
81.  Sr. Lucina Gualanducci , di Lucca,  è entrata il 1 agosto del 1622, all’età di 13 anni ed è  morta il 17 aprile  del 1629. Dote: scudi 500.
82.  Sr. Margherita  degli Angeli Cremona è entrata il 1° agosto del 1622 ed è  morta il 17 settembre del 1676. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
83.  Sr. Angela Fedele di Gesù Crocefisso Minutoli  è entrata il 1 agosto  del 1622 ed è morta il 3 ottobre del 1675. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300
84.  Sr. Maria Giacinta di San Lorenzo Camilli  è entrata il 18 aprile del 1623 ed è morta il 17 ottobre del 1649. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
85.  Sr. Chiara Benigna della Maddalena Gambarini  è entrata  il 26 luglio del 1623, ha professato il 17 maggio 1635, ed è morta  il 20 agosto del 1677 Dote: scudi 400 ( N )
86.  Sr. Maddalena  Celeste dell’Angelo Custode Antognoli è entrata il 20 febbraio del 1624 ed è  morta il 27 novembre del 1692. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 200 ( C )
87.  Sr. Caterina Eletta di San Carlo De Nobili  è entrata l’11 luglio del 1624 ed è morta il 26 aprile del 1636. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500.
88.  Sr. Caterina Celeste del Bambino Gesù  Gasperini  è entrata l’11 ottobre del 1624 ed è morta  il 30 agosto del 1647. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore  Dote: scudi 500.    ( C )
89.  Sr. Margherita Celeste della Vergine Vannelli  è entrata il 15 gennaio del 1625 ed è  morta il 22 luglio  del 1641. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500.
90.  Sr. Olimpia  Vanelli, di Lucca, è  entrata il 15 gennaio del 1625 ed è morta il 13 luglio  del 1632. Dote: scudi 500
91.  Sr. Maria Caterina di San Domenico Cantarini è entrata il 20 gennaio del 1625 ed è morta il 30 aprile del 1637. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 500.
92.  Sr. Teresa d Gesù  Del Poggio è entrata  il 16 aprile del 1625 ed è  morta il 18 marzo del 1655. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
93.  Sr.  Maria Marta della Flagellazione Fiorentini è entrata il 15 settembre del 1625 ed è  morta il 24 ottobre  del 1658. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore  Dote: scudi 300  ( C )
94.  Sr. Lucida di Gesù  Bandini  è entrata il 19 ottobre del  1625 ed è  morta il 5 agosto del 1657. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
95.  Sr. Laura  di San Giuseppe Stocchetti è entrata il 19 ottobre del 1625 ed è  morta il 3 ottobre  del 1663. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
96.  Sr. Filippa di Santa Teresa Pacini è entrata il 5 giugno del 1626 ed è  morta il 15 agosto  del 1676. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
97.  Sr. Maria Grazia Benassi, di Lucca, è entrata il 15 giugno del 1626 ed è morta il 20 dicembre del 1630. ( Non c’è la dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi )
98.  Sr. Cassandra di San Francesco Vannini è entrata il 15 giugno del 1626 ed è  morta nel 1684. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 400
99.  Sr. Giovanna Lorenza del Crocefisso  Vannini è entrata Il 15 giugno del 1626 ed è  morta il 23 maggio  del 1676. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
100.        Sr. Maria Camilla dell’ Incarnazione Gualanducci  è entrata il 15 giugno del 1626 ed è  morta 27 ottobre del 1658. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 400
101.        Sr. Maria Clemente Cerù, della Piana, è entrata il 16 settembre  del 1626 ed è morta il 3 novembre del 1630. ( Non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi )
102.        Sr. Lorenza di San Giovanni Battista Cerù è entrata il 15 ottobre del 1627 ed è morta il 25 giugno del 1640. Ha professato il 14 maggio 1634. ( Non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi ).
103.        Sr. Maurizia o Margherita di Sant’Onofrio Massa è entrata il 15 ottobre del 1627 ed è morta il 3 febbraio del 1651. Ha professato il 14 maggio 1634 (Non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi ).
104.        Sr. Maria Serafina di San Francesco Mei è entrata il 13 novembre del 1627 ed è morta il 15 novembre del 1674: ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
105.        Sr. Clarice di Gesù e Maria Gasparini è entrata il 13 novembre del 1627 ed è morta il 30 settembre del 1690. Ha professato il 14 maggio 1634.Era di Camaiore. Dote: scudi 300 ( C )
106.        Sr. Chiara Colomba Spinetti è entrata il 27 novembre del 1628 ed è morta il 19 settembre del 1658. ( Era passamannara e capo d’arte). Non ha portato dote. ( N )
107.        Sr. Deodata di Gesù Maria Benassai è entrata il 2 ottobre del 1628 ed è morta il 25 ottobre del 1688. Ha professato il 14 maggio 1634. ( Non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi )
108.        Sr. Felice della Trinità Luelli è entrata l’11 novembre del 1628 ed è morta  il 27 novembre del 1663. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore Dote: scudi 600 ( C )
109.        Sr. Lodovica Felice della Madre di Dio Penitesi è entrata il 13 novembre  del 1628 ed è morta il 16 ottobre del 1695. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote : scudi 500
110.        Sr. Innocenza del Suffragio Penitesi è entrata il 13 novembre del 1628 ed è morta il 3 ottobre  del 1651. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
111.        Sr. Flaminia dei Martiri Manfredi è entrata il 21 febbraio del 1629 ed è morta il 19 marzo del 1635. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500.
112.        Sr. Massimilla della Coronazione Massa è entrata il 18 aprile del 1629 ed è morta il 27 febbraio del 1689. Ha professato il 14 maggio 1634. ( Non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi )
113.        Sr. Maria Cherubina di Santa Teresa Sesti è entrata il 12 maggio  del 1629 ed è morta in aprile del 1685. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
114.        Sr. Maria Teresa Pacini, di Lucca,  è entrata il 5 di giugno  del 1629 ed è morta il 14 giugno del 1630. Era novizia. Dote: scudi 500.
115.        Sr. Francesca Eletta di Santa Teresa Vannini è entrata il 16 giugno del 1629 ed è morta il 10 maggio del 1714. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 500
116.        Sr. Lavinia Celeste Belati, di Massa,  è entrata il 16 luglio del 1629 ed è morta il 21 febbraio  del 1634.  ( non c’è dote, ma 50 scudi l’anno vitalizi ).
117.        Sr. Maria Candida della Flagellazione Fiorentini è entrata il 6 ottobre del 1629 ed è morta il 4 marzo nel 1635. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore Dote: scudi 300. ( C )
118.        Sr. Antonia Cinacchi è entrata  il 5 novembre del 1629 ed è morta il 28 marzo del 1668 . Dote: scudi 600 ( zuccotta  e illeterata ) ( N – O )
119.        Sr. Michela dello Spirito Santo Pucinelli è entrata il 16 maggio del 1630 ed è morta 18 ottobre del 1670. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600
120.        Sr. Maria Pacifica della Trinità Ghivizzani è entrata  l’8 aprile del 1630 ed è morta il 22 novembre del 1699. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600
121.        Sr. Aurelia di San Tommaso Ungari è entrata l’11 novembre del 1630 ed è morta l’11 settembre del 1684. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600
122.        Sr. Caterina Serafina di Gesù Fiorentini è entrata il 15 marzo del 1632 ed è morta il 2 marzo del 1684. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300
123.        Sr. Maria Teresa della Concezione Fiorentini è entrata il 15 marzo del 1632 ed è morta il 12 aprile del 1647.  Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 300.
124.        Sr. Maria Grazia di Santa Teresa Sesti è entrata il 26 aprile del 1632 ed è morta l 30 novembre del 1663. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600
125.        Sr. Anna Maria Di Santa Teresa Sesti è entrata il 26 aprile  del 1632 ed è morta il 31 maggio del 1643. Ha professato il 14 maggio 1634. Dote: scudi 600.
126.        Sr. Giulia di San Giuseppe Baldinotti è entratail 1 giugno  del 1632 ed è morta  il 25 agosto del 1667. Ha professato il 14 maggio 1634.Dote: scudi 600
127.        Sr. Lucina degli Angeli Antognoli è entrata il 1 giugno del 1632 ed è morta  il 29 marzo del 1696. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 300 ( C )
128.        Sr. Chiara Maria di Sant’Alberto  Antognoli è entrata il 1 giugno  del 1633 ed è morta  il 5 agosto del 1668. Ha professato il 14 maggio 1634. Era di Camaiore. Dote: scudi 300 ( C )
129.        Sr. Maria Rosaria Trenta è entrata il 27 novembre del 1633, ha professato il 17 maggio 1635, ed è morta il 13 ottobre del 1660. Dote: scudi 600
130.        Sr. Anna Teresa Paoli è entrata  il 2 febbraio del 1634, ha professato il 17 maggio 1635 ed è morta il 18 ottobre del 1675. Era di Camaiore Dote: scudi 300 ( C )
131.        Sr. Agnese De Nobili è entrata il 3 marzo del 1634, ha professato il 17 maggio 1635 ed è morta il 30 novembre del 1690. Dote: scudi 600
132.        Sr. Agata Trenta è entrata il 7 marzo nel 1634, ha professato il 17 maggio 1635 ed è morta il 18 novembre del 1661.  Dote: scudi 600

Il 14 Maggio 1634, dopo le monache Coriste,  hanno professato queste Converse:


133.        Sr. Maria Benedetta di San Francesco Del Nero , è entrata il 20 marzo del 1616 ed è morta il 20 gennaio del 1677. Dote: censo vitalizio di staia…grano ogni anno
134.        Sr. Benedetta di San Michele Arcangelo Varrani è entrata il 12 febbraio del 1616 ed è morta il 13 ottobre del 1658. Dote: scudi 130
135.        Sr. Colomba dello Spirito Santo Finelli è entrata il 6 maggio 1616 ed è morta il 22 maggio del 1648. Dote: scudi100
136.        Sr. Gabriella di San Bonaventura Chicchi è entrata il25 agosto del 1619 ed è morta il 19 ottobre del 1668. Dote: scudi 200
137.        Sr. Bartolomea di San Carlo Chicchi è entrata il 25 agosto del 1624 ed è morta il 6 ottobre del 1646. Dote: scudi 200.
138.        Sr. Stefana di San Carlo Paccinelli è entrata il 15 ottobre del 1624 ed è morta nel 1680. Dote: scudi 100
139.        Sr. Giovanna di San Carlo Manfredi è entrata il 17 ottobre del 1628 ed è morta il 12 febbraio del 1683. Dote: scudi 200
140.        Sr. Domenica di Sant’Angelo Barbieri è entrata il 16 marzo del 1630 ed è morta il 18 novembre del 1683. Dote: scudi 200
141.        Sr. Candida di San Carlo Manfredi è entrata l' 11 luglio del 1632 ed è morta il 19 gennaio del 1699. Dote: scudi 200
142.        Sr. Giacinta di San Giuseppe Frediani è entrata nel 1632 ed è morta il 26 febbraio del 1704. Dote: scudi 200

Il numero delle Vergini che passarono a miglior vita avanti lo stabilimento del monastero furono 25 essendo vissute tutte lodevolmente e la maggior parte di loro erano giovani di buona reputazione, come diremo appresso, altre di maggiore età impiegarono i talenti loro al servizio di Dio e della Congregazione, come si vedrà!
Quelle che hanno professato  come Coriste il 14 maggio 1634 sono 95; quelle che hanno professato come Converse, sono 10; 4 novizie e tre oblate hanno professato il 17 maggio 1635; tre sono rimaste oblate senza professare e una non è stata ammessa perché malata.




Nota di quelle che sono morte nella Congregazione dal 1590 sino al 1634 e prima. (Piccole circolari tratte dal Libro delle Cose Memorabili e dal Giardino dello Sposo Celeste, in archivio nel Monastero di San Colombano. )

1.                Sr. Margherita Diodati, fece il suo ingresso il 19 marzo del 1602 e passò a miglior vita il 25 settembre del 1609 all’età di anni 25. Questa era dotata di buonissimo ingegno e desiderosa del suo proprio profitto e dedita molto alla macerazione della carne lasciò dopo la sua morte le discipline intinte di sangue e altri strumenti affini i quali testificavano l’odio santo che portava a se stessa e perché  la mortificazione senza l’orazione può nutrire spirito di superbia per questo quanto era amica della penitenza altrettanto era sollecita all’orazione e di buonissimo aiuto gli fu sempre il Signor Giovan Battista Antognoli da cui riceveva indirizzo nella vita spirituale e il modo di vincere le tentazioni quali il demonio procurava. Riceveva poi di rado i Santissimi Sacramenti per essere timorosa di coscienza e lontana di confidare le cose con altri che col detto signor GiovanBattista, onde gli accorse di infermarsi a morte e che era già qualche tempo che non si era confessata e sopita da un grandissimo letargo, passò pericolo di perire senza i santi Sacramenti. Ma Iddio, provvidentissimo Padre, mosse efficacemente gli animi di tutte le sorelle a dimandarle in grazia tanto intervallo che potesse avere i debiti sacramenti e fu cosa mirabile, conforme la petizione ottennero la grazia compiacendosi il Signore di darle tanto spazio necessario per confessarsi e comunicarsi che il tutto fece con devoto affetto lasciando tutte consolate per la ricevuta grazia.
2.               Suor Domenica Antoni  fu prima Madre di famiglia donna molto devota e buona in modo che restando sciolta da vincoli di matrimonio per la morte di suo marito si ritirò ( dopo aver dato buon ordine alle cose di casa sua ) in questa Congregazione e si diede maggiormente al servizio di Dio e fu di gran giovamento si per il buon esempio come per l’aiuto che diede con le sue facoltà. Fu dotata di gran discernimento e prudenza, sapendosi aggiustare a tutte, onde era amata come propria madre come lodevolmente visse nella Congregazione dal 25 dicembre del 1594 sino al 28 ottobre del 1610. Fece il suo ultimo passaggio con gran sentimento fino all’ultimo spirare e come in vita aveva posto tutte le sue speranze in Dio così in morte mostrò gran confidenza resistendo essa valorosamente a tutte le tentazioni che in quel estremo, aveva, recitando spesso orazioni, giaculatorie e valendosi delle sante indulgenze con gran devozione. Infine con allegra faccia rese il suo spirito lasciando il corpo con sembianze angelico, in modo che rese ammirazione a quelle che la videro.

Dalle cronache del “ Giardino dello Sposo Celeste
Suor Domenica Antoni, nativa di Camaiore, fu una delle prime che si arruolò al numero di quelle poche fanciulle, che si segregarono dal mondo per unirsi con Dio nella Congregazione di Gesù e Maria nuovamente eretta nel Castello. Questa disciolta dai legami del matrimonio senza alcun frutto di figli, in cui era vissuta più da religiosa che da seguace del secolo. Poco dopo la morte del marito, dato buon ordine alle cose della sua casa, con dispoglio esemplare delle molte comodità che godeva, tutto abbandonò per arricchirne la Casa di Dio, cioè la nascente Congregazione che molto tempo venne aiutata dalle sue facoltà. Entrò in essa con sentimenti umilissimi il 25 settembre del 1594 e tutta si diede al servizio della medesima dando esempio alle altre di un singolare distaccamento dagli affetti terreni perché mai più volle ammettere pensiero, ne discorso di quanto aveva goduto nel mondo e facendosi Madre amorosa di quelle tenere donzelle, che ivi aveva ritrovato, queste amò sempre come care figlie e fino a che visse le aiutò e le sovvenne con somma carità e con il suo esempio le promosse a maggior perfezione in ogni virtù. Spiccò in essa una totale e pienissima confidenza in dio, dolce frutto dell’unione che aveva acquistato col medesimo per mezzo della perseverante orazione. Questa le fece piana la strada al Paradiso e avvicinata, dopo 15 anni di tal vita, alla morte, benché l’inimico infernale si sforzasse di abbatterla con le sue tentazioni e gagliardissimi assalti, essa con il forte scudo di quella Santa Confidenza, rigettò tutti i colpi delle diaboliche suggestioni, ripetendo spesso :<< Domine Jesu Christe in te confido. >> e con altre devotissime giaculatorie. Finalmente munita dei Santi Sacramenti, mentre faceva dolci colloqui col Crocefisso, che teneva nella mano, con sensi interi e faccia serena andò ad unirsi con quello, per sempre, disciogliendosi l’anima sua da i legami del corpo il 28 ottobre del 1610, restandoli il volto con angelico sembianze, in modo che cagionò stupore a tutte le sorelle della Congregazione e a chiunque la vide.
3.               Suor Caterina Del Rosso, delle vicinanze di Camaiore fu la prima che si aggregasse a quelle poche fanciulle che un mese avanti si erano raccolte insieme e che seguì il 2 luglio del 1590, la quale visse in santa semplicità e soggezione e così era desiderosissima che si aumentasse il numero delle fanciulle acciò che il Signore restasse maggiormente servito. Nell’ultima sua infermità mostrò gran pazienza in soffrire i dolori e non minor gratitudine per gli ossequi di carità che le erano fatti. Passò al Signore il 16 dicembre del 1610 dopo essersi armata coi santi Sacramenti.
4.               Suor Agata Varrani, di Camaiore, entrò nella Congregazione il 20 luglio del 1595 fu di buon aiuto per avere l’arte del tessere alla quale era sollecita e diligente non meno di quello che fosse nel servizio di Dio sapendo che le opere manuali che si fanno per amor suo gli sono grate quanto l’istessa orazione alla quale orazione fu molto dedita accompagnandola con le opere manuali. Tutti i giorni festivi li occupava in santi esercizi di orazione e lezioni spirituali, riportandone inenarrabili effetti di umiltà e obbedienza. L’infermità che la ridusse a morte fu molto breve e in apparenza di poco momento in modo che il penultimo giorno di sua vita cantò soavemente alcuni salmi, dopo il qual atto il male si mostrò maligno e ricevuti devotamente i Santi Sacramenti mentre le sorelle per lei pregavano rese lo spirito al suo creatore il 13 dicembre del 1611 all'età di 29 anni.
Suor Agata Varrani, ancor essa della terra di Camaiore, entrò nella Congregazione di anni 13 l’anno 1595. Mossa dall’esempio di altre giovanette sue coetanee che diedero principio a questa pia adunanza. Non ebbe molto che lasciare nel mondo le comodità temporali perché poche ne possedeva nella casa paterna, aiutando i suoi genitori con l’arte del tessere, ma molto lasciò perché lasciò se stessa e la propria volontà pienamente nel consacrarsi a Dio, dandosi tutta al suo servizio con maturità di senno e prudenza superiore all’età. Era prontissima all’obbedienza di quella che sopra-intendeva alla Congregazione ne per grave che fosse mai lasciò d’eseguire ciò che le venne imposto. Era dedita al ritiramento e amica dell’orazione dimostrando che aveva voluto impiegarvi non solo l’ora destinata a tutte le altre, ma molte più ogni giorno e poiché dovendosi aiutare questa Sacra Famiglia col lavoro delle proprie mani le veniva ordinato che assistesse indefessamente alla sua arte del tessere, essa lasciando Dio per Dio, a quest’opera faticosa si applicò con tal diligenza, che ne riportò molto frutto in beneficio di quella e in utilità dell’anima sua perché accompagnò sempre a tale esercizio manuale il raccoglimento interno della mente, non lasciando passar ora del giorno in cui non unisse le attuali applicazioni alla presenza di Dio, con offerta amorosa di se stessa e del suo ministero per suo servizio. E ben si vedeva, dove e come fosse occupato il suo cuore, quando nei giorni festivi restava disciolta da tal impiego, poiché li passava tutti con una santa avidità di non perderne il momento in Esercizi  d’orazione e di lezione di libri spirituali, genuflessa immobilmente in un angolo della Chiesa godendosi la conversazione del Suo Sposo Celeste. Ritornava poi alla sua occupazione sempre con nuovi acquisti di umiltà, d’obbedienza e di santo fervore e in queste sante vicende passò il breve corso della sua vita con grande edificazione delle sorelle, finché un giorno, sopraggiunta  da una leggera febbre, che ne meno la prostrò in letto, intese che il Signore voleva ritirarla a se e benché ne vi fosse apparentemente pericolo di morte, si dispose a seguirlo con atti frequentissimi d’amore e di desiderio di unirsi a Lui. Non aumentò però il male e nessuna stimava che non volesse per allora succederle altrimenti la morte. Essa però persisteva nel suo sentimento sentendo la voce del suo sposo che la chiamava a se, ogni giorno di più s’infervorava in disporsi a quel passaggio, di modo che il giorno avanti alla morte cantò soavemente alcuni salmi e di li a poche ore su l’accessione di una febbre gagliarda, si pose in letto, ricevette i Santi Sacramenti con grandissima devozione e ridotta all’estremo, mentre le sorelle tutte assistevano piangendo e orando per lei, rese a Dio il suo innocente spirito, il 13 dicembre 1611, di anni 29.
5.     Sr. Chiara Pacifica Baroni, di Lucca. Fu messa dai suoi maggiori nella sua tenera età in educazione nel serbo di questa Congregazione e tanto si affezionò a tutte che volle restare con esse e all’età di 13 anni prese l’abito il 2 febbraio del 1610. Si mantenne in santa semplicità amando a ciò il non aver nessuna notizia di cosa alcuna del mondo, ma fu assai scrupolosa di coscienza per il quale patì qualche tribolazione mostrando una grande soggezione alla sua superiora. Ne vi è stato chi l’abbia udita parlare dei difetti del prossimo, era distaccattissima da quanto aveva e per esso sovente si spropriava di quello che le pareva superfluo presentandolo nelle mani della superiora a fine che ne disponesse a suo beneplacito. Pervenuta all’età di 22 anni s’infermò a morte e benché per buono spazio di sua vita fin all’ora di sua morte fosse stata soverchiamente scrupolosa, nondimeno il Signore Iddio nel suo ultimo male le diede gran pace e serenità di coscienza con la quale ricevette i Santissimi Sacramenti( dopo aver
fatto una devota esclamazione al Crocefisso in cui aveva posto ogni sua speranza, fu assalita dall’agonia della morte e finì la sua vita il 26 dicembre del 1618 dell’età di anni 22.
Nativa della città di Lucca, fu Suor Chiara Pacifica Baroni,
di nobil famiglia e di genitori inclinati sommamente alla pietà e devozione.
Fu da questi in età ben tenera consegnata all’educazione di questa sacra adunanza che spargeva per ogni parte  l’odore d’ogni più bella virtù. In breve tempo si affezionò talmente a quelle che determinò non più partirsene, ma prendere l’abito e rimanere loro sorella per  tutto il tempo di sua vita. Vi consentirono i parenti, perché benché fosse grande l’affetto che portavano alla figlia, godevano di consacrarla a Dio in questa Congregazione. Onde il 2 febbraio dell’anno 1610 in età di  anni 13 prima di conoscere il mondo li voltò affatto le spalle, spogliandosi generosamente delle vesti delicate e vestendosi della rozza lana che allora vestivano le sorelle, che bene nel candore esprimeva l’innocente purità dell’anima di questa nobil donzella. Non ebbe a travagliare nel principio per sgombrare dalla sua mente le specie delle cose del secolo perché ignorandole del tutto non aveva senso ne affetto che non fosse inclinato alla pietà e alla devozione e questo fu il mezzo per il quale arrivò ad essere specialmente illuminata da Dio per conoscere Lui stesso e il proprio suo niente, nel quale esercizio tanto si avanzò che le venne un altissima stima e amore della Divina infinita  Maestà e un odio implacabile ad ogni benché leggero difetto, procurando guardarsene quanto mai è possibile all’umana fiacchezza, che perciò si vide in lei sempre pronta obbedienza, puntualissima Osservanza, raccoglimento interiore e fuga da ogni divertimento che la potesse punto distogliere da Dio. Non poteva tollerare nella sua delicata coscienza minimo neo di colpa senza affliggersene molto e procurare di purgarlo con replicate   confessioni e penitenze. Patì perciò qualche travaglio in materia di scrupoli, ma con l’obbedienza e soggezione al confessore li superò con avanzamento nel proprio profitto. Attestarono di Suor Chiara Pacifica le sorelle che non fu mai udita parlare dei difetti del prossimo se non per scusarli ne vi fu alcuna che da lei restasse offesa ne meno con una parola sdegnosa, trattando con tutte in assenza e in presenza con sommo rispetto e carità. Fu distaccatissima da ogni propria comodità e da quanto le era permesso per suo uso e trovando di aver qualche cosa nella cella che non li fosse proprio necessaria la presentava alla Superiora acciò ne disponesse a suo beneplacito, riducendosi alla perfezione della povertà con desiderare che le mancasse anche il preciso bisogno per amore di questa virtù.Ne perciò era lontanissima da ogni pensiero di se e dei parenti, mortificando l’affetto e il desiderio di vederli e regalarli, senza mai ingerirsi in simili imbarazzi che sogliono occupar la mente e il cuore anche delle religiose claustrali, ma in tutto dipendeva da quanto li era somministrato fosse o no di sua soddisfazione. Pervenuta all’età di anni 22, nel maggior fervore del suo spirito, quando a tutta carriera moveva i passi all’acquisto del Pallio Celeste, mentre gli anni pareva fosse al principio del corso, ben dimostrò Iddio  essere arrivata alla meta, poiché per mezzo di una grave infermità venne da esso chiamata a ricevere il premio delle sue virtuose operazioni. Prostrata dunque in letto con accidenti mortali, il primo atto di fede che fece fu di rassegnarsi nelle mani di Dio, abbracciando volentieri la morte così immatura per fare la Sua Volontà. Indi chiese i Santi Sacramenti e li ricevette con impareggiabile devozione e serenità di coscienza. Vedendo poi ridursi all’estremo proruppe in una tenera esclamazione al suo sposo Crocefisso, che teneva sorretto nelle mani in cui aveva sempre posto ogni sua confidenza e a poco a poco mancandole le forze   e la vita, nella piaga dolcissima del costato si ricoverò quell’innocente colomba abbandonando il corpo il 26 dicembre del 16118 e lasciando le sorelle assistenti non meno edificate della religiosa vita di questa devotissima giovane della felice morte che fatta aveva.
6.     Sr. Agata Dini, conversa. Fu da Nocchi e dalla sua prima età si applicò alla devozione e ad onore della Beatissima Vergine consacrò a Dio con voto la sua verginità e questo fu il motivo per il quale si ritirò a servire a Dio in questa Congregazione benché contro la volontà dei suoi prese l’abito il 25 marzo del 1613 e fece il suo ministero con grande carità né mai, per occupazione che avesse lasciò le sue devozioni particolarmente la Santa Messa della quale fu sempre devotissima. Dopo alcuni anni di buona sanità, cadde in una infermità causata da umori malinconici che per lo spazio di circa……anni la teneva buona parte indebolita in modo che non poteva faticare e in fine la ridusse in termine che perse totalmente il discorso e per 4 mesi se ne stava in letto aggravata da altri mali che convenne per tutto quel tempo vigilarla così di giorno come di notte acciò non seguisse qualche disordine per essere priva di senno. Finalmente quando fu vicina al morire, per divina grazia, acquistò un poco di discorso, tanto che si rese capace di Santi Sacramenti e con buona disposizione passò a miglior vita l’11 novembre del 1621.
Suor Agata Dini, nacque nel villaggio di Nocchi, in comune di Camaiore ,di padre e madre di basse condizioni, ma di onesti costumi. Fu dalla sua prima età devotissima della Beata Vergine Madre di Dio ad onor della quale fece voto di Verginità e se bene l’osservanza di quello fu molto travagliata dai propri parenti, che pretendevano collocarla in matrimonio, non di meno per la protezione della sua potente avocata fin alla morte conservò sempre illibato quel fiore che offerto aveva dalla sua tenera età e si liberò dalle loro molestie col fuggirsene un giorno per ispirazione della medesima, a questa casa, al che se bene malvolentieri soffrirono, nondimeno vedendo la sua costante risoluzione la lasciarono   senza più molestarla e essa con devotissimo affetto prese l’abito della Congregazione il 25 marzo del 1613 con determinazione di servirla mediante la qualità di conversa. Con singolare applicazione subito si diede tutta al servizio di Dio e a gli esercizi del suo ministero e resasi in breve capace per l’istruzione delle caritative sorelle  di quanto apparteneva al suo stato, per piacere allo Sposo Celeste, con ogni diligenza, carità e prontezza eseguiva non solo ciò che richiedevasi  alle Converse, ma nell’esercizio delle virtù mosse il passo al pari d’ogni perfetta religiosa. Intese che mal si può conservare anche nei chiostri il candore dell’innocenza senza la mortificazione dei sensi e della carne, onde per non averla a provare ribelle procurò tenerla soggetta prima con non concederle mai riposo, ne soddisfazione in niente nei suoi appetiti, poi in  combatterla con atti di penitenza, particolarmente con frequenti discipline e vigilie, facendoli fin che visse continua guerra. Fu Suor Agata inoltre sempre costante negli intrapresi esercizi di devozione ne mai per qualunque affare tralasciò l’orazione mentale e vocale d’ogni giorno, togliendo al riposo il tempo che le mancava e poiché era devotissima del Santo Sacrificio della Messa quotidianamente vi assisteva con grande applicazione e profitto della anima sua. Dopo alcuni anni di buona sanità, la provò Iddio con il travaglio di una lunga e penosa infermità in cui diede singolari esempi di pazienza e di conformità  al Divino volere. Sentiva sopra ogni altro l’aver perduto le forze in modo che invece di servire le conveniva con sua estrema mortificazione ricevere da tutte servizi  di carità nella persona sua e in fine ridotta ferma in letto per lo spazio di 4 mesi, perduto con il vigore delle membra anche totalmente il giudizio, si rese spettacolo di compassione e oggetto di pietà alle sorelle. Ma quando piacque al Signore a capo di questo tempo tirarla a se, le restituì tanta sanità di mente  che fu capace di ricevere gli aiuti della Chiesa e disporsi a quel passo con gran consolazione delle sorelle che con le loro orazioni si erano adoperate a ottenerli da Dio. Finalmente con buona disposizione se ne passò all’altra vita l’11 novembre del 1621. 
7.               Sr. Candida Guasparini, di Camaiore, prese l’abito il 25 luglio del 1614 essendo di età di anni 15 in circa fece il suo noviziato con grande soggezione alla sua maestra non ostante la natura sua vivacissima vi repugnasse, aiutandosi per se medesima a vincere le repugnanze, stimolandola a ciò la sua scrupolosa coscienza quale le fu di continuo  esercizio, ne mancava di esercitarsi in atti umili e di carità e terminato il suo noviziato l’impiegarono al servizio delle inferme e si portò verso quelle con diligenza e carità e prima che terminasse questa obbedienza s’infermò a morte, avendole il Signor Iddio concesso alcuni mesi prima la quiete di coscienza e poi nel corso del suo male ricevette tante volte il Santissimo Sacramento: nondimeno sentì grande orrore quando intese l’ora della sua morte essere vicina onde ricorreva con pietoso affetto alle orazioni delle sorelle acciò impetrassero da Dio Benedetto la buona morte. Finalmente munita coi santi Sacramenti si riposò in pace il 26 aprile del 1622 dell’età sua di anni 23!
Nativa di Camaiore fu Suor Candida Gasparini, delle buone famiglie di quel Castello. In età di anni 15 vestì l’abito della Congregazione il 25 luglio del 1614 con dimostrazione ben grande di dover riuscire perfetta in ogni virtù. Era di naturale spiritoso e vivo e per se stesso repugnante alla soggezione e umiltà. Ma data in cura alla Maestra delle Novizie ( che era in quel tempo una sorella molto sperimentata in quest’arte ) fu da quella sul bel principio applicato con maniera soave il rimedio opportuno all’umore predominante esercitandola appunto in quegli atti che conosceva più contrari all’inclinazione della novizia. E essa che si era fissata nell’animo di consacrasi a Dio, di voler dare morte all’uomo vecchio, cioè alla sua viva natura, non repugnò alla coltura della buona Maestra, anzi resasi in tutto soggetta alla di lei obbedienza si lasciò esercitare in moltissimi atti di mortificazione e di confusione propria nei quali a poco a poco tanto si avanzò che se li rese dolci e dilettevoli in modo che superò quasi del tutto l’estrema repugnanza che ella in principio aveva. Desiderando poi approfittarsi maggiormente stimolava ben spesso la sua Maestra acciò le facesse rompere la sua volontà, la tenesse ben bassa e soggetta in tutto e l’imponesse quello che li era di più mortificazione. Operava la Divina grazia in quest’anima   che l’aveva  eletta per essere una delle più fruttifere piante di quel sacro giardino. E perché voleva il suo sposo trapiantarla ben presto in quello del cielo, le dava fretta di produrre e maturare i frutti delle sante virtù. Onde con tali incamminamenti, uscita dal noviziato, prese da se stessa gli istrumenti da lavorare l’anima sua, tenendo raffrenati i suoi sensi, singolarmente gli occhi e la lingua, la mente raccolta e il cuore sempre applicato a Dio. Gli fu ordinato dalla Superiora per primo ufficio la cura delle inferme, in cui si vide sollecita,diligente, compassionevole sopra ogni altra. Non guardava a incomodo purché potesse aiutare e consolare le sorelle. Gli esercizi più bassi e ripugnanti alla natura erano da lei con santa avidità esercitati, non lasciandosi prevenire, ma prevenendo le compagne in ogni sorte di fatica. Finalmente prima che terminasse un anno di questa cura e forse perché la natura non poteva resistere alla forza dello spirito e perché con la comunicazione di varie inferme contrasse qualche influenza maligna, in età di 23 anni cadde gravemente ammalata e conoscendo che quella saria stata la prima  e l’ultima sua infermità, procurò subito di unirsi più strettamente a Dio , ricevendo spesso i Santi Sacramenti della Confessione e della Comunione e licenziando da se ogni altra cosa, tutta si applicò all’interno dell’anima sua e ad orare con gran fervore di spirito, benché il male con i suoi travagliasi accidenti fosse tale che bastava per tirar dietro a sel’applicazione d’ogni altra, che non fosse stata come lei così profondamente assorta in quel santo impiego di mente. Avvicinandosi poi l’ora del suo passaggio , vedendo con tutti i sensi interi la morte in faccia, s’inorridì la natura sentendosi sbigottita e paurosa, con pietoso affetto si voltò alle sorelle presenti dicendoli che l’aiutassero con le loro orazioni, perché si trovava in un pericoloso cimento. Quelle, in estremo compassionandola tutte si diedero a pregare per lei e porgendoli quanti aiuti poterono in tanto bisogno, sin ché a poco a poco la videro rasserenata e quieta. Singolarmente dopo aver ricevuto il Santo Viatico che li fu di conforto mirabile e in fine, superato ogni timore, sentendosi mancare la vita, udirono le sorelle con quel poco vigore che aveva, che faceva offerta di se stessa nelle mani di Dio e in quel mentre, divenuta lieta e ridente in faccia, spirò la sua anima quietamente per andare a godere l’eterno riposo il 26 aprile del 1622.
8.               Sr. Maria Clemente Nuti, di Lucca, prese l’abito addì 28 maggio dell’anno 1616 essendo di anni 14. Ebbe, nel corso di 6 anni che visse, continue infermità molto gravi nelle quali diede esempio di pazienza e per quello che ella medesima riferì a una confidente, aveva dimandato la grazia a Nostro Signore di avere il Purgatorio in vita onde si può piamente credere che fosse esaudita per essere stata , come detto abbiamo, sempre inferma e particolarmente per aver sofferto un……fastidiosissima che per lo spazio di undici mesi, senza potersi levare di letto se non per mano di altri. E benché fosse vissuta sempre innocentemente come il proprio Confessore le attestò per darle confidenza, nondimeno temeva grandemente il giudizio di Dio. Finalmente raccomandandosi all’orazione delle sorelle e domandato perdono a tutte, confortata con li Santi Sacramenti, se ne passò al Signore il giorno della Trasfigurazione: il 6 agosto dell’anno 1622 dell’età sua il ventesimo.
Giunta da Lucca (portano le memorie antiche) che fosse, Suor Maria Clemente Nuti, senza una notizia dei di lei genitori, nascita e educazione. Entrò nella Congregazione di Gesù e Maria di anni 14 il 28 maggio del 1616 e nel corso di soli 6 anni che visse, patì sempre gravissime infermità nelle quali diede esempio di meravigliose pazienza e rassegnazione nella volontà di Dio. Fu anima del tutto innocente e pura e perciò favorita di molte grazie dal Signore tra le quali una ne riceve col privilegio ottenuto dall’istesso di patire il purgatorio in vita, come ne aveva pregato, attestando lei medesima al suo confessore che l’infermità che pativa ne li mandava Iddio per contrassegno di averla esaudita e in effetti si osservarono in lei tali stravagantissimi mali che non poteva arrivarci l’arte umana e tennero tutte per indubitato che avessero un principio sopranaturale: si vedeva alle volte ridotta in tal estremo di debolezza che non pareva poter sopravvivere , che pochissime  ore. Per un pezzo la tormentarono fortissime febbri e a queste succedevano convulsioni di stomaco, paralisi, contrazioni di nervi, tremori, ghiacci e altri accidenti mortali, mai interrotti ne mitigati se non dall’interna consolazione di patire per Dio e dalle frequenti visite che la Sua Divina Maestà faceva all’anima sua. Ben da questo si può argomentare quanto siano terribili quelle pene che si provano nel Purgatorio e per quanto difetti leggeri si diano, poiché nel corpo della giovanetta, che pure per attestazione del Confessore non era il suo cuore macchiato di altre colpe che di quelle che per l’umana fragilità non si possono evitare, tanto acerbamente operarono. L’ultima infermità che li aperse l’adito al Paradiso fu una fastidiosissima etica che oltre l’averla ridotta affatto su l’ossa, le storpiò tutte le membra a segno   che da se stessa non poteva aiutarsi in cosa alcuna, ne pur muoversi dal posto in cui veniva collocata nel letto e tal male fu tollerato da lei per lo spazio di undici mesi continui a capo dei quali arrivò il giorno sospirato dalla sposa di Dio di uscire dal suo Purgatorio per andare a godere  per sempre la vita beata di Lui. Onde giubilando per vedersi vicina al compimento di quello che unicamente aveva sempre bramato, domandò e ottenne l’aiuto dei Santi Sacramenti, ricevuti da essa con singolare devozione e fervore di spirito. Poi fatte convocare le sorelle  con molta umiltà domandò perdono di ogni difetto commesso, ringraziandole della grandissima carità con cui l’avevano servita e aiutata nei suoi travagli, pregandole infine ad ottenerli da Dio conforto in quel supremo passo perché diceva temere assai l’incontro imminente del giudizio che si aveva a fare all’anima sua, benché per altro confidasse nei meriti e sangue di Gesù Cristo suo sposo. A tali espressioni intenerite e commosse le devote assistenti fecero quanto mai può pensarsi per conforto di quella e somministrati nuovi aiuti di Sacerdoti e Sacramenti, tranquillizzato il suo spirito, si riposò in pace il 6 agosto del 1622 all’età di 20 anni.
9.               Sr. Margherita Sinibaldi di Lucca: prese l’abito  addì 26 agosto  dell’anno 1611 dell’età sua di anni 22. Fu di natura semplice e inclinata alla ritiratella e devozione, in modo che per sattisfare a questo pio affetto sempre pareva che li mancasse il tempo e così anche s’inventava nuove devozioni per salutare i santi suoi devoti . Parimenti era devotissima del Santo Sacrifico della Messa e delle sacre indulgenze. I timori poi   della sua coscienza impedivano che non frequentasse i santi sacramenti  e perciò s’era detto sovente che forse il Signore l’averia permisso che morisse senza i sacramenti, del che non parea poiché lei temesse. Infine dopo aver aiutato la Congregazione in vari ministeri conforme l’abilità sua, fu aggravata da un influenza di catarro quale non fece caso li fusse curato e così si andò risolvendo poco a poco, con indicibile pazienza soffrendo per longo tempo la gravità del male senz’ammettere accarezzamento alcuno, reputandosi indegna le fosse fatto alcun ossequio, ne si fermò a letto sino al penultimo giorno di sua vita nel quale ricevuti tutti i Santi Sacramenti, con gran devozione e sentimento domandò perdono alle sorelle e disse che il non aver frequentato li santi sacramenti come si conveniva era proceduto da timore e che ringraziassero il Signore che contro ogni suo merito si era degnato darle comodità di riceverlo e così fece il suo passaggio con grande quiete allì 3 di novembre del 1622 dell’età sua il trigesimo terzo.
10.            Sr. Laura Paganini di Camaiore, dalla sua prima età stando ancor al seculo, fu sempre buona e devota assai della Beatissima Vergine in onore della quale consacrò a Dio la sua verginità e per meglio osservarla entrò in questa Congregazione dove visse con esemplarità di vita, impiegandosi in esercizi umili e faticosi per tutto il tempo che visse. Esercitò per un anno l’ufficio di Priora, avendo sotto la sua cura ventisei fanciulle le quali tutte le obbedivano e rispettavano e lei si reputava indegna di tal grado. Non mancò il Signore di darle qualche contrarietà nelle quali si mostrò molto sofferente come quella che emanava il proprio dispregio e tutta stava intenta all’esercizio della santa orazione spendendo in essa buona parte del giorno e della notte, occorrendo tal volta passar la notte intera senza stancarsi di si santo esercizio, avendole il Signore dato abbondanza di lacrime e particolarmente dopo aver ricevuto il Santissimo Sacramento di cui frequentissimamente si cibava. Amò ancora molto la virtù dell’astinenza eleggendo sempre per se il peggio e a reverenza della Passione del Signore ogni venerdì si asteneva di bere vino e ogni altra ricreazione. Finalmente dopo esser vissuta nella Congregazione dal 29 settembre del 1603 con una vita assai lodevole, fu assalita da gravissimo male che in termini di pochissimi giorni la ridusse a morte il che seguì addì 6 di luglio dell’anno 1623, dopo aver ricevuto con devozione li santi sacramenti.
Suor Laura Paganini, fin dalla sua tenera età  fu prevenuta da Dio con celesti benedizioni poiché ancor prima che arrivasse agli anni della descrizione si trova registrato che i suoi genitori l’osservarono non punto dilettarsi ne in giuochi ne in trattenimenti puerili, ma che fuggendoli e aborrendoli in tutto si vedeva solo dedita a cose di devozione e particolarmente alla venerazione e culto della Santissima Vergine Madre di Dio, che in una sua immagine riveriva ogni giorno con parecchi ossequi. Crescendo poi con l’età il lume della ragione, questa pia fanciulletta sempre più si vide applicata al servizio di Dio e all’onore della Regina dei Cieli, a tal punto che mossa internamente un giorno dal desiderio di farle cosa grata a lei votò la sua Verginità con determinazione d’impiegar la sua vita in servizio di lei. Fece ciò senza il consenso dei suoi genitori. Ma piacque tanto alla Madre di Dio l’offerta della devota figlia che inclinò la volontà dei medesimi a secondar il di lei santo proposito, contentandosi che entrasse nella Congregazione per   far di se stessa un perfetto olocausto alla Santissima Vergine, come tosto eseguì prendendo l’abito umile delle sue figlie il 29 settembre del 1603. Cominciò subitamente dal noviziato a dar saggio alle sorelle di questa casa dei tesori di grazie che Iddio aveva collocato nel suo cuore. Esercitata nell’obbedienza bastava un cenno per farla piegare in qual parte volessero, impiegata negli uffici bassi per umiliarla, pareva che in quelli si deliziasse e sin da allora si  vide in lei così ben radicato il fondamento dello spirito, cioè l’umiltà, che sempre per sua elezione abbracciava le cose più abiette, gli uffici più vili e schifosi e tutto quello che poteva essere di sua maggior mortificazione. Aveva tanto basso sentimento di se medesima che si reputava indegna di coabitare con tante serve di Dio chiamandosi peccatrice e ingrata ai benefici ricevuti dal Signore e desiderava essere disprezzata da tutte e che sempre gli fosse dato il peggio nel vitto e nel vestito. Ne ciò restava nei  soli desideri perché talora le accorse tollerare in effetti parole ingiuriose  e delle calunnie senza ragione, permettendolo Iddio per prova della sua virtù, come quando fu eletta dai Protettori Superiora della Congregazione ( benché non arrivasse appena ai 30 anni d’età  ) in cui sostenne gravissimi travagli per causa di qualche sollevamento originatosi dal seminatore delle zizzanie, nella Comunità di questa casa. Sopito ben presto dalla prudenza di lei, ma non senza l’acquisto di molti meriti per se stessa, cumulatasi con la pazienza  e col non discolparsi. Ne perciò restò adombrata la sua virtù che anzi, risplendendo ogni giorno più, fu più volte promossa con voti universali al grado medesimo di Superiora n cui sempre si dispose in uffizi bassi e faticosi, come in servire in cucina, sgravando la fatica delle Converse in portar legna, scopar la casa e cose simili, perché anzi più tosto era la prima e con il suo esempio faceva la strada all’altre. Aveva Sr. Laura succhiato il latte della devozione e l’amore agli esercizi di pietà onde il suo studio principale fu sempre non ostante che fosse occupata da offizi, il procurare di fare molte ore di orazione ogni giorno. Si rendeva così fissa e attenta a quel santo esercizio che postasi in  orazione per tutto il tempo preciso li passavano molte ore senza che se n’accorgesse ne se ne partiva prima che fosse chiamata. Osservarono e attestarono le sorelle che nel tempo in cui, come si è detto nella prima parte, tutte assistevano gradatamente per un ora la notte avanti il Santissimo Sacramento, questa passava le notti intere genuflessa in orazione nel medesimo luogo senza muoversi o divertirsi. Lo stesso faceva poi nella sua cella spesso con l’obbedienza del Protettore Antognoli che vietò  alla Comunità l’assistenza di notte in Chiesa. Allora gli altri contrassegni che si videro delle consolazioni e delizie che ne derivavano all’anima sua uno fu le dolci e copiose lacrime che spargeva in quel tempo e dopo aver ricevuto il pane degli Angeli, di che era sempre famelica e frequentemente se ne cibava. Fu molto avvertita in custodir  nel segreto del suo cuore le grazie  che il Signore in tal atto le comunicava, le illuminazioni, i gusti, le delizie del Paradiso che godeva l’anima sua e perciò non si possono scrivere qui distintamente benché per altro si sappia per attestazione dei Confessori essere stata in gran parte favorita da Dio al pari di molte altre sue serve delle quali si raccontano cose mirabili. Ma se dagli effetti è lecito argomentare le operazioni di Dio in quell’anima, quel desiderio tanto ardente che aveva Sr. Laura di ricevere il Suo Signore, quell’abborrimento così grande ad ogni benché leggere imperfezione, quel non trovarsi mai sazia di conversare col suo Dio nell’orazione, quell’avvilimento di se stessa, fuga da ogni
comodità, maltrattamento del suo corpo e  tenore di vita mortificata , in cui costantemente finchè visse perseverò, danno ben a conoscere che non operava più la natura, ma la grazia nell’anima sua e che morta del tutto a se stessa, viveva solo Gesù Cristo in lei. Desiderava inoltre trasformarsi nel suo diletto appassionato e languente, sul calvario, onde in tutti i venerdì dell’anno le faceva, con la contemplazione dolorosa, compagnia nei suoi funesti viaggi e in tali giorni si asteneva totalmente dal bere vino e da ogni delicata vivanda o altra sorte di ricreazione, abbeverandosi solo dell’amarissimo fiele, che quello gustò sulla Croce. E negli altri tempi andava sempre procurando a se stessa qualche patimento  e mortificazione singolarmente nella mensa, donde si bene le conveniva per non contraddire all’obbedienza,cibarsi delli soliti cibi somministrati a tutte le altre, nondimeno con maniera industriosa seppe sempre sottrarre al suo gusto ogni soddisfazione nella quantità e qualità delle vivande. Faceva frequenti discipline, portava asprissimi cilizi e con altri sorti di patimenti tormentava il suo corpo, coltivandosi così il bel giglio della purità, che solo intatto si conserva tra le punture di spine. In tal maniera passò quella religiosa lodevolmente il corso della sua vita e il 6 luglio 1623 per mezzo di una penosa ma breve infermità se ne andò a godere il premio delle sue virtuose operazioni.
11.            Suor Caterina Eletta Leni, dal Bagno, prese l’abito il 18 di settembre l’anno 1618. Fu figliola dotata di singolar semplicità e  obbedienza. Non visse nella Congregazione più di cinque anni chiamandola il Signore così presto, acciò la malizia non mutasse il cuore. Fu assalita da febbroni con letargo che in breve tempo la ridusse alla fine, essendo però munita con tutti li Santi Sacramenti fece il suo passaggio il 3 settembre del 1623.
12.            Suor Veronica Chelli, di Lucca, prese l’abito il 1° giugno dell’anno 1619. Questa, ancora fu assai semplice e devota   giovane. Ebbe sempre bassissimo sentimento di se medesima, in modo che non si reputava di far mai cosa ben fatta e questo facilitava assai l’esercizio della santa obbedienza nella quale fu sempre esattissima. Fin da principio  che prese l’abito a imitazione della santa di cui teneva il nome, si esercitò di tenere la presenza di Dio con qualche devoto mistero della passione di Gesù Cristo, il che la rendeva desiderosissima d’imitarlo nel patire e poiché il Signore suol dare tali desideri per adempirli, accorse che essendo in lei cresciuti  fino alla devota perfezione, le mandò un infermità tale che in breve la privò   dell’uso del sentimento non servendole le membra se non per sostenere gravi dolori, nei quali si mostrò sempre un vero specchio di pazienza, poiché soffriva non solo volentieri, ma con gusto e allegrezza, per essere quella la volontà del suo Signore. Avendo dunque sofferto per lo spazio di 9 mesi si gravi infermità e ridotta in stato che a chiunque la mirava causava compassione per vederla si costantemente patire , poiché non vedeva, non udiva e non parlava se non con difficoltà, ne poteva valersi dei membri suoi per essersi di poco a poco storpiati, in fine piacque al Signore darle riposo onde il giorno primo di dicembre, dopo aver ricevuto con gran devozione li santi sacramenti, riposò in pace, l’anno 1624, restando tutte le madri consolate.
Prese l’abito della Congregazione Suor Veronica Chelli, nativa di Lucca, il 1° giugno del 1619. Si trova narrato di questa giovane che fu dotata di semplicità e schiettezza d’animo singolare onde in breve si rese capace dei santi insegnamenti che riceveva dalle Superiore del Monastero e che fece particolare profitto nella cognizione di se stessa che è il fondamento dello spirito. A tal che formatasi nella mente la verità del nostro miserabile niente mai in cosa alcuna del mondo fu smossa dal basso sentimento che aveva concepito di se stessa e benché fosse per natura atta e abile ad ogni sorte  di ministerio si stimava incapace a far cosa buona tenendosi sempre indietro da ogni impiego fuorché dai più bassi, vili e di quelli in cui col servire le  sorelle, poteva esercitare atti di carità, quali amava sopra tutti gli altri e s’impiegava con santo amore in ogni tempo. Nella pratica dell’obbedienza fu sempre esattissima e particolarmente arrivò ad una perfezione in ogni virtù che non è così facile ne si trova in molte   religiose anche buone cioè l’aver cattivato e reso soggetto il proprio giudizio, che in niente ripugnava ai sensi della Superiora intendendo per atto di virtù le cose imposte come quella le intendeva e concorrendo pienamente nella sua opinione con obbedienza così cieca che pareva non tenesse giudizio per sapere discorrere o pensare altamente. Nel prendere il nome di Veronica le impresse il Signore fin dal principio un desiderio ardente a tenere gli occhi della sua mente l’immagine della Sacra Passione del Redentore a imitazione di quella santa di simil nome che ricevette il Santo Sudario. Onde la sua continua applicazione fu sempre a questo doloroso oggetto, procurando di non divertirsene o rinnovandola se per sorte qualche estranea occupazione l’avesse punto deviata. Il primo frutto che ritrasse da questo santo esercizio fu lo staccare il cuore da ogni cosa creata e unirsi strettamente col suo amore non cercando ne curandosi d’altro che di amare ardentemente il suo Sposo Gesù. Il secondo, un desiderio vividissimo di essere parte dei suoi patimenti e di procurare in se stessa dolori e travagli  per rendere ad esso quella grata corrispondenza che può farle una creatura in questa vita. Onde accesa nell’interno da questa fiamma, non si può esprimere in quanti modi tormentasse il suo corpo e quali sante intenzioni provasse per satisfare a questa ardente brama. Ma ben presto intese non essere questi  i travagli e i patimenti per i quali li ingeriva il Signore tali desideri e che gli erano dati  solo al fine  di renderla  disposta  a soffrire quelli che di sua mano  voleva mandarli, poiché dopo pochi anni di a questo tenore di vita cadde in una gravissima infermità che la privò dell’uso dei sentimenti e delle membra a segno che ne li servivano queste ad altro che a sostenere gravissimi dolori e a poco a poco ne giovandogli umano rimedio si ridusse a tale che più ne udiva ne parlava se non con gravi difficoltà tutta storpiata , resa oggetto di compassione alle sorelle non meno che di ammirazione per la pazienza inalterabile con cui tutto sopportò senza mai dolersi ne pur per un ahimè, di questa sua prova in cui l’aveva posta il Signore, ma sempre rassegnata al suo Divino volere con faccia serena a Lui s’offeriva e con la memoria della Sua amarissima Passione, raddolciva i suoi travagli. Di tali patimenti erano stati preludi i desideri di patire e le grazie che fin da principio furono comunicate a quest’anima e in fine dopo una ben lunga prova, purificate come oro nel crogiuolo di quel fuoco, aprendo il Signore le sue sante braccia, la ricevette in esse per darli eterno riposo il 1624, 5 anni dopo il suo ingresso nella Congregazione.

13.            Suor Maria Gabriella Landi di Lucca. Fece il suo ingresso addì 4 ottobre del 1614. Questa dalla sua fanciullezza si diede all’esercizio dell’orazione in modo tale che sia di giorno come di notte stava in esso occupata dimandando a Gesù che la facesse sua vera sposa e dopo aver ottenuta grazia di entrare in questa Congregazione si diede più di cuore a si santo esercizio procurando di impiegarvi la maggior parte del tempo che a lei fosse possibile, offerendosi alle sue connovizie  per sostare all’orazione, che conforme alla distribuzione delle ore, toccava a ciascheduna, e talvolta gli accorse di fare quattro o cinque ore d’orazione in una notte, ne per questo lasciava di alzarsi a mattutino. E una mattina che le novizie si mostravano un poco negligenti nel levarsi al primo segno, ella che sempre era la prima, posta in mezzo al dormitorio disse con devoto modo:<< Signori Angeli non vi è chi si levi! >> Con che destò dalla pigrizia e con prontezza si levarono. Ne si potrà descrivere quanta fusse la fame che aveva  del Santissimo Sacramento dell’altare e l’apparecchio  con cui si disponeva per riceverlo. Basterà dire che Iddio benedetto gradiva  questo suo affetto che spirava efficacemente i confessori ad allargare la mano ammettendola ogni mattina a questo sacro convitto e tanto consolata ne usciva che poco si curava d’ogni altra ricreazione, standosene sempre  in santo silenzio e l’ora della comune ricreazione la spendeva dinanzi al Santissimo Sacramento sfogando così i suoi devoti affetti e ben pareva che il Signore l’avesse eletta acciò continuamente lo lodasse, sendo che per tutto il rimanente aveva pochissimo talento, nondimeno non recusò mai di fare cosa che li fusse imposta dall’obbedienza, facendo come sapeva, lasciando che le sue compagne supplissero al mancamento suo. Era parimenti molto devota della Passione del Signore a onore del quale digiunava tutti li venerdì dell’anno in pane e vino, il che faceva ancora nelle vigilie della Beatissima Vergine e dei Santi suoi devoti e la maggior parte dell’anno dormiva sopra la paglia e piamente si può credere che affliggesse in altri modi la carne sua avendola per nemica, nondimeno compativa grandemente a i patimenti delle sorelle e nel modo che poteva le consolava. In tal modo perseverò fintanto che visitata da Dio benedetto con un infermità le convenne lasciare gli esercizi esteriori e per  conseguenza applicarsi a una totale conformità col divino volere col quale si mostrò unita in tutti gli accidenti. Ma il Signore che non si lascia vincere da noi mortali permise che quest’anima avesse ogni sollevamento spirituale dandole comodità di ricevere spesso il Santissimo Sacramento e finalmente ridotta in estremo, dopo aver ricevuto il Santissimo viatico, a pena dovevano essere consumate le specie sacramentali di quell’anima, con gran quiete si sciolse dal corpo e si riposò nel Signore il 24. novembre del 1627 dell’età sua…

Sr Maria Gabriella Landi, oriunda di Lucca, fin dalla sua fanciullezza per divino istinto si vide applicata all’esercizio dell’orazione in cui notarono i genitori ( e lo riferiscono i registri del Monastero. ) impiegava non solo molto tempo il giorno, ma alcune ore la notte sorgendo dal letto e ponendosi genuflessa sul suolo con replicare articolatamente più volte : Gesù mio fatemi vostra vera sposa. Onde ammirando così santi principi, ne presagirono con gran fondamento quella perfezione a che poi arrivò in quell’esercizio dell’orazione. E procurando promuoverla in esso benché teneramente l’amassero, secondarono il di lei santo proposito che fu di vestir l’abito di questa Congregazione di cui aveva inteso dir grandi cose in questo genere di orazione. E fatta supplicatamene istanza per mezzo dei Protettori a quelle devote vergini di ammettere la loro figlia in loro compagnia, fu ricevuta e vestita il 4 ottobre 1614 con gran giubilo del suo cuore per vedersi in stato di poter attendere unicamente a servire e amare il Signore e subito diede principio a mettere in pratica l’idea che fino nella casa paterna aveva concepito di perfezione e la celeste semenza, che dalla sua puerizia aveva  ricevuta nel cuore qui cominciò a germogliare più copiosamente con la pratica dell’orazione, dimostrandosi in essa, come veramente era, non novizia ma sperimentata maestra. Ne mancò allo spirito fervente della devota giovinetta abbondante pascolo in materia poiché ritenendosi in quei tempi ancora il costume di orare incessantemente di giorno e pernottare a due per volta avanti al Divino Sacramento, come addietro si è detto, Sr. Maria Gabriella offerivasi spesso alle sue con-novizie  per subentrare in vece loro alla consueta ora d’orazione nelle più incomode della notte e concedendoglielo esse per satisfare alle sue fervorose istanze , fu osservato più volte che tirò in lungo la sua orazione per lo spazio di quattro e cinque ore continuate, sempre genuflessa e immobile con gli occhi fissi nel Santo Tabernacolo e con la mente  penetrando quelle accidentali coltrine   pasceva l’anima sua di celesti delizie. Ne queste longhe vigilie l’impedivano il ritrovarsi desta all’ora consueta dell’orazione mattutina , poiché quasi fosse tutta di spirito composta erasi resa così padrona di togliere al corpo  il necessario riposo che non avendogli il più delle volte concesso se non brevi momenti , era la prima al solito segno e più che mai avida di quel cibo del cielo, portavasi con le altre in chiesa all’orazione comune. Dava alle sue compagne utilissimi documenti per superare le fiacchezze della natura in ordine al sonno e per rendersi pronte a queste sacre vigilie, quali confermava col suo esempio, non potendosi mai notare in lei minimo difetto in questa parte e una volta che datosi il segno per levarsi, osservò che quelle erano alquanto negligenti, portatasi in mezzo al dormitorio del noviziato, e disse con devota maniera e con voce intelligibile:<< Santi Angeli non v’è alcuna che si levi!>> dando così motivo ad ognuna di scacciare la propria pigrizia   e per molto tempo efficace stimolo a prontamente levarsi. Non si può facilmente descrivere quali ardenti brame avesse quest’anima innocente di ricevere il Divino Sacramento dell’Eucarestia ne con quanto devoto apparecchio vi andasse. Basti dire che tutti i giorni della sua vita ad esempio del Beato Luigi Gonzaga erano da lei ripartiti in atti di preparazione e rendimenti di grazie. Custodiva perciò con grande avvertenza le porte dei sensi al fine che non vi entrasse oggetto che la distogliesse da Dio, ma singolarmente la lingua, standosene per il più raccolta in silenzio e l’ora della ricreazione comune, quando la Superiora non l’imponeva il contrario, se la passava tutta in Chiesa avanti il Santissimo Sacramento,diffondendo il suo cuore in devoti affetti o recitando qualche vocale orazione. Vedendo i confessori l’ardente brama di questa serva di questa serva di Dio, così ispirati da esso allargarono la mano in concederle la Santa Comunione. Al primo ingresso in quella casa gli diedero più giorni alla settimana, poi l’ammisero ogni mattina a quel sacro convitto di cui internamente consolata più non si curava di altra cosa del mondo ne pareva avesse senso ne applicazione fuori ce di Dio, andando tutta astratta e assorta nel suo bene. E veramente parve che il Signore l’avesse eletta perché continuamente lo lodasse  e assistesse solamente ai suoi piedi come la contemplativa Maddalena, stante che negli esercizi esterni di Marta non era molta la sua abilità, anzi occupata per l’obbedienza nei ministeri soliti del monastero, benché vi ponesse tutta la sua diligenza, conveniva che altre supplissero in esso che non arrivava il suo talento, contrappesandole così il Signore con l’abbassamento e l’umiliazione che ritraeva da tal difetto, l’abbondanza delle grazie, delle quali aveva arricchito l’anima sua. Fu parimenti devota sopra ogni credere della Passione del Salvatore, alla cui considerazione il suo cuore si stemperava gli occhi in devotissime lacrime e in tutti i Venerdì dell’anno ritenne sempre il costume intrapreso dagli anni più teneri di digiunarli rigorosamente prendendo solo il ristoro di pane e vino. Così faceva in tutte le vigilie delle feste della Santissima Vergine e di molti suoi santi avvocati. Dormiva ordinariamente quelle poche ore che dava al riposo sopra un duro pagliericcio quando per sue indisposizioni non li veniva ordinato in contrario e faceva altre sorte di asprissime penitenze che non si possono specificare per essere stata molto avvertita in celarle. Ne per essere Sr. Maria Gabriella così rigorosa in se stessa era poi meno dolce col prossimo, che anzi dimostrassi sempre infatti e in parole soave , amorevole e caritativa con ogni sorella, aiutando, compatendo e soccorrendo secondo l’occasione in quanto le era possibile e singolarmente spiccò la sua carità e dolcezza nel consolare l’altrui afflizioni, proponendo ragioni e motivi efficaci per sgombrar dai cuori ogni travaglio e rendere a i medesimi l’imperturbabile tranquillità dei servi di Dio, in cui fu mirabile. Avendo così costantemente perseverato nella pratica di quelle sante virtù per lo spazio di 13 anni, volle il Signore invitarla a se per sempre, mandandole una lunga infermità, che tollerata da lei con esemplare pazienza, finì di purificare l’anima sua riducendola all’estremo passo con ottima disposizione nel quale stato ancora il Signore Iddio li fu abbondante dei suoi favori poiché oltre il comunicarle coraggio e fortezza per resistere alle tentazioni dell’inimico infernale, diedesi abbondantissimi aiuti di Sacramenti e Ministri di Dio, che venuti in questo tempo per altro effetto al monastero opportunamente le somministrarono ogni desiderabile aiuto e conforto si che in mezzo di questi, quasi a mano guidata l’anima sua, abbandonando il corpo, s’incamminò al Paradiso il 24 ottobre dell’anno 1621.

14.  Suor Lucina Gualanducci di Lucca di circa cinque anni fu messa in serbo essendo in tal età restata priva di madre e pervenuta all’età di 13 anni prese l’abito con sua grande soddisfazione e fino alla sua morte visse con gran semplicità e purità che si può fermamente dire non perdesse mai la grazia di Dio, essendo dunque vissuta così lodevolmente dal 1 agosto 1622 fino al mese di aprile dell’anno 1629.Avendo sofferto un etica per lo spazio di un anno finalmente consumata dal grave male , munita con li santi Sacramenti si riposò nel Signore il 17 aprile dell’anno suddetto avendo avanti avuto gran desiderio di unirsi col suo Signore, ne altro timore si conobbe in lei che un poco di orrore alla sepoltura, da che più si arguisce la sua purità.
15.            Suor Anna Maria Fiorentini, di Lucca. Dopo essere stata alquanto in serbo, si deliberò di prendere l’abito di questa Congregazione, il che seguì con sua grande soddisfazione il 18 novembre del 1620 e dopo aver ricevuto l’abito recitò un orazione con grande affetto e costanza d’animo. Fece il suo noviziato con gran soggezione e benché fosse di assai buona capacità di raro si udiva parlare. Fu di poca sanità ne per questo mai si vide turbata, anzi con grand’animo soffriva tutti gli accidenti. Finalmente aggravata da etica e idropsia, conoscendo vicino il suo fine, fuori dall’ordinario ( che come dicemmo sopra di raro parlava! ) si udiva proferire vari e affettuosi colloqui con Gesù e la Beata Vergine e mentre se ne stava intenta a questo si conobbe che il demonio la tentava di compiacenza vana, perché fermatasi alquanto formò queste parole: Non sono mie questi affetti, ne altra cosa buona, ma tutto è del mio Signore. E poi proseguì a pregare e in tal maniera spiegava dei suoi affetti, che quelle che l’assistevano avevano timore che se invanisse onde l’esortavano a tacere, al che essa tacque ed è da credere che parlasse con la lingua del cuore. Ridottasi all’estremo il 10 novembre del 1629, confortata con li Santi Sacramenti, passò devotamente al Signore.
16.            Suor Angela Garbesi, di Vorno. Desiderosa di viver ritirata, inteso che si era dato principio a quest’adunanza, si risolse di viver in loro compagnia e così il 20 settembre del 1595 fu ammessa con esse. E perché il naturale suo era rustico, difficilmente si poteva aggiustare alla civiltà di quelle che successero, in modo che spesso ne riceveva delle mortificazioni e così pazientemente le riceveva, che preso il lembo della sua veste lo porgeva in atto di riceverne delle altre, benché a torto o a ragione che fossero. Fu sempre verso le sorelle molto caritativa   e le faceva servizio volentieri e conforme la cognizione che aveva di se, si disprezzava e si esercitava in esercizi umili e nelle infermità sue ricusava i soliti ossequi e i cibi delicati, eleggendo più volentieri cibi comuni, parendo a lei di non meritarli quanto
le altre. L’ultima sua infermità fu alquanto lunga, ma non sempre la tenne in letto e ridotta a una grande estenuazione per pochi giorni si fermò in letto e tre giorni avanti la sua morte ricevette i Santi Sacramenti, poi perse l’uso dei sensi e il 22 dicembre del 1629 rese lo spirito al Signore, dell’età sua…
Sr. Angela Garbesi di Vorno, piccolo villaggio della Diocesi di Lucca, nacque di genitori facoltosi, ma bassi di condizione, circa l’anno 1580, dai quali fu allevata nel timor di Dio e incaminata nella sua fanciullezza a cercare di amarlo e servirlo sopra ogni altra cosa. Crescendo poi nell’età, li venne desiderio di ritirarsi in quel monastero o Congregazione di monache dove potesse attendere più di proposito alla salute dell’anima sua. Inteso che nel Castello di Camaiore si era dato principio a questa pia adunanza, domandò ed ottenne di essere arrollata al numero di quelle prime donzelle che si congregarono insieme e vi entrò il 20 settembre 1595. Per il suo naturale assai rustico e poco coltivato tra i suoi, se li rese alquanto difficile nel principio l’accomodarsi alla civiltà e tratto che si usava nella Congregazione e per tal causa veniva spesso mortificata e riceveva penitenze dalla Superiora, ne era gradita dalle sorelle la sua conversazione. Ma di questo mezzo si servì appunto Iddio per render quest’anima gradita al suo cospetto perché sebbene con la continua pratica delle compagne si rese a poco a poco più dirozzata , nondimeno non superò mai la naturale rusticità permettendolo Iddio  per suo continuo esercizio di mortificazione. Però con la buona capacità e disposizione al servizio divino imprimendo nel suo cuore i santi insegnamenti che riceveva convertì il suo medesimo naturale in istrumento altissimo a lavorare l’anima sua  e abbellirla di ogni virtù. E primieramente nel rendersi poco gradita nelle conversazioni passò a non concepire sentimenti di sdegno o avversione alle sorelle come in simili casi suol dettare lo spirito proprio, ma a profondarsi nella cognizione di se stessa e stimarsi indegna di coabitare con quelle e di essere trattata bene da loro e a mettersi sotto ai piedi di tutte con desiderio di essere disprezzata e avvilita e maltrattata in fatti e in parole. Ne ciò restò nella sola speculazione, ma l’eseguì con la pratica proibendo a se stessa  ogni minimo risentimento degli oltraggi ricevuti senza dar ne concedere alla sua natura lo sfogo, ne pure di una parola o di un pensiero che non fosse di scusare il prossimo in quell’atto e parendoli poco  il far questo se non arrivava a godere dei disprezzi fatti alla sua persona, domandò ed ottenne dal Signore con incessanti orazioni e sospiri di avanzarsi in questo grado per più perfettamente imitarlo. Onde con segnalata vittoria di se medesima dopo pochi anni di tal esercizio, quando veniva mortificata, derisa, motteggiata per causa del naturale inculto e di qualche mancanza di abilità ( come spesso avveniva ) riceveva con allegro sembiante, e come se fossero state gioie di Paradiso, era solita porgere il lembo della veste in atto di ricevere dall’altre, a torto o a ragione che fossero. In secondo luogo, dall’avvilimento di se medesima, cavò motivi di stimare sommamente le sorelle della Congregazione e di farle tutto l’onore possibile e se bene per ragione della Professione veniva dal Monastero trattata come tutte le altre, non lasciò mai il posto che si prese da principio, mettendosi sotto tutte e perciò i suoi impieghi furono sempre i più bassi e faticosi, il suo vestito il più lacero e dimesso, il suo vitto il più grossolano   e avanzato alla Comunità, eleggendo queste cose non con ostentazione di vanità, ma con opinione sensata di non doversi altro, portando sempre nel cuore l’esempio di Gesù Cristo a cui desiderava conformarsi in tutte le sue azioni. Nella pratica di queste virtù perseverò costantemente tutto il corso della sua vita questa buona sorella, finché dopo 34 anni di buona sanità, prima di unirla a sé il Signore volle purgarla con una longa infermità, in cui però continuò nel disprezzo di se medesima e nella lontananza da ogni comodità, ricusando ogni regalo e ristoro che le venisse offerto e finalmente ridotta ad una grande estenuazione per pochi giorni si fermò in letto ( non essendo stato possibile farvela prostare prima di allora, replicando sempre che non ne era degna d’essere trattata come le altre ) e con devoto affetto, presi i Santi Sacramenti il 27 dicembre del 1629 fece il suo passaggio all’eternità, dell’età sua circa il cinquantesimo. 
17.            Suor Giacinta Bonucelli, di Lucca. Fu dalla sua puerizia inclinata allo stato religioso e molto devota di San Domenico e del Santo Rosario. Parimenti affezionata ad ogni virtù  e perciò era amata molto da sua madre e dagli altri parenti. Giunta all’età di 16 anni il Signor Iddio dispose che lei con una sua minore sorella si aggregasse a questa Congregazione che non passava il numero di 14 fanciulle e dal primo giorno del suo ingresso ( che fu il giorno della gloriosa Santa Lucia il 13 dicembre dell’anno 1596 ) si fece conoscere che saria stata un esemplare di tutte le virtù per essersi soggettata ad ogni obbedienza senza mostrare difficoltà in cosa che le fosse imposta, ne mostrò mai segno alcuno di leggerezza e incostanza d’animo, ma sempre perseverò  in quel primo affetto d’avanzarsi nel servizio di Dio e per questo, tanto quanto in lei cresceva la cognizione e il lume interiore altrettanto procurava di corrispondere con l’azione virtuosa: da questo avvenne che pochi anni dopo il suo ingresso fu promossa al reggimento e governo della casa, al quale si teneva insufficientissima e dopo aver ricusato la carica e mostrato l’insufficienza sua,  procurava con l’orazione d’impetrare fosse di ben governare, ne per quanto non mancava di usar ogni diligenza, acciò tutte osservassero esattamente gli ordini comuni e da qui venne che  vicendevolmente era impiegata quanto al reggimento del noviziato e quanto come sopriora a indirizzare le giovani e sovente era Priora,  eletta con la maggior parte dei voti. Saria cosa difficile il narrare quanta diligenza usasse acciò il servizio di Dio andassei in aumento, perché prima con l’esempio andava avanti essendo la prima in tutte le osservanze e non lasciava passare nelle altre inosservanza alcuna senza la dovuta correzione e per questa sua puntualità era da alcune stimata troppo rigida. Sempre che fu Priora si tenne come obbligata a dar il segno di levare a Mattutino ( cosa assai molesta, massimo a lei che era di buon sonno ) convenendole molte volte star desta per aggiustare il tempo, anzi era tale la diligenza sua che ben spesso si levava per vedere se era tempo di levare a Mattutino, sendo che per la pratica che aveva conosceva il cielo stellato o all’alba, se era l’ora opportuna, poco fidandosi dell’orologio e quando era troppo a buon ora, si tratteneva in orazione. Ne meno era sollecita a lavorare delle mani poiché fuor di tempo dell’orazione stava sempre occupata in lavorare avendo buonissimo talento ad ogni sorte di cucito, di disegno come d’intaglio e ancora in questo esercizio fu Madre a tutte le altre. Non si esentava mai dai comuni esercizi, come di scopare la casa, lavare bucati e simili altri, i quali non lasciò mai benché Superiora fusse, anzi, che allora si mostrava più pronta essendo la prima. Delle inferme ne fu compassionevole in modo che spesso le visitava e vigilava non le mancasse cosa alcuna e si osservassero puntualmente gli ordini del medico e come voleva che non mancassero le cose necessarie così premeva che non si ammettessero le superflue, volendo che in tutto risplendesse la povertà e la semplicità religiosa. Dell’orazione non si potria mai abbastanza spiegare quanto ne fosse sitibonda e con quanta assiduità vi s’impiegasse poiché lasciando che i giorni festivi e le ore della comune ricreazione, fossero da lei spesi in si santo esercizio, come a tutte era noto, diremo solo che anche lavorando non desisteva da si santa azione, conoscendosi chiaramente ciò esser la verità dal non avvertire la buona Madre quanto tal ora in sua presenza si trattava e da certi esteriori atti devoti che in lei apparivano, ma era ben cosa mirabile che mentre si ragionava di cose spirituali quasi sorgendo da un dolce sonno con la faccia ridente si applicava a quanto si diceva, mostrando sempre di saper meno delle altre e domandava alle minori come se da quelle avesse ad apprendere i principi della vita spirituale, che tutto era effetto del basso concetto che aveva di se stessa. Dei Santissimi Sacramenti  fu reverentissima  ne mai si accostò a quelli che non fosse proceduto un competente apparecchio rendendo dopo, le grazie, con grandissimo sentimento. Da principio si confessava e comunicava tutti i giorni festivi, ma in progresso di tempo con l’ordine dei confessori crebbe la frequenza tanto che negli ultimi anni si comunicava ogni mattina se da giusta causa non era impedita. Amò tanto la virtù dell’obbedienza che mai non trasgredì ordine alcuno dei suoi superiori anzi che per avvantaggiarsi in si bella virtù non faceva attenzione alcuna benché minima senza l’obbedienza mostrandosi soggetta tanto quanto mostrar si possa una novizia che desideri molto il suo profitto che perciò era la prima  a tutte le azioni d’obbedienza e da ciò venne che dopo aver vissuto  lo spazio di molti anni con questa soggezione e disposizione divina terminò i giorni suoi con obbedienza, poiché avendo sofferto per molto tempo una grave indisposizione  nella quale non mancò dare esempio singolare di pazienza e mortificazione, finalmente ridotta in estremo, non ardì fare il passo della morte senza merito d’obbedienza poiché dimandò prima al Padre Confessore licenza di morire e vedendola egli ridotta all’estremo le rispose non solo il suo consenso ma in merito dell’obbedienza le impongo di andarsene al suo Creatore e ciò detto ( mirabile cosa ) entrò in agonia e in brevissimo spazio, con serena fronte posta la faccia sopra il Crocefisso, depositò se stessa in quella fornace amorosa del Santissimo costato di Cristo, in cui, vivendo a guisa di colomba, s’avea formato il nido suo. Fece il suo passaggio il 21 luglio dell’anno 1630, restate le sorelle tutte consolate e inanimate a seguire li suoi buoni esempi per poter gradire a Cristo Gesù da cui speravano che quest’anima avesse ottenuto il premio di tante opere buone e a loro avesse a impetrare grazie celesti.
Sr. Giacinta Bonucelli nativa di Camaiore fu eletta da Dio per una delle prime piante di quel Sacro convitto in cui fruttificò così bene che non solo arricchì l’anima sua di grandi meriti, ma con il soave odore del suo esempio promosse nelle altre maggior perfezione in ogni virtù, come ne fanno fede le relazioni che della sua vita si trovano nelle memorie antiche del monastero e sono le seguenti: fino dalla puerizia fu inclinata allo stato religioso, molto devota del Santo Rosario e dedita a tutti  gli esercizi di pietà che perciò era amata sopra ogni altra dalla Madre e dai parenti che procurarono a contribuire con l’opera loro a i santi principi che in lei vedevano lasciandola attendere alle cose di devozione. Giunta all’età di anni 16, insieme con una sua minor sorella si aggregò a questa Congregazione che all’ora non trascendeva il numero di 14 fanciulle. Il primo giorno del suo ingresso ( e fu il 13 dicembre 1596 ) posero su di lei gli occhi i Superiori per scoprire le sue inclinazioni e ne presagirono quella perfezione di virtù, a che col tempo pervenne. E dato mano ad esercitarla nella palestra della religione gli imposero molti atti d’obbedienza ben ripugnanti al naturale d’ogni giovinetta, ne per questo punto si ritirò, ma eseguì con ogni prontezza il tutto in modo che ne restarono stupiti. Poi crescendo col lume interno che li somministrava la divina grazia, il desiderio di avanzarsi nel servizio di Dio, benchè giovinetta d’età, mai dimostrò segno alcuno di leggerezza o incostanza d’animo, ma si diede con maturità di senno a mettere in pratica quanto conosceva che fosse di sua maggior gloria e da che pose il piede nella strada della virtù, mai l’arrestò ne tornò indietro ne per incontri sinistri ne per tentazioni ne per ostacoli che se li opposero, com’è solito in si disastroso cammino. Vedendo i Superiori del luogo l’ottima vita che faceva Sr. Giacinta, posero sopra di lei il reggimento di quella piccola famiglia, sperandone avanzamenti notabili in ogni genere di virtù. Ricusò ella costantemente per molti giorni, chiamandosi inetta a quel ministero, ma costretta dall’obbedienza, voltosi a dimadar aiuto al Signore e chinò le spalle a quel peso, improprio solo alla sua età. Le sortì così bene che in breve sotto la sua disciplina videsi fiorire lo spirito e quella sacra adunanza convertita in un ritratto del Paradiso. Avuto un tal saggio della sua ottima direzione le sorelle e i superiori la tennero da li in poi impiegata, quanto nel medesimo grado di superiora quando in quello di maestra di novizie, sempre però contro la sua volontà, ma con l’istesso tenore di vita esemplare. E per esplicare in qualche parte l’ordine che teneva nel suo governo, si trova notato che in primo luogo vigilava per la perfetta osservanza degli ordini prescritti in quei tempi, in che fu zelantissima e la prima a praticarli. Secondariamente se avveniva che alcuna commettesse difetto in questa parte mai lo lasciava passare senza la dovuta correzione a luogo e tempo debito, usando parole gravi e efficaci nel farla. Con le colpevoli che si umiliavano era moderata e soave, ma alquanto rigorosa con le contumaci. Diede regola a se stessa di praticare in tutti gli uffici sopra ogni altra virtù l’umiltà e la carità. Con la prima tenendosi vile negli occhi propri,n on lasciava incontro di umiliarsi, che non l’abbracciasse. S’impiegava negli uffici più bassi del Monastero come in servire alla cucina, scopare, portare legna e acqua, facendo la strada alle altre col suo esempio.
Con la seconda, con affetto di tenera madre a tutte compativa,dava animo e confidenza acciò li palesassero i lor bisogni e sovveniva in effetto con sviscerata carità, segnalandosi nel provvedere, assistere e somministrare all’inferme quanto era necessario senza riguardo al dispendio del Monastero o al proprio incomodo. Di simile faceva con le sane, operando che le fosse somministrato a tempo ciò che sapeva occorrerli o desiderare, ne permettendo che mancasse ad alcuna le cose necessarie e convenienti secondo lo stato del Monastero avvertendo però che ne si ammettessero cose superflue o di soverchia comodità, sopra di che fu zelantissima. Mostrò nell’abiezione del suo vestire e in tutte  le suppellettili della cella, grande amore alla povertà, ma singolarmente nell’affaticarsi con le proprie mani in ogni tempo per utilizar la comunità ed essendo dotata di mirabile talento per qualsivoglia sorte di lavoro, vi si vedeva impiegata con tal assiduità e santa radenza come se da essa sola dipendesse il mantenimento del Monastero. Per togliere alle altre l’incomodo della notte, sempre che fu in ufficio di Priora, si obbligò  a dar il segno per levarsi e vincendo  con il fervore dello
spirito la forza  che li faceva naturalmente il sonno, stava per lo più, molte ore della notte desta e svegliata ( in mancanza di sveglia e d’orologio da suono ) e conoscendo  dal corso delle stelle l’avvicinarsi dell’alba, genuflessa in orazione davanti ad una finestra attendeva l’ora opportuna di dare il segno e nel rigore dell’inverno per tal cagione sopportò incomodi e patimenti grandissimi. Nell’esercizio dell’orazione fu sopra modo singolare la sua applicazione perché con santa avidità, fino dai più teneri anni, procurò sempre impiegarvi tutto il tempo che li sopravanzava dalle necessarie occupazioni e quando per gli offici della religione si vide impedire l’ore del giorno, vi occupò quelle della notte, diminuendosi tanto il tempo del riposo, che appena la sua natura vi poteva reggere. All’ora consueta però della mattina sempre voleva intervenirvi con le altre, posponendo ogni altro affare. Nel dopo pranzo essa prendeva le sue ricreazioni in chiesa, orando genuflessa davanti al Santissimo Sacramento, ne cessava dall’orazione quando lavorava di mano, dimostrandolo dall’esterna sembianza e dagli affetti devoti che di quando in quando proferiva. E perché la sua mente era tanto fissa e attenta alla maestà di Dio, che teneva sempre presente, accorse più volte, che discorrendosi nella sala comune di alcuna cosa che tirava ben l’applicazione di ogni altra, domandandosi ad essa il suo parere, era necessario informarla da capo del negozio, poiché niente affatto n’aveva inteso. Se poi ( com’era costume ) s’introduceva discorso tra le religiose di materie spirituali, destata da quel dolce suono, come da un profondo sonno, tutta si vedeva intenta e applicata a continuarlo e ad accendere con nuovi stimoli di pietà i cuori devoti delle sue figlie e perché anche in questo spiccava la sua umiltà in tali discorsi era solita domandare alle più giovani del modo di fare bene l’orazione e di altri principi della vita spirituale quasi che ne fosse ignorante e dalle risposte di quelle prendeva motivo di umiliar se stessa e di ammaestrarle con ottimi insegnamenti di quanto le conosceva bisognose. Amò finalmente la virtù dell’Obbedienza a tal segno che non si contentò di esercitarla con perfezione in tutti i suoi gradi, nelle azioni e osservanze religiose che per loro natura sono sottoposte ad obbedienza, ma per particolare ispirazione di Dio e per maggiormente avanzarsi in quella virtù si obbligò a non fare azione alcuna indifferente, che non fosse accompagnata dal merito dell’obbedienza. Per questo, posposto in ogni cosa il proprio arbitrio,dipendeva da quello della superiora o del confessore prendendo regola nel suo operare dalla volontà di quelli, ne averia fatto azione benché minima che non portasse in fronte il merito dell’obbedienza e piacque tanto al Signore che nell’attuale esercizio della medesima volle unirla a se eternamente, poiché arrivata Sr. Giacinta alli anni 50 della sua età, dopo aver sofferto con eroica pazienza una indisposizione ben grave finalmente ridotta all’estremo desiderava sommamente vedersi libera dai legami del corpo per volarsene al suo Dio e perciò aveva già ricevuti tutti gli aiuti della Chiesa con devotissimo affetto, ma non di meno pareva che quell’anima sapesse abbandonare la sua abitazione e di fatto non si ardì muovere piede a quel passo difficile della morte fino che dal merito dell’obbedienza non li fu agevolato. Per tanto, vedendosi un giorno assistita dal Confessore e dalle sorelle che temevano vicino il suo passaggio, rivolta al medesimo le domandò umilmente licenza di morire e rispondendogli esso, non solo mi contento, ma mi impongo in virtù di obbedienza che adesso ve ne andiate al vostro creatore. In quel punto istesso ( mirabile cosa ) con faccia serena appoggiando la testa crocefisso, che teneva  nelle mani, spirò dolcemente l’anima nella fornace amorosa del costato di Cristo, in cui vivendo come innocente colomba vi si aveva formato il suo nido. Rimase non meno il Confessore che le monache assistenti, ammirate e edificate del successo  vedendo  la loro buona sorella fatta obbediente fino alla morte e con tale esempio si animarono ad avanzarsi maggiormente nella virtù dell’obbedienza di cui l’aveva lasciate una preziosa eredità fino nel suo morire. Seguì il suo passaggio alli 21 luglio 1630.

18.            Suor Maria Teresa Pacini, di Lucca. Essendo stata in educazione alcuni anni in serbo, volle prendere l’abito in questa Congregazione, il che seguì il 5 di giugno dell’anno 1629 e il 14 giugno dell’anno seguente, il 1630, passò a miglior vita . Nell’anno del suo noviziato si mantenne in santa semplicità e obbedienza e avendo per tutto il tempo che visse goduto poca sanità fu finalmente assalita da un ettica che in termini di pochi giorni la ridusse a morte, dell’età sua…



19.            Suor Maria Clemente Ceru, della Pieve, essendo ancora lei stata in serbo qualche tempo, si deliberò questa di prender l’abito il che seguì il 22 luglio 1626. Questa era buona giovane, ma tanto sottoposta all’ humor malinconico che non le mancò da patire come è solito di quelle che sono travagliate di tal guisa. Questa indisposizione la ridusse in una grande estenuazione togliendole affatto l’appetito di mangiare, onde in spazio di pochi anni si ridusse al suo fine e benché fosse in tale stato non lasciò mai le sue solite devozioni finché gravata dal male e munita dei Santi Sacramenti diede lo spirito suo al Signore il3 novembre 1630
20.            Suor Maria Grazia Benassai, di Lucca. E’ stata alquanto in serbo prese l’abito il 15 giugno del 1626. Nel corso del suo noviziato diede tanto buon saggio di se che fece concepire speranza grande che dovesse in progresso di tempo riuscire uno specchio di virtù per essere molto diligente in apprendere i primi principi della vita spirituale e praticandoli, con avanzarsi ogni giorno di bene in meglio, quasi presaga che poco tempo dovesse indugiare lo sposo Gesù a chiamarla, come in effetti seguì poiché, stando sana e di buona voglia, accidentalmente le sopraggiunse una influenza di sangue e non potendo resistere a mandarlo fuori quello che le cadde sopra il petto le cagionò una lenta febbretta con tosse , che in pochi mesi la ridusse a morte in questo male. Non si potrà dire la gratitudine che mostrava a Dio Benedetto per averla cavata dal secolo e la pazienza e conformità con cui tollerò il mancamento delle cose necessarie per essere il Castello posto in gran penuria non potendosi provvedere di altre bende per il contagio che da per tutto era sparso. Finalmente il 20 dicembre del 1630, ricevuti devotamente i Santissimi Sacramenti se ne passò al Signore, dell’età sua…


21.            Suor Olimpia Vanelli di Lucca. Dopo essere stata in serbo qualche tempo, si risolse prendere quest’abito che seguì il 15 gennaio del 1623. Fece il suo noviziato con soddisfazione sua e della madre per essere facile alla soggezione e si rendeva amabile alle sue compagne per ossequiarle molto nei loro bisogni con prontezza e carità grande e così si portava nella cura che le fu affidata delle inferme, poco curando il suo proprio male, per assistere a quelle. Il male che  la ridusse a morte , fu influenza grande di sangue e data in un etica per qualche tempo si stimava non aver male , anzi per meglio dire non mai si reputò inferma di modo che il penultimo giorno di vita sua si comunicò al Comunicatoio come le altre  la seguente mattina fu assalita da un accidente mortale che in breve spazio la privò di vita e per la celerità sua non potè avere l’estrema unzione, che causò grande dispiacere alle sorelle , non mancando perciò di raccomandar l’anima sua al Signore con maggior affetto, il che seguì la  sua morte addì 13 di luglio dell’anno 1632, dell’età sua…
22.            Suor Ludovica Antognoli, di Lucca. Che fu nipote del Reverendo Signor GiovanBattista, primo Protettore della Congregazione, come s’è detto sopra. Nella sua prima età fu educata con qualche rigore dalla sua matrigna, con pretenzione che riuscisse pratica di quanto conviene a una casa, ne riuscì vano l’intento suo, poiché fu pervenuta a certa età la misero in serbo dove le fu facile lo star soggetta. Pervenuta che fu all’età di anni 15 fece risoluzione di vestir l’abito di questa Congregazione e ciò seguì con gusto particolare di suo zio, ( sperando dovesse fare grande profitto ), onde il 23 aprile dell’anno 1619 prese l’abito con suo grande contento, fece il suo noviziato con quiete mirabile attendendo al suo profitto quanto l’era possibile, dimostrando in tutte le sue azioni quell’innata saviezza che in lei era, e era attentissima a fare tutte le cose bene, poi finito che ebbe il tempo del suo noviziato le fu applicata la cura delle inferme e condiligenza squisita l’esercitò puntualmente attendendo ancora a quelle di fastidioso e pericoloso male, poco curandosi di se stessa per attendere a quelle. E piacque a Dio benedetto di visitare ancora ella con simil male si che a poco a poco si esternò e perse le forze di poter operare conforme il suo talento. Quanto fosse conforme in questo accidente e con quanta pazienza soffrisse ciò che le fosse contrario, non si potria facilmente spiegare. Mentre più si avvicinava al suo fine, più bramava di unirsi al suo Signore e molesto l’era che non giungesse l’ora tanto da lei aspettata e con verità si può accertare che negli ultimi giorni di sua vita se ne stesse sempre unita a Cristo offerendoli incessantemente i suoi dolori. Giunta al fine ricevuto con gran sentimento li Sacramenti, rese lo spirito al suo Creatore il 21 gennaio dell’anno 1633 dell’età sua…


23.            Suor Caterina Angelica Massa, di Lucca. Dopo essere stata in serbo qualche anno  , restava affezionata a questa Congregazione, volse aggregarsi a essa onde prese l’abito il 21 settembre del 1620. Fece il suo noviziato con soddisfazione della sua Maestra essendo molto semplice e devota e se ben era assai vivace, nondimeno fu sempre soggetta, obbedendo prontamente a quanto l’era imposto, e conservò gran timore verso le superiore. Ebbe buonissimo talento a far lavori e volentieri dava, con quelli, aiuto alla casa. Fu nella qualità del male che la ridusse a morte, compagna alla sopraddetta sorella, essendo ancora nel medesimo tempo ambedue travagliate, perciò insieme si confortavano al patire e a fare una santa gara a chi più poteva apparecchiarsi per l’ultimo passo. Così ben disposta la seguì dopo tre mesi, cioè il 21 aprile dell’anno 1623, avendo ricevuto in gran sentimento tutti i Sacramenti.


24.            Suor Chiara Felice Belli, di Camaiore. Essendo giovane di anni 17 in circa, aveva desiderato per molto tempo di annoverarsi a questa Congregazione che allora era nei suoi principi e restando priva di madre le fu più facile adempire prontamente il suo desiderio , e il 17 marzo 1606 prese l’abito con suo grande contento. Fu di natura sua vivace e allegra. Ma per il desiderio che aveva   del suo profitto li fu di buonissimo aiuto poiché si diede alla macerazione della carne , all’esercizio dell’orazione e alla mortificazione dei sensi, in modo che in pochi anni si fece una monaca esemplare e così fu applicata ancor ché giovane  fosse a gli uffici di Camarlinga e altri maneggi nei quali si porterà sempre lodevolmente mostrando gran carità verso tutte ma singolarmente alle inferme alle quali provvedeva abbondantemente, ne voleva le mancasse cosa alcuna. Fu molto zelante che si camminasse in santa semplicità vigilando sempre che non s’ammettessero novità tanto nel vestire come nel rimanente. Desiderava che le giovani si allenassero con spirito di devozione e stessero soggette e quando fu Maestra delle novizie e Sopriora, sempre si sforzò che la gioventù facesse buon fondamento di vita spirituale , facendole strada con il buon esempio . Ebbe per molti anni pochissima sanità, ne lasciò mai di faticare nei suoi soliti esercizi spirituali. Fu inoltre molto devota della Passione del Signore meditandola quotidianamente e esortando altre a esercitarsi in queste sante considerazioni, conoscendo essere il vero rimedio per vincere ogni sorte di tentazione confessando aver in se stessa sperimentato l’efficacia di quella ed è credibile che così fosse, per aver affermato, dopo la sua morte, chi aveva guidato l’anima sua, che aveva passato una vita travagliatissima piena di tentazioni. E così bene aiutata dalla divina grazia, aveva retto se medesima, che ne restò vincitrice e fu sempre di buon esempio. Sebbene come abbiamo detto aveva poca sanità, nondimeno  il 27 ottobre fu assalita da insolito accidente quale la strinse in modo che le convenne fermarsi in letto e per essere assai timorosa dei divini giudizi, tale accidente le fece maggior impressione, da congetturare ch’era presagio della prossima morte. Per tanto procurò andarsi disponendo con atti di contrizione e di totale rassegnazione nel divino beneplacito e conoscendosi insufficiente da impetrare da Dio benedetto una buona morte si raccomandava con gran sentimento all’orazione delle sorelle, sperando che unite con l’intercessione dei santi suoi devoti, dovessero impetrarli grazia di godere dei meriti della Passione di Gesù Cristo. Prima di fare il suo passaggio richiese di poter dire alquante parole in comune a tutte e così essendo congregate fece un lungo ragionamento nel quale si sforzò di mostrare quanto al vivo rappresentato le fosse la terribilità della divina giustizia e la profondità dei giudizi di Dio, mostrando che dopo la misericordia di Dio e li meriti di Gesù Cristo, sperava nelle loro orazioni ( alle quali aveva domandato umilissimo perdono dei mancamenti suo ) e devotamente si raccomandava. Ricevuti poi con gran sentimento li santi –Sacramenti, rese lo spirito al suo Signore il 20 novembre del 1633, dell’età sua il 44.


25.            Suor Lavinia Celeste Belatti, di Massa. Di poca età fu messa in serbo, dopo esservi stata circa tre anni, prese l’abito il 16 luglio del 1629. Per la grazia naturale che aveva congiunta con la poca età si rendeva amabile e era ancora di spirito assai sveglio che perciò l’esercizio della mortificazione gli era assai difficile. Tuttavia soggiaceva a essa quanto le altre e così in tutte le altre azioni non voleva esser da meno delle compagne da che dimostrava che se avesse avuto più lunga vita impiegando bene il suo talento, avrebbe fatto buona riuscita. Ma il Signore Iddio volse levarla dal mondo prima che la malizia le preoccupasse il cuore. Onde in termine di 4 anni fu assalita da influenza di sangue che in breve la ridusse a morte e fu in tempo appunto che si trattava di erigere il Monastero, che desiderava ardentemente di giungere almeno a quel giorno per potersi rendere più accetta a Dio mediante la Professione. Ma il Signore appagato del suo buon affetto dispose chiamarla a se, il 27 gennaio dell’anno 1634, avendo ricevuto li Santi Sacramenti.


Li sopraddetti soggetti benché non abbiano potuto adempire il desiderio che avevano di consacrarsi a Dio mediante la Sacra Professione nondimeno essendo vissute da buone religiose possiamo piamente credere che Dio benedetto l’abbia non solo accolte nelle braccia della sua Pietà, ma che in quei Celesti Cori l’abbia connumerate con quelle felici anime che in terra vissero in ben regolati monasteri, onde da quanto si è detto, se ben succintamente, si può benissimo raccogliere quanto da vero s’attendeva all’acquisto delle sante virtù e a far frutto di quello che s’era insegnato dai Superiori.


Tutte le suddette delle quali si sono descritte fin ora le azioni esemplari che fecero in vita e in morte, passarono all’eternità avanti che il Monastero ricevesse e professasse con la nuova Regola, la clausura. Quelle che seguono, morirono dopo aver conseguito il desiderato stabilimento e perfezionamento del proprio stato, tanto più ricche di meriti, quanto che nella Professione dei Voti Solenni, il loro cuore da acceso che era divenne infuocato nell’amor di Dio e con nuovo fervore si diedero all’acquisto delle sante virtù. ( Dal Giardino dello Sposo Celeste )















































COSTITUZIONI ED ORDINARIO  PER LE MONACHE CARMELITANE SCALZE DI SANTA TERESA IN CAMAIORE

CAPITOLO I°

ELEZIONE DEGLI UFFICI MAGGIORI


 In ordine a ciò che la Regola impone e la Sacra memoria di Gregorio XIII comanda, ogni tre anni si rinnovino gli Uffici maggiori in questo modo.
Avanti all'elezione degli uffici per tre giorni si reciterà l'inno dello Spirito Santo e dopo si farà per lo spazio di un quarto d'ora, orazione mentale per impetrare lume dal Signore per azione tanto importante.
Giunto il giorno determinato, che per ordinario dovrà essere il 10 di Maggio, ad ora congrua si darà il solito segno per convocare il Capitolo e convocate tutte le religiose in chiesa, il Prelato che presiederà potrà fare, se così  li piacerà, qualche divota ed efficace esortazione; recitato l'inno dello  Spirito Santo con le preci solite   a dirsi avanti la Contrazione. La Madre priora domanderà perdono delle negligenze commesse nella sua amministrazione e di poi anderà al suo luogo della Professione, restando intanto la sottopriora al governo del Monastero finchè non sia eletta la nuova Priora.
Anderanno tutte, a grado conforme la Professione, avanti al Prelato, per nominare quella che  secondo la propria coscienza, per beneficio comune, giudicheranno che sia la più idonea per l'ufficio di Priora.
Le monache inferme,se vi saranno e che voglino concorrere all'elezione, daranno il loro voto in questa maniera: la Madre sottopriora nominerà due delle Discrete, le quali dai Sacri Canoni sono chiamate scrutatrici e queste, prima in presenza del Capitolo e in mano di quello che presiederà al Capitolo, giureranno di non manifestare mai per tempo alcuno il nome della monaca inferma eligente, se nel scrutare il suo voto venissero in cognizione della monaca eletta, poiché il sacro Concilio Tridentino comanda che questo sia sempre segreto, altrimenti l'elezione sarà nulla.
La monaca inferma, che non può venire in Capitolo , se potrà scrivere, darà il suo voto scritto e sigillato, alle due scrutatrici, le quali lo metteranno in un bussilo portato a quest’effetto: ma non potendo scrivere o non volendo fare scrivere, manifesti in segreto alle due scrutatrici il nome di quella che vorrà eleggere in Priora e le scrutatrici lo rappresenteranno col medesimo segreto a quello che presiede al Capitolo. E se il voto sarà stato dato in scritto, si abbrucerà alla presenza del Capitolo la cartella che contiene detto voto.

La Priora non possi esser di nuovo eletta ne in questo ne in altri uffici maggiori per tre anni e nel primo non le si dia ufficio alcuno, anche minore.
Il Prelato leggerà tutte le nominate nello scrutinio e quelle o quella che averà avuto li due terzi dei voti, s’intenderà senza altro eletta Priora: ma se non vi sarà alcuna che abbia avuto li due terzi dei voti, il Superiore leggerà tutte le nominate nello scrutinio e quella o quelle che averanno avuto il voto sopra la metà delle monache Capitolari, proporrà perché con le ballotte si veda se le monache volessero accedere all’elezione di alcuna di loro. Quando fossero più  monache che nello scrutinio avessero avuto li voti sopra la metà, si osservi nel proporre l’elezione per accesso che quella sia preferita e ballottata prima, che sarà maggiore per la Professione, ovvero per il Luogo nel Monastero.
Distribuite che saranno le pallotte, anderanno tutte secondo l’ordine della Professione a metterle nei vasi preparati avanti il Prelato e terminato, da se medesimo vedrà poi quanti sonoi voti affermativi, se vi saranno li due terzi, quella sarà Priora, omesse tutte le altre nominate. Se non averà li due terzi, seguirà a far dare le palle per l’altre nominate secondo l’ordine detto delle quali, quella che averà li due terzi sarà eletta Priora. Ma non riuscendo alcuna, si ritorni allo scrutinio e ballotazione fin tanto che due terzi concorrino all’elezione di un soggetto.
Eletta la Priora, il Prelato la pubblichi e li presenti la Regola con le Costituzioni, dandoli con ciò ad intendere che deve in se stessa e nelle altre ancora zelare l’Osservanza con la debita discrezione e la farà posare nel primo Luogo.
Di poi seguirà l’elezione della sotto Priora e quella che averà più della metà dei voti, s’intenderà eletta e non riuscendo ad alcuna, si verrà alla ballotazione, escludendo quelle che non averanno 12 voti e cominciando da quella che ne averà avuti più . In pari numero si osserverà quanto si è detto della Priora. E se nessuna riuscirà con la maggior parte dei voti, si ritorni allo scrutinio sino a tanto concorra almeno la metà dei voti in un soggetto.
Nell’istesso modo si eleggerà la Camarlinga, la Maestra delle Novizie e la Maestra delle figliole del Seminario.
Si eleggeranno poi quattro Discrete e quelle che averanno avuto più voti, saranno.
Ciò fatto il Prelato le pubblichi e immediato intonerà il Te Deum e sonando le campane a festa , anderanno tutte a render ubbidienza alla Madre Priora baciandole la pazienza.
Nel far questa  elezione procuri ciascuna farla senza interesse, avendo l’occhio alla maggior gloria di Dio e all’utile del monastero, guardandosi dal subornarsi l’una l’altra, ne dire non fate questa ne quella, ma sebbene si potrà discorrere dei soggetti per vedere quella che fosse migliore, tutto per unirsi ad eleggere il meglio, dando poi ciascuna il voto a quella che secondo coscienza e non l’affezione, le parrà più a proposito per la religione, perché se le monache eleggeranno la superiora senza riguardo a ciò che di rispetto è secondo il mondo, la Maestà di Dio darà l’assistenza dello Spirito Santo a quella che governerà.
E quando, che Dio non voglia, fosse trovato eletta una Superiora  per subornazione sua o d’altre i di pratica di parole e consigli, provato che sia questo, in Capitolo alla presenza del Prelato, subito sia dichiarato e deposta dall’ufficio ed essa e quelle che avevano praticato per lei l’ordine suo, siano private di luogo e voce ed essa sia carcerata per un mese.
Il giorno seguente la priora, la sottoPriora, la Casalinga, le Maestre con le Discrete eleggeranno l’altre ufficiali e fattone nota in iscritto la manderanno al Prelato che la sottoscriva avanti di notificarla alle monache e se nel pubblicare questi uffici, vi fosse alcuna che si stimasse inabile per l’ufficio impostoli, sarà in arbitrio della Priora il mutarlo, purchè sia giusta causa e ne domandi licenza al Prelato, senza la quale non deve mutare gli uffici da lui confermati.


CAPITOLO II°

DI QUELLE CHE SI DEVONO ACCETTARE ALL’ABITO


Non si riceverà alcuna se non sarà educata per un anno o almeno per 6 mesi nel nostro Seminario, ma occorrendo qualche soggetto di considerazione, si proponga al Capitolo e si stia alla determinazione di quello.
E quando sarà proposta alcuna da riceversi nel Monastero, la Madre Priora con le discrete parleranno con lei per intendere la sua volontà, dandole appresso notizia degli ordini del Monastero e facendo si che il P. Spirituale la esamini a fine di rassicurarsi se sia di spirazione di Dio. Vedano apresso se ha qualità tali che sia proibito il riceverla, come se non fosse nata da legittimo matrimonio eccetera, ma se non troveranno nella fanciulla quella capacità e sanità corporale che si richiede per l’osservanza, non si dovrà accettare, il che si deve intendere di mali incurabili o contagiosi.
Soddisfatta la Madre Priora e le Discrete delle qualità della giovane, dovrà proporla al Capitolo Generale, avvertendo però di non promettere ad alcuna che vi abbia 3 sorelle o tre cugine in secondo grado o zie e nipoti, se prima non si proporrà al Capitolo la difficoltà e secondo il parere delle Madri si anderanno aggiustando  per ammettere la terza sorella, il che non si farà mai senza quel aumento di dote che ordina la Sacra Congregazione.
Circa le Converse si farà speciale considerazione alle forze corporali, come quelle che hanno ad impiegarsi ordinariamente in uffici faticosi. Si anderà ancora cautamente intendo se fossero state alla servitù altrui e s’intenderà diligentemente di quali persone. Si terranno un mese senza darle l’abito e alle Coriste basterà 15 giorni per prova acciò si possa far esperienza delle forze e sanità loro e della qualità dei loro costumi.
La Priora, esaminata la giovane dal Prelato, avuta la licenza in iscritto, darà diligente informazione della giovane e sue qualità e così si piglieranno i voti segreti, i quali per dover essere accettata devono essere i due terzi favorevoli. Fatto il Capitolo la Priora ne farà le relazioni al Prelato e se per caso si trovasse esservi intervenuto inganno nel farla riuscire, l’accettazione sia nulla e chi vi averà colpa sia privata di velo per 6 mesi e d’ogni altro ufficio si trovi ad avere.
Non si dia l'abito ad alcuna, si prima il monastero non ha ricevuto tutto ciò che è necessario per conto del vivere, vestito, e fornitura della cella secondo gli ordini. La limosina dotale, che si dovrà dare al monastero per sostentamento per perpetuo della giovine , si deponga ad arbitrio dei Signori Amministratori, ossia sopra l'ufficio dell'Abbondanza, o altro luogo sicuro, acciò che in tempo della professione si possa avere in pronto, e subito, che il monastero entrerà in possesso, si noterà in che modo si sia convertito il denaro, o in beni stabili o in altri bisogni del monastero il tutto però deve farsi colla dovuta licenza. Si noteranno tutti i beni mobili ricevuti dalla giovine, acciò se si pentisse e volesse uscire avanti la professione, si possino restituire, eccetto però quelli che aveva consumati e chi uscirà una volta non si possa più ricevere Ciascuna nel prendere l’abito, lascerà il cognome della casa paterna, pigliando in luogo di quello qualche santo o santa.
Avvertendo quando si fa l’esame della fanciulla, se la Priora o Discrete non fossero presenti, invece loro subentri la più antica che sia in uffizio. Sopra tutto possano intendere che la vocazione venga da Dio. Circa il modo di dar l’abito s’osservi il solito per le Coriste e per le Converse.


CAPITOLO III°

DELL’INDRIZZO DELLE NOVIZIE

Ricevuta e vestita la fanciulla dell’abito religioso, sia data in cura alla Maestra delle novizie per essere da lei incaminata ed esercitata nella regolare osservanza, stando in questo tempo della sua pronazione separata dalle monache. Procurino sempre la detta Maestra e sua Pedagoga, che non parlino con altre monache, non negandoli però un vicendevole saluto, termini di buona creanza e rispetto verso le Maggiori.
Devono le novizie essere osservantissime di tutti gli ordini del Monastero dovendosi congetturare se la loro vocazione sia da Dio, dall’affetto d’avanzarsi nell’esatta osservanza della Regola e costituzioni, essendo questo il sentiero con cui Iddio vuol guidarle al Paradiso. E se la novizia non ha dal principio un tal affetto, poca speranza vi sarà del suo profitto; siano pertanto ubbidientissime alla loro maestra, ricevendo come dalla bocca di Dio tutti gli avvisi che li darà e benché tal’ora l’imponesse cosa del tutto contraria al loro giudizio, non lascino di ubbidirla con ogni fedeltà per acquistare l’abito della santa ubbidienza di cui devono fare voto solenne.
Tutti i segni sia del Coro come di altre funzioni, li stimino come voce di Dio che le chiama: con prontezza vadano e con ogni diligenza eseguiscano quanto devono con ilarità di cuore, non guardando all’azione, ma alla volontà del Signore che in quel punto richiede da loro quel tanto a cui sono chiamate dalla santa ubbidienza. Siano grate al Signore del beneficio della vocazione, pertanto non terranno propositi di cose secolaresche, acciò il demonio con tali trattenimenti non le faccia intiepidire nel divino servizio. Interverranno al Capitolo delle Colpe e saranno le prime ad acusarsi: ricevuta la correzione si partiranno, accompagnate dalla Maestra o da una sua compagna. Ogni 8 giorni la Maestra tratterà con ciascuna separtamente per intendere come si portino circa l’orazione mentale, presenza di Dio e mortificazione interna ed esterna. La novizia sia fedele dandoli notizia del modo come cammina al fine di ricevere indrizzo da poter perfezionare l’azioni sue.
In coro diranno le Lezioni della Scrittura e quelle dell’Ufficio breve della Beata Vergine e quello dei morti. Parimenti nei Vespri ed Uffici cantati diranno quanto li sarà ordinato e quella che leggerà le lezioni nella settimana leggerà anche la meditazione.
Siano riverenti a Superiori e Superiore e quando s’incontreranno con esse, li facciano riverenza profonda e alle altre Madri inchineranno la testa.
Fuori dal refettorio non vi sia alcuna che mangi o beva senza licenza della Maestra. Procureranno le novizie di avere vivi desideri dei Santissimi Sacramenti. Però una volta la settimana si presenteranno al Padre Spirituale per confessare le loro colpe e ricevere il Sangue del Signore con profitto dell’anima propria. Siano grate di tanto beneficio, amino e riveriscano il Padre Confessore come Ministro di Dio mediante il quale le viene applicato il frutto della Passione di Cristo. Non parlino mai di esso se non con gran riverenza e rispetto.
Faranno la Santissima Comunione ogni Domenica ed altri giorni festivi e feriali ad arbitrio di detto Confessore.
Domandino una mortificazione alla Maestra una volta la settimana. Essendo regalate di denaro o altro, ponghino tutto in mano della suddetta Maestra.
Un mese avanti che termini l’anno della Pronazione, la Madre Priora darà avviso al Prelato del tempo che la giovine ha  da professare, acciò dia ordine che sia esaminata. Trovata stabile nel suo proponimento, si metta a partito, il quale riuscendo con i due terzi favorevoli, farà la sua Professione, avendolo però richiesto per 3 volte al Capitolo, ovvero in Refettorio nel modo che segue:
<< Madri e Sorelle, sono molti mesi che io indegna sono stata nella loro religiosissima conversazione, so che non mi sono portata con quella devozione, umiltà, ubbidienza, sollecitudine ed esemplarità che io dovevo, però di cuore ne domando perdono, pregandole che per pietà e misericordia e per le viscere di Gesù Cristo mi vogliano ricevere alla Santa Professione, che io spero con l’aiuto di Dio, mediante le loro orazioni, di emendarmi. >>
Questa richiesta si potrà fare avanti ed anche dopo l’accettazione.
Nel fare la Professione si osserverà l’ordine episcopale, avvertendo che non si può fare prima dei 16 anni compiti.
La formula sarà come appresso:
<< Io, S. N. faccio Voto e prometto a Dio onnipotente, alla Beata Vergine , a Santa Teresa Madre Nostra, a tutti i santi e a voi Madre Priora di vivere e morire tutto il tempo di mia vita sotto la Regola mitigata di santa Teresa in ubbidienza, in povertà, in castità ed in perpetua clausura.>>
La Madre Priora ricevuta la Professione, risponda alla Professa : << Se questo osserverete, vi prometto il Paradiso! >>
Dopo la Professione resteranno le giovani sotto la cura della Maestra delle novizie per lo spazio di 4 anni, ma quelle che averanno preso l’abito dopo compito  il vigesimo anno, non staranno sotto la cura di lei più di 2 anni. In questo tempo la Maestra l’eserciti nella mortificazione e con esse potrà portarsi come le novizie. L’accompagnerà alle grate, visiterà le loro celle e procurerà assodarle nella vera mortificazione.
Compiti li 4 anni o due di giovanato, usciranno di sotto la cura della Maestra ed acciò non perdino la devozione e fervore, sino a quel tempo acquistato, staranno per un anno sotto la cura della sottopriora, la quale l’eserciterà con l’esempio e con le parole, al santo fervore.


CAPITOLO IV

VOTO DELLA SANTA UBBIDIENZA

La virtù della santa ubbidienza ha per oggetto il precetto espresso o tacito del Superiore e per mezzo di questa virtù il nostro libero arbitrio viene rassegnato in tutto alla divina volontà onde il vero ubbidiente si rende simile agli angeli che non vogliono se non quello che vuole Dio e vengono a sperimentare qui in terra la quiete e pace che gli angeli godono in cielo. Devono pertanto sapere le nostre religiose che sono obbligate all’osservanza, non solo dei divini precetti ed ordinazioni della Santa Madre Chiesa, ma ancora dei consigli evangelici e dei precetti del loro Prelato e suo Vicario e alla Superiora o altre che fossero in suo aiuto per ordine e commissione di essa ed altre ufficiali subordinate.
Devono di più star soggette agli ordini e regole del Monastero pronte ad eseguire ciò che li verrà ordinato dalla Superiora e alcuna non dica : voglio o non voglio, contro ciò che essa ordinerà. Ben potrà dire : vorrei, desidererei.
Riceverà ciascuna l’ufficio ed ubbidienza commessali e con carità e diligenza l’amministri secondo lo stile e semplicità del monastero, dipendendo l’ufficiali minori dalle maggiori, ne alcuna s’intrometta nell’ufficio dell’altra, senza l’ubbidienza, ne vi sia chi lasci d’esercitare l’ufficio impostoli senza licenza della Superiora con la quale tutte trattino con ogni riverenza e rispetto, non mormorando delle sue azioni, ne dei confessori e Superiori e chi altrimenti farà, cada sotto la pena della colpa grave
parleranno con superiora lo faccio con rispetto dandoli il titolo di madre e di vostra reverenza, e simile facciano conla sotto priora. Non si mandi ne riceva lettera alcuna, che non sia veduta dalla superiora, eccettuate quelle che si inviano al prelato di suo vicario quali ciascuna potrà mandare con ogni libertà. Similmente al confessore ordinario straordinario pro tempore. La mattina della Pentecoste e dopo la messa rinnoveranno tutte le loro professione in mano della superiora conforme l'uso, il che servirà per stabilirsi più nel santo servizio di Dio, e nella staffetta dipendenza degli ordini dei superiori.. Non potranno obbligarsi con voto alcuno senza licenza della madre priora, o del confessore, e facendone senza essi, si dichiareranno comuni.


LA STORIA CONTINUA…
Dopo 200 anni di religiosa e civile  esistenza, questo monastero fu abolito, poiché uscì un decreto del Ministero delle Finanze il 6 giugno del 1806 che impose alle monache di Santa Teresa di trasferirsi a Lucca e le religiose con estremo loro dolore furono trasportate nel convento di Santa Chiara in Lucca. Tutti i beni del Monastero venivano ammortizzati e le monache dovevano vivere con una pensione annua di 300 franchi se erano Coriste o di 150 se erano Converse.Nel decreto di soppressione vi era una clausula :<< Le pensioni saranno soggette pro nota alle spese necessarie per il culto e per il mantenimento delle fabbriche. >> Il decreto era accompagnato da una lettera dello stesso ministro in cui si comandava l’ingresso nel Monastero di Santa Chiara entro il 16 giugno del 1806, cioè entro 10 giorni. Si sa che il 9 giugno erano ancora a Camaiore perché una lettera  del terribile ministro inviava a Camaiore l’annuncio lieto che alle Converse veniva aumentata la pensione a 200 franchi. Il trasferimento a Lucca in così breve tempo deve essere stato un disastro! Quasi non andò che escluse anche da questo nuovo asilo il loro Istituto rimase compreso nella totale distruzione dei Corpi Regolari. Dopo le note vicissitudini d'Europa, richiamati in vita i Corpi Regolari e Secolari della Chiesa di Lucca, sotto il reggimento dei Borboni, il pingue patrimonio delle nostre religiose ebbe diverse destinazioni e solo rimase il vuoto  fabbricato appartenente ad una commissione ecclesiastica.
Nel 1823, alcune fanciulle chiesero ed  ottennero il primo gennaio 1824 di poterlo abitare campando  vita con istento e coi frutti dei loro sudori e col sussidio  di private elemosine. Durarono parecchi anni in questo stato menando una vita tutta Santa. Le novelle fondatrici che noi ricordiamo con gaudio a perpetuo encomio sono: Marianna Salvi, Maddalena Giunta, Teresa Rosi ed Elisabetta Marsili.
È non mancarono invero zelanti cooperatori che le sovvenivano, altri pagando il fitto del locale, altri  cercando dì e notte vettovaglie per esse loro, altri forte raccomandandole a persone influenti e doviziose . Ma non per anche si vedeva spuntare l'aurora del risorgimento,anzi pareva poco men che temerario il domandare di ricostruirsi in Corpo Regolare siccome era loro vivissimo desiderio. E la cosa giunse a tanto estremo che ormai era sul punto di prevalere il consiglio dell'umana prudenza, la quale consigliava quelle tribolate a ritornarsene alle loro proprie abitazioni!  Ma la prudenza umana spesso è follia dinanzi a Dio che nella sua provvidenza seppe scegliere la  generosa pietà della Luisa Giannini di Bernardo Berrettini e della benemerita Maria Teresa di Savoia, duchessa di Lucca, per compiere i suoi disegni sul Monastero di Camaiore, già reso più numeroso per novella aggregazione di fanciulle.
E di vero Ella ottenne  loro dalla Santa Sede in piena proprietà tutto l'antico fabbricato e indi a non molto vennero autorizzate dietro rescritto Pontificio a vestir l'abito e a vivere collegialmente con Vescovile clausura.
Ma questo è poco, il men di quanto operò la real donna che spesso le visitava, le incorava a sperare, le consolava con pronti sovvenimenti di sue private facoltà, finché facendo loro donazione di largo censo portò a compimento la congrua provvisione richiesta dalle leggi canoniche, onde si vide risorto Il Teresiano cenobio.


INDICE

I precedenti storici del Comune di Camaiore
                                                                          
Fondazione del Monastero secondo il libro “ memoriale delle cose notabili “

introduzione al libro
 “ Il giardino dello sposo celeste “
(15 capitoli)

Fondazione del Monastero con titolo di congregazione sotto gli auspici dei santissimi nomi di gesù e  maria         
       
progresso della congregazione e modo di vita tenuto dalle prime sorelle.

entrano molte donzelle nella congregazione e riducono l’Osservanza a modo di vita religiosa

eleggono per protettore san carlo borromeo da cui ricevono speciali grazie.

si comincia a trattare di erigere la congregazione in monastero di clausura e dubbiose di quale regola stiano per abbraciare, vengono da dio illuminate.

si procura  il breve da  roma per la clausura e s’incontrano nuove difficolta’  ( visione di suor cherubina dell’agnus dei )

si ottiene il breve da roma con facolta di mitigare la regola in alcuni capi.

si professa dalle monache solennemente la  nuova regola carmelitana ( mitigata da papa urbano viii e dal priore cenami  insieme al vigario generale antonio nobili )

bolla di erezione data dal papa urbano viii

fervore di spirito delle religiose dopo la clausura

cade il monastero in penuria delle cose temporali e si raccontano vari successi di notabili virtù esercitate dalle religiose in quel tempo

si prosegue il racconto dei patimenti sofferti dalle religiose in questo tempo e di alcuni soccorsi della provvidenza.

monsignor illustrissimo buonvisi prende a beneficare il monastero e per suo mezzo e d’altre persone devote viene sollevato nella sua povertà  ( lettera del vescovo alla nipote monaca )

monsignor buovisi fa dono al monastero del corpo di san roderigo martire e interviene alla traslazione del medesimo.

l’ambasciatore di spagna fa dono al monastero di una reliquia della santa madre teresa e si esperimentano nuovamente altri effetti della divina provvidenza.

si stabilisce la perfezione dell’istituto con la riforma delle costituzioni








primo  regolamento della congregazione di gesù e maria.
                                                                          
regola primitiva d’alberto patriarca, mitigata da innocenzo iv, poi, per il monastero santa teresa di camiore, da urbano viii e dal signor alessandro cenami, priore di sant’ alessandro in lucca nel 1634

nota  ( necrologie ) di coloro che sono morte nella congregazione dal 1590 al 1634, prima dell’istituzione in monastero carmelitano. sono state tratte, in due versioni, dal libro delle cose memorabili e dal giardino dello sposo celeste, in archivio nel monastero di san colombano.

elenco delle religiose  del monastero e le loro origini , dal 1590 al 1634.










        














           
 
















C = Camaiore ;  N = Numeraria ; O = Oblata